The Waterboys

live report

The Waterboys Auditorium Milano

22/11/2013 di Luciano Re

Concerto del 22/11/2013

#The Waterboys#Rock Internazionale#Folk



Nulla da eccepire: Mike Scott è uomo di parola.

Annunciando il tour del venticinquennale di Fisherman’s Blues aveva infatti dichiarato: “Non suoneremo l’album nell’ordine originale o qualcosa di altrettanto noioso. Questo non è lo stile dei Waterboys. Invece vagheremo attraverso il nostro vecchio repertorio in una nuova espressione dello spirito di libertà e di improvvisazione dei Waterboys di quei giorni. Vogliamo far bruciare di nuovo quel vecchio fuoco”

E così effettivamente è stato, venerdì 22 novembre all’Auditorium di Milano, seconda delle quattro date italiane di questo Fisherman’s Blues Revisited Tour concepito per celebrare il venticinquesimo anniversario dell’album e che segue a breve distanza la pubblicazione del box set contenente una larghissima parte (121 pezzi su 6 CD a prezzo più che modico, ma non sono ancora tutte….) delle registrazioni effettuate durante le interminabili sessions che portarono alla realizzazione del loro indiscusso capolavoro.

Bellissimo il colpo d’occhio che il palco offre agli spettatori con un fondale che riproduce la facciata della Spiddal House, la casa sulla costa atlantica dell’Irlanda dove i Waterboys vissero per alcuni mesi e – soprattutto – suonarono in quel periodo e splendido, in ogni caso, l’Auditorium di Milano: sarà pur vero che l’habitat naturale della musica rock sono scantinati e garage, ma assistere ad un concerto in una sala come questa rappresenta senza un dubbio un valore aggiunto.

È Mike Scott a presentarsi per primo, da solo, sul palco, imbracciando la chitarra acustica – alla quale alternerà per tutta la durata del concerto il piano elettrico , cimentandosi con la chitarra elettrica per la sola We Will Not Be Lovers – ed aprendo la serata con una bellissima ed intensa versione acustica di Strange Boat, durante la quale viene raggiunto sul proscenio da Steve Wickham al violino e da Anthony  Thistlethwaite (mandolino e sax) a ricostruire il nucleo centrale della line up del periodo d’oro della band.

A completare la formazione, Trevor Hutchinson al basso (anch’egli in formazione ai tempi della registrazione dell’album) e Ralph Salmins alla batteria, unica new entry rispetto ad allora (o almeno credo: nel corso di quelle interminabili registrazioni, dietro ai tamburi prese poste una pletora di diversi batteristi e può pure darsi che qualcuno me lo sia perso per strada…).

Una set list in cui i brani tratti da Fisherman’s Blues rivestono certamente un ruolo preponderante, ma che non esauriscono certo l’offerta dei Waterboys, venendo affiancati dei pezzi tratti dagli altri album della band, da alcune covers “classiche” che costituiscono da tempo una parte integrante del loro repertorio e persino da qualche brano registrato all’epoca, ma rimasto inedito sino alla pubblicazione del Fisherman’s Box a cui si accennava in precedenza.

Davvero difficile, in una simile scaletta priva di qualsivoglia passaggio a vuoto o di semplice cedimento, individuare i momenti migliori sulla base di un criterio critico o, quantomeno, razionale, ed inevitabile, quindi, affidarsi alle (tante) emozioni suscitate, come, forse, vera intenzione di Mike Scott e soci.

E così segnalo una trascinante A Girl Called Johnny, a testimonianza della prima fase della carriera della band, e la meravigliosa versione di Girl From The North Country, il classico di Dylan rivisitato in chiave celtica quasi come se la sua musa ispiratrice non fosse una ragazza del Minnesota di origine scandinava come attestano gli esegeti dylaniani, ma una fanciulla del Donegal (con i capelli rossi e gli occhi verdi, va da sé….).

