live report
Nick Cave Auditorium - Milano
Concerto del 21/02/2004
Nick Cave
Auditorium Milano
21 febbraio 2004 Un report speciale per il concerto di Nick Cave, all'evento erano presenti ben 3 recensori!
Di seguito quindi le impressioni di Antonio Avalle, Claudio Mariani e Maurizio Pratelli.
Articolo di Antonio Avalle:
Duplice appuntamento con Nick Cave per la città di Milano, dove mancava da tre anni allora con i semi del male al completo.
Ci si aspettava un Cave solo performance ed invece Re Inkiostro, mai abbandonato, si è presentato in compagnia di Warren Ellis (violino), Martin P.Casey (basso) e Jim Sclavunos (batteria) in sostanza con la metà dei Bad Seeds. La scelta, direi azzeccatissima, dell’auditorium San Gottardo ha reso ancor più unico l’atteso evento, annunciando un’ottima atmosfera. Le due date milanesi per pochi fortunati sono finite subito sold out, considerata la dimensione dell’auditorium era auspicabile. Nick Cave si è presentato con il suo solito look elegantissimo da perfetto dandy, con la sua camicia bianca ma stavolta senza cravatta e con uno strano taglio di capelli curiosamente squadrato a pupo.
In quasi due ore di concerto Cave e co. hanno messo in luce tutte le proprie capacità, dimostrandosi in serata di grazia.
La voce di Cave matura di anno in anno e soprattutto cresce il possesso di una vocalità dall’intonazione profonda ed evocativa, migliora anche l’abile uso del piano rigorosamente a coda, ingredienti che hanno dato vita ad una atmosfera magica, che ci ha rapito il cuore. Cave stravolge i suoi standard con originale ispirazione, le versioni di “Henry Lee” e “West Country Girl” sono squisitamente irriconoscibili, di certo tra i momenti più alti della serata. Anche la murder ballad “Stagger Lee” riscopre un rinnovato pathos nella versione proposta. Tanta energia scuote i momenti ad alta fibrillazione, in cui si ammira l’intesa di Cave, che picchia il suo piano, ed Ellis che straccia le corde del suo violino, dilatando le braccia nei momenti di furia, ranicchiandosi sulle ginocchia nei momenti di quiete...proprio come un uccello. Pindaricamente l’australiano spazia nel suo repertorio ripescando dai ricordi con i Birthday Party una inquietante “Wild World” (dal 12” del ‘83 “The Bad Seed”), restare fermi sulle poltrone dell’auditorium diventa un’ardua impresa. Brani forti che si alternano a ballate pianistiche delicate come “Darker With The Day” ,“God Is In The House” e “Love Letter”. Molta attenzione rivolta all’album “No More Shall We Part” e quasi trascurato “Nocturama”, l’ultimo lavoro di Cave che non possiede il dono perpetuo e inconfondibile dei precedenti dischi. Mi lascia un po’ perplesso il momento dedicato a “The Mercy Seat”, che non decolla nella giusta misura. Un po’ di nostalgia porta Cave a lanciare dediche dirette a Cash e a Tim Bukley con due personalissime rivisitazioni, ricordati rispettivamente con “The Singer” e “Dolphins” di Fred Neil (che non tutti conosceranno come l’autore di “Everybody’s Talkin” dalla colonna sonora “Un uomo da marciapiede”).
Non è bastato il bis a mandare definitivamente via Cave richiamato per continuare con “Do You Love Me?” deliziosa al piano. Estasiato ho lasciato l’auditorium con la tentazione di rivederlo il giorno dopo...
