live report
Vinicio Capossela Milano / Conservatorio
Concerto del 20/04/2023
Milano è da ore sotto una pioggia battente. Non sembra primavera, ma autunno. I clacson strombazzano nella stretta via del Conservatorio, ed è difficile raggiungere la Sala Verdi, stasera, per il concerto che Vinicio Capossela ha pensato per presentare il suo ultimo lavoro, Tredici canzoni urgenti. Ma la musica, stasera, è il bene rifugio dei millecinquecento che assiepano impazienti la grande sala, in attesa di esorcizzare la triscaidecafobia, la paura irrazionale del numero tredici, che comprende in sé tutte le altre, che ci paralizzano nel nostro vivere, privato e pubblico.
Così, come canta Omero, "in una tenda di Achille deponiamo le armi", e la tenda è questa sala, in cui entrano, uno a uno, tutti i musicisti che hanno collaborato a vario titolo a un disco splendido, di cui abbiamo scritto qui. È, si potrebbe dire, un esercito di pace, di arte e di amicizia, che sa trovare la strada di casa dei nostri cuori, capitanato da un Capossela entusiasta del nuovo lavoro, di cui sente tutta l'urgenza, come ci dice nei lunghi, piacevolissimi intermezzi fra una canzone e l'altra. E il disco è suonato tutto intero, in ordine, in un vero e proprio "lancio del disco", come l'artista lo definisce, ringraziandoci per la fiducia nello sfidare intemperie atmosferiche e sociali per approdare ad ascoltare tredici canzoni sconosciute, che chiedono di essere ospitate nell'anima e nella memoria.
È sempre emozionante ascoltare la prima volta una canzone; pensate a tredici di fila, che "agiscono in solido", come dice Capossela, e che sono urgenti, perché vogliono arrivare subito, ma comportano un sovrapprezzo: quello dell'attenzione, e subito dopo dell'azione, perché, sostiene, "Urgenza è un termine contrapposto a indifferenza". Impegno totale, assoluto, che tocca tutte le corde del nostro vivere, e che viene proposto a un pubblico che lo ama a prescindere, ma che, pezzo dopo pezzo, viene letteralmente conquistato da una potenza sonora e una qualità espressiva altissime, che, come un'onda, tracimano dal palcoscenico e invadono la sala fino all'ultimo ordine di posti.
Un privilegio raro, ascoltarle, poi, come sono stare incise, coi protagonisti della registrazione, che rivivono, in carne, ossa, voce e passione, l'alchimia di quei momenti, sotto l'occhio - e l'orecchio - infallibili di Taketo Gohara al mixer, e davanti a noi, incantati da tanta grazia.
Il musicista si nutre della creatività dei compagni di viaggio, e si sa circondare di artisti superlativi: il "compagno di frontiera" Don Antonio Gramentieri, che dona colori tex mex a molti brani; Cesare Malfatti, col suo futuristico - e determinante - intonarumori; Raffaele Tiseo, che rivela doti di polistrumentista (pianoforte, fender rhodes, violino e ribeca) e di capo orchestra degli archi, un vero e proprio quartetto (tre violini e un violoncello, quello di Daniela Savoldi), a cui si aggiunge il contrabbasso di Andrea Lamacchia; Alessandro Asso Stefana col suo chitarreto, e un entusiasta FiloQ, che, ne Il divano occidentale, coinvolge Sir Oliver Skardy (Pitura Freska), protagonista anche di un fuori programma a fine concerto (la trascinante, storica, Papa Nero). La partitura è ricchissima, in equilibrio miracoloso fra classico e contemporaneo, sperimentale e melodico, complice la varietà degli strumenti presenti sul palco: oltre agli archi, i fiati e le percussioni (superlativo Piero Perelli), il theremin dell'insostituibile Vincenzo Vasi, anche alla voce, insieme a quella, misurata ed espressiva, di Irene Sciacovelli, che sostituisce Mara Redeghieri, e che brilla in più di una canzone, come Staffette in bicicletta, conclusa con un lunghissimo applauso.
Un'autentica ovazione conclude un altro momento emozionante, La cattiva educazione, che vede la presenza di una Margherita Vicario coinvolta in un brano intenso, sul femminicidio, sottolineato non solo dalle iconiche scarpe rosse, ma soprattutto, in una sorta di ossimoro sonoro, dai rumori dissonanti di Malfatti. L'energia ci invade, tutti, portandoci in salvo, legati da un filo indissolubile di gratitudine e passione, come se stasera fosse davvero un immenso regalo che la vita e l'arte ci propongono, e che si concretizza nell'inno "abbracciabile" de Il tempo dei regali:
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Milano ci vuole bene, stasera; la pioggia resta lontana da qui, ed Enzo Jannacci sorride nella memoria di ciascuno, mentre Capossela gli dedica un bis prezioso, Giovanni telegrafista, perfettamente in tono con la tematica dell'urgenza dei sentimenti, che il Giovanni, "quello dal cuore urgente", esprime con struggimento.
E non può che essere Bardamu a guidarci in questo "viaggio al termine della notte", abbracciandoci idealmente e consegnandoci a un ritorno a casa illuminato da una luce interiore, e dalla consapevolezza dell'urgenza di vivere "la vita che c'abbiamo" con rinnovato slancio: perché "L'emozione è tutto nella vita / Quando siete morti è finita..." Faremo tesoro, Vinicio, di questo bene rifugio. E, come dici tu, Grazia.
SETLIST
Il bene rifugio
All You Can Eat
La parte del torto
Staffette in bicicletta
Sul divano occidentale (con Oliver Skardy)
Gloria all'archibugio
Ariosto Governatore
La crociata dei bambini
La cattiva educazione (con Margherita Vicario)
Minorità
Cha cha chaf della pozzanghera
Il tempo dei regali
Con i tasti che ci abbiamo
BIS
Papa nero (Pitura Freska cover, con Oliver Skardy)
Giovanni telegrafista (Enzo Jannacci cover)
Bardamù - Polka di Warsava (con ripresa de "Il tempo dei regali")