Van Der Graaf Generator

live report

Van Der Graaf Generator Gardone Riviera (bs)

18/07/2005 di Christian Verzeletti

Concerto del 18/07/2005

#Van Der Graaf Generator

VAN DER GRAAF GENERATOR

18 luglio 2005
GARDONE RIVIERA (BS) Nel pieno dell’epoca del revival, tra bands che rinascono ovunque dalle proprie ceneri, può capitare di tutto, anche qualche reunion che non sia dettata da motivi commerciali.
Succede ai Van Der Graaf Generator, gruppo storico del progressive più vero, tornati per un nuovo disco e per un tour che nemmeno i fans più accaniti forse si sognavano. D’altronde lo stesso Peter Hammill in un’intervista ci aveva dichiarato esplicitamente di sentirsi libero dal proprio passato e di poter considerare la possibilità di una reunion “solo se ci fosse qualcosa di nuovo da proporre”: così è stato e l’uscita di “Present” ha riavviato, almeno parzialmente, il cammino di ricerca della band proprio là dove si era interrotto ventisette anni fa.
Del disco parleremo più avanti, ma questa seconda trance di date italiane ha ribadito in modo inequivocabile la vitalità e la voglia di suonare dei Van Der Graaf Generator. A scanso di equivoci, va subito detto che lo spettacolo offerto da Hammill e compagni è distante anni luce dalla prova forzata offerta recentemente dai Pink Floyd al Live8: nulla a che fare con i VDG.
Le date che la band aveva tenuto lo scorso giugno nel nostro paese avevano fatto parlare i media e i fans e questo ulteriore ritorno mi aveva fatto temere un tentativo di cavalcare il buon momento dopo l’uscita del nuovo disco e i riconoscimenti ottenuti da Hammill di recente, Premio Tenco compreso.
Nella splendida cornice del Vittoriale invece i Van Der Graaf hanno fornito un eccellente prova, vigorosa e carica di musica vera, con ancora tanta voglia di suonare e di mettersi in discussione: certo, buona parte del set si è basata sulla garanzia dei pezzi storici, che però sono stati interpretati con estrema vitalità, intervallati con alcuni pezzi di “Present”. Subito l’entrata in scena di Peter Hammill, Dave Jackson, Hugh Banton e Guy Evans ha fatto capire come i quattro fossero vogliosi di affrontare il pubblico: mentre la band introduceva “Darkness”, Hammill percorreva il palco in lungo e in largo quasi per appropriarsene e per percepire l’ampiezza del luogo attorno a sé, con il lago di Garda a fare da scenario aperto alle sue spalle.
I presenti hanno accolto i quattro con entusiasmo, acclamando l’inizio e la fine dei brani e ascoltandone gli sviluppi con silenziosa attenzione: i pezzi hanno trovato subito la loro giusta collocazione e, quando durante “Undercover man” Hammill si è seduto al piano elettrico, il concerto ha cominciato a salire di tono.
Ogni brano ha presentato un gruppo integro, capace di lavorare su sé stesso come pochi, lavorando ad ogni battuta sulla ricerca di toni e non-toni: anche un pezzo nuovo come “Every bloody emperor”, dai tempi più normali, ha retto bene con la voce di Hammill ad ammonire grave. Proprio al canto Hammill ha confermato di non risentire del tempo passato; in un ambiente aperto come il Vittoriale, in cui bisogna farsi sentire, non ha esitato a salire e ad arrampicarsi anche su pezzi estremamente difficili da cantare come “Pilgrims”.
I primi veri picchi sono stati comunque “Lemmings” e “When she comes”, la prima colma di dissonanze e scheggiata da una chitarra elettrica, mentre la seconda introdotta dal flauto e poi lacerata dal sax di David Jackson.
Splendido anche il lavoro all’organo di Hugh Banton e alla batteria di Guy Evans, che hanno contribuito a rendere ancora multiforme il suono della band: quasi a conferma di una personalità assoluta, “Childlike faith in childhood’s end” ha ribadito l’esistenzialità dei pezzi dei Van Der Graaf prima di lasciare spazio ai giri di “The sleepwalkers”, schizzati in una serie di cambi di tempo fino ad una sorta di folle valzer.
Il finale è stato segnato da una “Nutter alert” introdotta da Hammill con un urlo e dal soul d’avanguardia di “Man-erg” e di “Refugees”.
Richiamati a gran voce da un pubblico che scandiva incessante il nome della band, i quattro hanno chiuso con “Theme one”, che ha visto David Jackson dare uno sfoggio estremo di tecnica e fiato soffiando contemporaneamente in due sax e Hammill lasciare il palco ai compagni per tornare ad aggirarsi in uno spazio sempre più aperto. Segnato da una musica che è ancora distante da qualunque definizione e categoria.

Scaletta:
Darkness
Undercover man
Scorched earth
Every bloody emperor
Lemmings
When she comes
Pilgrims
Childlike faith in childhood’s end
The sleepwalkers
Nutter alert
Man-erg

Refugess
Theme one