Direi che la formula scelta a quattro per il tour è riuscitissima, si spera in un cd live calibrato su questo tipo di performace. Ho riscontrato più energia della situazione vista ad Ancona due anni fa nella interessante rassegna “Il Violino e La Selce” organizzata da Battiato, in cui la scaletta dei brani era molto affine a quella proposta sabato a Milano, ma allora Cave era con un’altra band: Jim White (batteria) e Norman Watt-Roy (basso) e del fido Ellis. Forse seppur rinnovato il repertorio dal punto di vista delle interpretazioni i concerti andrebbero maggiormente aggiornati... magari continuando a ripescare nel passato e riprendendo qualcosa da “From Her to Eternity” e “The Firstborn Is Death”. Articolo di Claudio Mariani:
La febbre dell’attesa era già alta nei giorni precedenti l’evento, immaginiamoci quando gran parte dell’eterogeneo pubblico è entrato per la prima volta nello splendido auditorium di via San Gottardo e ha visto sul palco il fidato piano circondato da batteria, basso e violino. Una nota dolente, a dir la verità, è subito saltata all’occhio: i sedili progettati per gente alta al massimo 1,75! Gli altri, compreso chi scrive, hanno dovuto sorbirsi il concerto con le ginocchia in faccia. A parte queste basse considerazioni tecniche, i minuti che hanno preceduto l’entrata del Re Inchiostro sono stati palpitanti, e lui non si è fatto attendere più di tanto: quando è salito in scena tutto era elettrico, un mr. Cave elegante e magro come non mai. Un pensiero subito ci colpisce: cosa provava la gente a vedere un grande pianista su un palco del genere, chessò un uomo che ha segnato la storia, tipo Glenn Gould? Cosa provava la gente a vederlo usare le sue dita su di un piano? Per qualche secondo mi pare di percepirlo anch’io, ma forse non è così. E’ vero che quella è un’altra musica, ma qui sto parlando di qualcos’altro che va oltre: il CARISMA. Il clima, dicevo, è elettrico, non siamo più nel territorio del rock, siamo oltre, e il grande australiano ce lo ricorda subito con “Wonderful Life” e ci da un po’ di speranza con il ritornello che ripete “you can find it”. Alla fine del primo pezzo gli applausi sembrano non finire più, e le mani quasi si consumano. A ripetizione vengono poi proposte dei classici come “Sad Waters” e “Henry Lee” più l’omaggio a Johnny Cash con “The singer”. Inutile dire che sono versioni splendide e che l’acustica è fantastica (ci mancherebbe anche, siamo in un teatro nuovissimo), la voce di Cave ti arriva nelle orecchie come se ti stesse sussurrando da pochi centimetri. Se chiudi gli occhi per qualche attimo ti convinci, poi li riapri e guardi a destra e non trovi Cave, ma una dolcissima ragazza e pensi alla fugacità del tempo, e allora ti volti a sinistra e trovi un pazzo che si segna le canzoni sul taccuino, allora torni in te e nascondi il tuo di taccuino in mezzo alle tue ginocchia che non ci stanno, e pensi alla relatività dello spazio. Torni a Cave che tributa Tim Buckley con un’emozionante “Dolphins”. Oramai ci ha portati nel suo mondo, la sua musica ci sta cullando e la bravura dei suoi tre fidi Bad Seeds (Jim Sclavunos, Martyn P. Casey e Warren Elliss) non si discute, creando un muro delicato di suoni bilanciatissimi. In particolare il violino di Ellis è la marcia in più delle canzoni del Re Inchiostro, fin da quando nel 1996 entrò stabilmente nei Bad Seeds, continuando anche la sua attività nei Dirty Three. Cave riesce a fare scendere qualche lacrima con una struggente e religiosa “Into my arms”, uno dei pezzi più belli che abbia mai scritto. Si alza anche, lascia il piano da solo e si sgranchisce le gambe per cantarci la sua “Ship Song”. Addolcisce l’aria ma subito dopo la inquina letteralmente con la migliore canzone della serata, una “Wild World” dei Birthday Party, eseguita con una forza assurda; sul palco tutti e quattro si agitano, e le urla infernali di Nick fanno venire la pelle d’oca anche ai meno interessati. Prima pausa. Al ritorno sul palco due canzoni recenti, forse le meno interessanti della serata, e poi l’incalzante e potente “Stagger Lee”. Sembra tutto finito, i quattro ci salutano, la gente si alza e si spinge verso il palcoscenico invocando il cantante. Pochi minuti e sappiamo che sarà il suo saluto d’addio della serata, unico dubbio: sceglierà una canzone calma o un pezzo potente, un classico finale (tipo “Jack the Ripper”)? Scelta la prima ipotesi: “Do you love me”!
Foto di Antonio Avalle
Foto di Maurizio Pratelli
Che emozione, che emozioni, come e più di altre volte, quando Cave si presentava in vesti di rocker, con attorno 6 o 7 Bad Seeds. Il più grande maudit della musica odierna non ci lascerà mai, sarà sempre qua a farci compagnia, con la sua voce cavernosa, con la sua potenza, con la sua dolcezza e con la sua sigaretta sempre accesa nell’angolo della bocca.
