live report
Steve Earle Milano - Rolling Stone
Concerto del 19/05/2005
19 maggio 2005
ROLLING STONE (MI) Steve Earle non è mai stato il classico "american boy", neanche agli inizi della sua carriera quando proponeva un folgorante country-rock. E non lo è tantomeno ora che prende apertamente posizioni politiche contro l'amministrazione del suo paese. I segnali sono disseminati in ogni suo concerto, dal teschio con falce e martello che campeggia sulla batteria alle parole eloquenti che introducono le canzoni senza peli sulla lingua. D'altronde lui è uno dei pochi "american boys" che può permettersi di parlare di rivoluzione.
Al Rolling Stone ha suonato senza compromessi nemmeno nei confronti di quei fans pronti ad alzare il pugno in segno di protesta: più di una volta il cantautore texano ha provocato i presenti e li ha invitati a prendere posizioni attive dichiarando che "music can change the world, but you can't change the world only listening to music" oppure "join the Union, strike also when the Union doesn't strike and, when there is to get out in the streets, get out in the streets". Ed il messaggio è arrivato forte e chiaro anche a chi non masticava l'inglese: un rock'n'roll secco e senza fronzoli in una forma spesso dura con basso e batteria a suonare diritti senza alcun ricamo. Se in un primo momento Steve Earle sembrava giocare al risparmio con un atteggiamento piuttosto statico, è diventato man mano evidente che mirava a colpire con la sola forza delle sue canzoni, senza farle esplodere, senza concederle né concedersi al pubblico. Esemplari in questo senso le versioni dei pezzi tratti dagli ultimi dischi, frontali e cattive, con una batterria resa ancora più impietosa da un curioso bidone che ha dato al suono un effetto più urbano.
Steve Earle, ritornato in forma anche fisicamente (notevolmente dimagrito), ha usato tutte le armi a disposizione di un cantautore, aggiornando la lezioni di Woddy Guthrie prima con il parlato oscuro di "Warrior" e poi con il folk di "Rich man's war". Qua il concerto ha cominciato a sciogliersi, vuoi per le scuse per la rielezione di Bush (e per la data annullata nel precedente tour) vuoi per la presenza sul palco di Allison Moorer che ha offerto la sua voce in più di un pezzo svolgendo egregiamente la parte che in "Comin' around" era di Emmylou Harris.
Galvanizzato dalla presenza della compagna, Steve Earle ha lasciato andare qualche sorriso e ha cominciato a tirare le canzoni soffiando nell'armonica fino ad arrivare ad una "Copperhead road" prima eseguita col mandolino e poi aperta dalle sue proverbiali scariche elettriche. Addirittura in "Condi, Condi" è apparso divertito, pronto a sfottere e a rifare qualche mossa alla Elvis.
La seconda parte del concerto è proseguita sulla stessa linea con "I thought you should know" cantata in coppia da Allison e Steve, quest'ultimo inginocchiato verso la dolce compagna.
Un momento forte ed atteso è stata "Christmas in Washington" che è servita per invocare il fantasma di Woddy Guthrie e per rievocare il preoccupante stato in cui versa l'umanità. Quasi per reazione sono quindi arrivate "The unrepentant", introdotta dagli effetti distorti della chitarra elettrica, e "F the CC", culminata in un dito medio alzato in coro.
A sorpresa la cover di "Revolution" dei Beatles è stata calata nel tema e nel suono della serata seguita da una reprise di "Revolution starts now".
A questo punto quanti pensavano che il concerto fosse terminato, soprattutto di fronte ad uno Steve Earle visibilmente provato, sono stati smentiti: richiamato da una "I'm never satisfied" ripetutamente intonata dalle prime file, Steve Earle ha eseguito il pezzo prima di presentare il suo programma post-elettorale, comprensivo di una cover dei Rolling Stones a sera, che in questo caso è stata "Sweet Virginia". Tanto questa si è rivelata carica di speranza e di ironia, tanto l'acustica e la voce grave di Earle hanno reso amara "John Walker's blues". Un'ulteriore chicca è stata poi "Isn't it a pity" con un tenero duetto tra Allison e Steve (conclusosi comicamente con una zuccata nel goffo tentativo di un bacio).
Ha chiuso l'emblematica "Time has come today": qua la Moorer ha offerto una prestazione da shouter, mentre una seconda batteria veniva suonata da Patrick Earle. Alla fine Steve, stanco ma soddisfatto, ha alzato il pugno e salutato con un gesto di ringraziamento alla maniera araba.
Scaletta:
Revolution starts now
Home to Houston
Conspiracy theory
Ashes to ashes
Taneytown
Amerika 6.0
What a simple man to do
Warrior
Rich man's war
Comin' around
You're still standin' there
The truth
Copperhead road
Condi, Condi
I thought you should know
Christmas in Washington
Jerusalem
The unrepentant
F the CC
Revolution
Revolution starts now
I'm never satisfied
Guitar town
Sweet Virginia
John Walker's blues
Isn't it a pity
Time has come today