live report
The Cure Firenze, Visarno Arena
Concerto del 16/06/2019
Dopo le esibizioni degli italiani Siberia e dei Balthazar ecco gli Editors, che forse sarebbe stato bello vedere subito prima dei The Cure. Il loro suono, che fonde energia dark ed elettronica, va a segno e colpisce il pubblico. Il set parte con Violence, e passando per brani come Papillon e The racing rats si chiude con la disturbante (nel senso buono del termine) Frankenstein.
Ai Sum 41 spetta l’onore di precedere gli headliner. Il gruppo propone un punk rock orecchiabile nonostante le tentazioni metal, e oltre a brani propri come Walking Disaster offre anche Seven Nation Army dei White Stripes e una acceleratissima We Will Rock You dei Queen.
E poi ecco The Cure, capitanati da un Robert Smith che si rivelerà in splendida forma vocale e sonora, a dispetto degli anni e regalerà un’esibizione di ben due ore e mezzo. La scaletta bilancerà perfettamente il lato per certi versi più pop della band con quello dark – new wave, non avvertendo nessun calo di tensione.
La prima impressione, a giudicare dalle reazioni del pubblico e dall’alchimia che si crea all’istante, è che per certi versi i presenti riconoscano in Robert il Virgilio che li accompagnati nella scoperta di quello che c’è oltre lo specchio dell’infanzia una volta che sia andato in pezzi.
C’è l’amore ad esempio, che può significare la dolcezza dell’acclamatissima Lovesong o il senso di perdita di Pictures of you (uno dei momenti di picco del concerto). “Remembering you standing quiet in the rain/ As I ran to your heart to be near/ And we kissed as the sky fell in/ Holding you close” sono versi sempiterni, immagini romanticamente plastiche su trame dark che sembrano scolpite anche nella memoria dei presenti.
Se i brani che faranno capolino nel corso della serata sono superbi, basti pensare a una Just Like Heaven spaziale, non si può certo dire che il concerto sia iniziato in sordina. Shake Dog Shake compatta e granitica sembra star lì a dimostrare che si fa sul serio da subito. Dolorosamente lancinante è Burn, che fu scritta per la colonna sonora de Il corvo. A Night like this porta in primo piano le tastiere di Roger O'Donnell e mantiene la sua promessa: “Take a look/Beyond the moon/You see the stars”.
Fascination street è ipnotica e sensuale, sontuosamente dilatata, con sonorità ed energie che non risentono dei trent’anni passati dall’uscita di quel capolavoro di inquietudine che è Disintegration. Wendy time è una piccola chicca e ci regala un Robert sorridente e decisamente divertito, come lo sarà nell’accenno di balletto fatto durante Close to me. A Forest è un lanciarsi senza paracadute nell’ignoto, per atterrare in una selva oscura che offre tutt’altro che certezze.
La ninna nanna conturbante per eccellenza, ovvero Lullaby, è accolta con gioia infinita dai presenti. Così come la splendida tavolozza di umori settimanali che è Friday I’m in love.
Le abilità ballerine di Robert Smith fanno capolino anche per la scoppiettante Why Can’t I Be You?, che accompagna al finale. Ed è probabilmente con gli occhi lucidi che buona parte dei presenti ascolta Boys Don’t Cry. Una piccola grande gemma, che ricorda le lacrime ricacciate indietro da adolescenti (a prescindere poi che si fosse ragazzi o ragazze), che quando lo ascolti è in grado di mettere la tua tristezza in comunicazione con la bellezza di ciò che ti circonda e quindi di alleviarla, almeno un po’.
Poi Robert saluta e ringrazia, ma dovremmo essere noi a ringraziarlo per i ricordi, nonché il presente e il futuro che ci ha regalato.
Scaletta
Shake Dog Shake
Burn
From the Edge of the Deep Green Sea
A Night Like This
Pictures of You
High
Just One Kiss
Lovesong
Just Like Heaven
Last Dance
Fascination Street
Never Enough
Wendy Time
Push
In Between Days
Play for Today
A Forest
Primary
Want
39
One Hundred Years
Lullaby
The Caterpillar
The Walk
Doing the Unstuck
Friday I’m in Love
Close to Me
Why Can’t I Be You?
Boys Don’t Cry