Ultimo appunto: i biglietti costavano molto, due volte quelli di un normale concerto (di per sè già costosi), ma questa serata valeva cinque volte un normale concerto, ma che non diventi un’abitudine, mr. Cave, altrimenti dovremo fare straordinari su straordinari a lavoro per assistere alle tue esibizioni, e sai che lo faremmo anche cinquanta volte di fila, giorno dopo giorno... Articolo di Maurizio Pratelli:
Potrei usare decine di aggettivi per descrivere questo concerto. Ne uso soltanto uno: perfetto. Non ci sono dubbi. Annunciata come una “solo” performance di Nick Cave, la serata si è trasformata in un avvenimento incredibile, al quale, a sorpresa, hanno preso parte ben tre dei suoi Bad Seeds.
L’Auditorium di Milano gode di una stupenda acustica, in grado di raccogliere e dispensare note con il rispetto che la musica e i suoi appassionati meritano. Sentire un piano a coda e la meravigliosa voce di Nick Cave, a questi livelli di qualità sonora, è un evento davvero raro dalle nostre parti.
“Wonderful Life”, così intensa e rabbiosa da riabilitare alla grande quel “Nocturama” tanto strapazzato dalla critica, ha fatto subito capire che sarebbe stata una serata speciale. Una serata durante la quale le sensazioni che si provano diventano palpabili. Così intense che “frugare” negli occhi del pubblico, per cercare le loro emozioni, diventa inevitabile.
La profondità di “Hallelujah” tratta da quel capolavoro che è “No More Shall We Part” è la giusta premessa ad “Henry Lee”, una delle più toccanti e vibranti “murder ballads” che Nick Cave ha voluto regalare al pubblico meneghino, subito conquistato dalla sua musica, complice una band strepitosa.
Già a questo punto vale infatti la pena, spendere più di una parola per quel superbo musicista che è Warren Ellis. Il suo violino è arrivato a toccare vertici impensabili, accarezzato e strapazzato come solo pochi virtuosi osano. Pizzicato o trasformato in un’elettrica distorta con le corde fumanti, il violino di Ellis valeva da solo il prezzo del biglietto, senza contare il ripetersi dell’incantesimo quando ha avuto tra le mani il mandolino. Tutta l’energia che le canzoni del grande australiano sprigionano, le aperture sonore di cui si nutrono, passano in modo naturale attraverso i suoi musicisti. Le impennate di Cave, che spesso fa fatica a rimanere seduto al piano, vengono assecondate e cucite in modo esemplare da una fantastica sezione ritmica.
Negli omaggi a Johnny Cash e a Tim Buckley, al quale Cave attribuisce, subito corretto da Ellis, la “Dolphin” di Fred Neil, si ha un’altra prova dello spessore artistico di questo musicista. Se la versione di Buckley rimane memorabile, quella di Cave ha, su toni diversi, lo stesso pathos e la stessa epica profondità.
Non c’è un attimo di tregua, non può esserci quando, uno dopo l’altro, come le sigarette che accende Cave, arrivano brani dello spessore di “Darker With The Day” o “Mercy Seat“. Non si possono trattenere le emozioni quando emergono le note bibliche di “God Is In The House ” e nemmeno possono sciogliersi nell’abbraccio di “Into My Arms” o nelle travolgenti liriche di “Ship Song”. Il groppo alla gola si allenta solo nella standing ovation che lo riporta sul palco e quasi lo costringe seduto al piano.
Allora Cave, come un pugile consumato, prepara il colpo del k.o. Questa volta nella sua mano non stringe solo una lettera d’amore, ma tutto il pubblico. “Love Letter” mette tutti a sedere, in religioso silenzio. Fino all’ultima nota , fino a quel liberatorio “o babe please come back to me”.
Una fulminante “Stagger Lee” incendia nuovamente il pubblico che lo rivuole ancora sul palco, a costo di applaudire all’infinito. Sono passate due ore e davvero nessuno sembra essersene accorto. “Do You Love Me ?” è la canzone che conclude un evento straordinario. Una domanda che fatta al pubblico, questa sera, avrebbe avuto una sola risposta. Forever !
Scaletta:
Wonderful life
Sad waters
The ship Song
Hallelujah
The singer
Henry Lee
Dolphin
Darker with the day
West country girl
The mercy seat
God in my house
Into my arms
The ship song
Wild world
Bis:
Love letter
Rock of Gibraltar
Stagger lee
II Bis:
Do you love me? pt.II