live report
Nick Cave and The Bad Seeds Milano / Forum di Assago
Concerto del 20/10/2024
#Nick Cave and The Bad Seeds#Rock Internazionale#Songwriting
Approdiamo al Forum di Assago, tutti e undicimila quanti siamo, ognuno con la personale croce di dolori, disillusioni, speranze, morti e rinascite. Stasera c'è Nick Cave, coi suoi Bad Seeds, diventati nel tempo un gruppo esteso: oltre al violinista e direttore di orchestra Warren Ellis, al chitarrista George Vjestica, al percussionista Jim Sclavunos e alla tastierista Carly Paradis, ci sono anche Colin Greenwood dei Radiohead al basso, Larry Mullins alla batteria e quattro coristi, Miça Townsend, Wendi Rose, Janet Ramus e T Jae Cole, per accentuare lo spirito di rito collettivo che, da qualche anno, il cantautore australiano ha impresso alle sue performance.
Ma ci siamo anche noi, di Mescalina, che qui tentiamo di dare forma alle emozioni. Sapendo benissimo che queste sfuggono sempre alle forme, quando sono tanto intense.
Laura Bianchi
Alto e basso, Apollo e Dioniso, punk e classico, spirituale e pagano, eccessivo ed essenziale, barocco e minimale. Cave trascina con sé il pubblico, e lo porta in una dimensione dalla consistenza sottile e spessa. Perché nessuno, tra gli artisti contemporanei, riesce a coniugare gli opposti, celebrando vita e morte in un solo concerto, che diventa così individuale e collettivo, come i riti sanno e devono essere. E tutto il concerto si muove tra i due opposti; la luce di quello che vediamo (dai vestiti scintillanti del coro, alle immagini - mantra proiettate sullo schermo, ai fari che lo seguono ovunque, nelle sue infinite peregrinazioni da palco a passerella), e il buio di quello che ascoltiamo (i suoni tribali nella luciferina Tupelo, coi tamburi ossessivi,
la quieta disperazione della voce e del piano, nell'autocritica O Children, o il crescendo estenuante della torrenziale Jubilee Street, in dialogo costante tra voce, piano, elettrica di un Ellis invasato).
Perché Cave non otterrebbe quel risultato da trance collettiva, senza l'apporto essenziale di una band superlativa e compatta, e senza uno studio attento dei minimi particolari, da concerto classico, che gli permetta comunque lo spazio e il tempo per un'improvvisazione estemporanea, da happening punk, come testimonia l'abolizione della transenna, per un contatto - e un dominio - totali con gli altri corpi. Opposti che si toccano, e hanno il loro punto di congiunzione nella presenza materiale, sensuale e sensitiva del corpo - Cave, aderente alla voce - Cave.
Giacca, camicia bianca, cravatta, nerissimo capello immobile, dinoccolato e magrissimo, elegante e atletico; e, d'altra parte, un canto che oscilla, a volte contemporaneamente, tra lirismo e possessione, tra sussurri e grida, come è perfettamente riassunto in Conversion, mistica, dionisiaca e apollinea insieme: "Touched by the spirit and touched by the flame...You're beautiful! Stop!", con quel mantra rassicurante, autoassolutorio, che accompagna il suo rapporto col pubblico fino alla fine, con la conclusiva (prima dei bis) White Elephant, coi coristi attorno a lui, e lui che porge il microfono al pubblico, per farlo cantare e gridare, mentre lui, sorridente, dirige l'orchestra degli undicimila cuori redenti.
Prima di lui, solo Elvis ha saputo accogliere in una persona la continua tensione tra terra e cielo, tra dolore e gioia, tra dolcezza e brutalità; prima di lui, solo Elvis ha saputo trasmettere, in chi lo vede e lo ascolta, un continuo stato di trance ipnotica, tanto che, a volte, vedere e ascoltare nello stesso momento è desiderabile e insopportabile; tanto che, a volte, il corpo - Cave è sufficiente a sostituire la musica che ha creato, e, altre volte, bisogna chiudere gli occhi, e lasciarsi prendere solo dalla voce - Cave, in totale armonia con la musica, come nell'ultimo bis, The Weeping Song.
