Venerdì sera, nel suo concerto in solo, Matana Roberts si è rivelata grande attrice, improvvisatrice, performer, musicista, cantante e affabulatrice capace di prenderci per mano e portarci dove voleva. Una sciamana capace di cercare l'essenza del suono girando per la bellissima Sala Dei Cavalli di Palazzo Te. Lanciando nelle sale circostanti, e nello spazio, brevi frasi con il suo sax soprano. Frasi che non cercano mai di stupire quanto di raccontare per piccole variazioni; di raccontare attraverso il proprio riflettersi, perdersi e ritrovarsi come eco nello spazio.
Una lezione su cosa è la diaspora e il perdersi partendo dal perdersi e ritrovarsi del suono; dalla ripetizione delle parole e delle note. Un call and response solitario nello spazio risuonante che piano piano si trasfigura, attraverso mille frasi, sino a diventare canto collettivo catartico e magico con lo splendido lunghissimo finale di Beat Em Man tratto Coin Coin vol 1. Matana Roberts pratica il vagare nello spazio indagando il suono e le nostre orecchie come solo i più coraggiosi sanno fare; enunciando la propria libertà dietro la ripetizione di frasi come "questa è una improvvisazione perché sono agitata" che diventa mantra e manifesto di libertà come il "Ho promesso a me stesso che non mi calmerò più" che Archie Shepp pronunciò parlando di Attica Blues.
L’abilità di Matana Roberts di calarsi in una parte performatica che sfrutti suono, frasi “retoriche” su ciò che sta facendo o sulla bellezza e particolarità del propagarsi del suono delle stanze (“sound so beautiful” sarà un altro dei “mantra” recitati decine e decine di volte), la porta, e ci porta, verso la sua performance con un crescendo di attenzione e tensione in cui è raro imbattersi.
Il vagare nello spazio sembra quasi quello di Miles Davis quando si avvicinava ai vari musicisti ad indagarli sui palchi nei suoni e nella creatività. Allo stesso modo Matana Roberts indaga muri e spazi; rifrazioni del suono sempre diverse in modo allo stesso tempo studiato e naturale (molti qui ricordano i concerti di Steve Lacy in solo e il suo indagare lo spazio). Quasi mai l’artista si avvicina al microfono e non da titoli se non un frettoloso quanto urgente Blues For Gaza. Ma parla tanto: parla di sé, della madre morta di tumore due anni fa, cita Cecil Taylor e continua a raccontare ininterrottamente per un’ora qualcosa che, pian piano, diventa parte della nostra vita.
Questo concerto, organizzato come tutta la stagione dalla Associazione 4.33 di Mantova, è stato un antipasto straordinario alla stagione di You Must Belive In Spring che, tra il 14 (James Brandon Lewis Transfiguration) e il 28 aprile, vedrà sul palco nomi tra i più interessanti del panorama tra Jazz e improvvisazione: Fabrizio Bosso con il Moka quartet; Maria Grand e Nite Bjuti; Mariasole De Pascali (Fera) e TellKujira di Francesco Diodati; Ghost Horse; Steve Lehman Sélébéyone e il 25 aprile l’evento con Roscoe Mitchell in solo + l'orchestra che uscirà dalla residenza artistica di una settimana con i musicisti precedentemente citati e a cui si uniranno gli allievi del Liceo Musicale di Mantova. La rassegna chiuderà tra il 26 e il 28 aprile con Gabriele Mitelli Origami Trio; Zoh Amba trio e Sakina Abdou.
Foto di Gabriele Lugli.