Un’entrata in scena senza grandi parole, ma con tanta energia con Fiume Padre, decisamente elettrificata in versione on stage. Un ingresso quasi in punta di piedi che contribuisce a creare un’atmosfera che costituirà un valore aggiunto della serata. Ossia l’aria intima, quasi ci si trovasse in uno scantinato a sentire suonare dei propri amici e scoprire che il loro suono è un diamante grezzo che risplende senza ulteriori interventi. Perché Il testamento sul palco è un detonatore di emozioni, che traspaiono anche nella complicità tra i musicisti e lo staff.
Il concerto è tutto incentrato sul disco di Appino, senza concessioni al repertorio degli Zen Circus, e la scelta a mio avviso è coraggiosa nel decidere di non arruffianarsi il pubblico con pezzi noti da più tempo.
Fuoco e Specchio dell’anima permettono a Favero e Valente di mettere pienamente in mostra la loro potenza sonora. Con la presentazione di Passaporto Appino inizia a dialogare con il pubblico, dicendo che in questo tour vengono presentati brani ancora magari non troppo noti; però il pezzo sprigiona la sua dolcezza e come per magia tutti lo cantano. Non importa che il disco sia uscito da poco. E’ già entrato nei cuori, in quei meandri da cui non è facile uscire.
Arriva poi una dedica al Moby Prince e a Margaret Thatcher, perché come dice un candidamente emozionato Appino “per esserci un testamento deve esserci almeno un morto”. Le chitarre di Andrea ed Enzo sopperiscono agli archi, basso e batteria partono alla grande e così Il testamento diventa una maestosa sinfonia rock che vola tra angeli dannati. E una lacrima dagli occhi vorrebbe quasi sgorgare.
Questione d’orario offre l’occasione per raccontare della remota usanza di “esiliare” per un certo periodo la madre con il bambino nato all’infuori del matrimonio ed in qualche modo legata alla famiglia di Appino; Così il verso finale “tiene in braccio il figlio da allevare e dà il benvenuto a quello da affogare” lascia un ulteriore brivido lungo la schiena.
Per I giorni della merla Andrea resta solo al centro del palco: il gruppo riappare solo dopo un po’ con Favero alle tastiere. L’invocazione alla “bambina meraviglia” sembra ghiaccio di un animo che si scioglie, sacrale ed amniotica.
Godi nonostante il ritmo rallentato dal vivo, suonata a testa bassa, acquista una verve punk nel finale “sono libero solo dentro al libero arbitrio / in un libero stato del mio medio dito”. Tre ponti con il suo prezioso incedere trasforma Appino in uno sciamano, soprattutto nel cantare il ritornello “uno di libertà, due di crudeltà / lei non sa, lo saprà / è figlia di tre verità “.
Che il lupo cattivo vegli su di te è un tripudio rock, un hallelujah laico, forse l’unico possibile in un mondo in cui anche le fiabe si rovesciano. Solo gli stronzi muoiono è ancora più tagliente e disperata, per esplodere nel “muori o non muori”. Lo stesso per Schizofrenia, meravigliosa follia. Il gruppo a questo punto esce.
Con il suo rientro è il momento dei bis. Il primo è 1983, che si fa allucinata, mentre il finale è affidato a La festa della liberazione, che, da dylaniana, grazie all’armonica, diventa un’orgia di energia rock, un cuore pulsante sulfureo in cui le chitarre si incrociano, la mediocrità dei piccoli centri viene polverizzata in una luciferina liberazione.
Dire grazie, dopo un concerto così in grado di mettere a nudo ogni contraddizione interiore, una sorta di psicanalisi rock,è davvero poco.
Setlist:
Fiume Padre Fuoco!
Specchio dell’anima
Passaporto
Il testamento
Questione d’orario
I giorni della merla
Godi
Tre ponti
Che il lupo cattivo vegli su di te
Solo gli stronzi muoiono
Schizofrenia
Bis
1983
La festa della liberazione