Eppure, in questi opposti, c'è una costante: il dolore che, per quanto passato, finito, superato, convertito, non riesce a dissolversi, e, ogni volta, restituisce la propria parte di sofferenza e di paura che esso torni, sotto altre specie. Ricordi che non svaniscono, come invece fa la voce, nel brano che più lacera l'anima in minuti frammenti di respiro, I need you, voce e piano, mentre ripete inutilmente "Just breathe...just breathe...", sparendo lentamente nel buio. Perché da quel buio siamo venuti, e, se ci dicono che veniamo alla luce, è quindi l'assenza di luce in vita che ci ferisce.
Cave ci indica il sentiero, e lascia che ciascuno trovi il proprio passo. Così torniamo alle nostre esistenze. Con la nostalgia di un Wild God, che ci possa accogliere tra le sue braccia.
"But I believe in Love
And I know that you do too
And I believe in some kind of path
That we can walk down, me and you..."
Valeria Di Tano
Canta canzoni che possiede, che gli appartengono come qualcosa costruito non solo con il proprio ingegno o le proprie mani ma con i residui fangosi di un dolore sporco, precipitato, affogato: un dolore spezzato più volte e poi polverizzato in un mortaio di pietra come erbe per riti antichi.
È in ognuna delle sue canzoni, come se lì, tra quei versi ripetuti secondo una tradizione fatta di preghiere e cantilene, di carezze e di respiri, si potesse scavare un solco in cui riposare il dolore, in cui poi trovare sollievo, forse pace.
Ascoltare la sua voce è attraversare quella soglia, pronti a seguire l'eco dei singhiozzi e dei sospiri, dell'amore e della disperazione, insieme.
C'è una delicatezza raffinata e spirituale che accompagna per mano fino allo scossone violento e potente di un tuono che trascina nel vortice di un orgasmo parossistico, appassionato e inarrestabile.
E da quel punto la musica è corpo e anima di mille pensieri d'amore, di rabbia, aggrappati al passato, ma colmi di una speranza saggia e profonda.
Si esce in pace.
Forti.
Io, grata (davvero grata) a chi un giorno mi ha detto: "Dovresti ascoltare Nick Cave. Potrebbe piacerti".
Aveva ragione.
Arianna Marsico
“Where are my people? To bring your spirit down” si chiede il Wild God di Nick Cave. Domanda che compare a caratteri cubitali sullo schermo. Spirito che non si abbatte, anzi, si eleva. Perché nessuno come Cave sa iniettare potenza nel dolore fino a contorcerlo. From her to eternity.
Perché la presenza del coro gospel porta il paradiso nell’inferno, con una devastante Red right hand. Nick Cave stringe mani, scende tra la folla, mosso dalla tensione che si crea tra dolore e amore. La tenerezza di Into my arms e Cinnamon Horses allontana e poi abbraccia lo sprofondare nell’abisso dark di The Weeping Song o la compostezza impietrita per l’indicibile di Bright Horses.
Nick Cave sembra dire che la sua anima è nostra e le nostre sono sue. Che sente quello che sentiamo noi e noi sentiamo quello che sente lui. Il velo tra artista, uomo e pubblico è tolto.
E mi ritrovo emozionata, senza parole, infinitamente grata.
FOTO DI ANGELA DEL ROSSO, ROBERTO SASSO, GIOVANNA MENTASTI
SETLIST
Frogs
Wild God
Song of the Lake
O Children
Jubilee Street
From Her to Eternity
Long Dark Night
Cinnamon Horses
Tupelo
Conversion
Bright Horses
Joy
I Need You
Carnage
First Rescue Attempt
Red Right Hand
The Mercy Seat
White Elephant
BIS
O Wow O Wow (How Wonderful She Is)
Papa Won’t Leave You, Henry
The Weeping Song
SOLO AL PIANO:
Into My Arms