Dalle sessions inedite di Fisherman’s Blues arrivano Tenderfootin’ alla sua prima esecuzione live come assicurato da Mike Scott nell’introduzione (in verità già edita in Too Close To Heaven, pubblicato nel 2001, in una prima anticipazione discografica di quelle sessions) e l’intensa Come Live With Me, scritta in origine dallo storico duo di musicisti country Felice e Boudleaux Bryant e resa celebre da Ray Charles, preceduta da una lunga presentazione riguardante le circostanze della sua registrazione, in un affascinante intreccio di luoghi geografici, suggestioni musicali e vita privata del leader dei Waterboys.

A soddisfare il gusto dei cultori delle loro sonorità più orientate verso il folk (tra cui il sottoscritto) vengono proposte When Will We Be Married? e soprattutto una spettacolare Raggle Taggle Gypsy ed il fatto che una canzone tradizionale le cui origini devono essere rintracciate percorrendo a ritroso i secoli susciti l’entusiasmo della platea milanese basterebbe da solo a testimoniare l’immensa forza evocativa della musica popolare.

Tra gli altri brani estratti dall’album celebrato attraverso questo tour, la già citata We Will Not Be Lovers – indubbiamente il momento più marcatamente rock della serata – e When You Go Away, dai sapori country in cui risalta il mandolino di Anthony Thistlethwaite: alla fine mancheranno all’appello diversi pezzi del disco – And A Bang On The Ear su tutte – ma sarebbe davvero insensato affermare che la loro assenza abbia pregiudicato negativamente la serata.

Sul versante delle cover arrivano due classici assoluti, a dimostrazione delle tante influenze confluite nella musica dei ragazzi acquatici: I’m So Lonesome I Could Cry di Hank Williams - altro inedito delle session di Fisherman’s Blues, volendo – suonata come una country band del 1951 (definizione dello stesso Scott, introducendo Stranger To Me) e ovviamente Sweet Thing, tratta dall’immortale Astral Weeks di Van Morrison – certamente tra i principali ispiratori di Scott – che fu invece una delle pietre angolari su cui venne edificato Fisherman’s Blues.

Alla vera e propria signature song dei Waterboys è affidato invece il compito di chiudere il set regolare, ma lo spettacolo non è ancora terminato: passano pochi minuti e riappare sul proscenio Steve Wickham che riapre le danze eseguendo una giga tradizionale al violino, sulla quale anche Mike Scott si improvvisa brevemente come ballerino, prima di accomodarsi al piano ed eseguire The Whole of the Moon, certamente una delle sue più belle composizioni, tratta da This Is Sea (ovvero l’unico album della loro discografica in grado di sfidare il primato di Fisherman’s Blues).

Ma non è ancora finita: secondo bis con una sferragliante versione del gospel (mancava ancora nel pur ricco catalogo, in effetti…) On My Way to Heaven e la bella e dilatata Saints And Angel.

Si chiude con il pubblico in tripudio e Anthony Thistlethwaite (magari meno in evidenza di Steve Wickham, ma altrettanto determinante nel suono della band) – che dal palco fotografa la platea: evidentemente, una serata da ricordare anche dal loro punto di vista.

Un’ultima considerazione di carattere puramente personale: ho avuto la fortuna di vedere i Waterboys nel loro storico concerto al Teatro Orfeo di Milano il 29 novembre 1989, proprio nel tour di Fisherman’s Blues ed ho dovuto aspettare ventitré anni, undici mesi e tre settimane per rivederli.

Ne è valsa la pena e più di questo mi sembra davvero difficile dire per descrivere la meraviglia di questa serata di grandissima musica.

Foto di: Martin Cervelli

Set List

Strange Boat

Higher Bound

A Girl Called Johhny

Girl From North Country

Stranger To Me

When Ye Go Away

Tenderfootin'

When Will We Be Married

Come Live With Me

Raggle Taggle Gypsy

We Will Not Be Lovers

I’m So Lonesome I Could Cry

Blues For Your Baby

Don’t Bang The Drum

Mad As The Mist And Snow

Sweet Thing

Fisherman’s Blues

 

Bis:

Dunford's Fancy

Whole Of The Moon

On My Way To Heaven

Saints And Angels