Mulatu Astatke

live report

Mulatu Astatke Auditorium Parco della Musica - Roma

10/03/2011 di Giampaolo Galasi

Concerto del 10/03/2011

#Mulatu Astatke

L’ultima volta che ho visto Mulatu dal vivo, poco meno di un anno fa, si esibiva con la bostoniana Either/Orchestra, con la quale ha inciso l’ultimo episodio discografico Mulatu steps ahead (che conta inoltre innumerevoli ospiti). Ricordo con piacere un teatro Manzoni pieno di Etiopi, mentre fuori un anziano signore interloquiva al cellulare segnalando questa anomalia che era finita in prima pagina dell’edizione cittadina del Corriere della Sera suscitando la curiosità di molti non appassionati.
Mulatu poi, apparì a concerto ben avviato, come guest, e quindi da tempo agognavo una sua rappresentanza completa, come prime mover e non come ospite, seppur di lusso. Più sostanza e meno celebrazione, insomma. Mi sono precipitato a Roma, città che ha accolto il Duke Ellington etiope già con gli Heliocentrics due anni fa e che avrebbe fatto volentieri il bis l’estate scorsa, non fosse stato per un malore. La temperatura dell’Auditorium era dunque calda e accogliente a sufficienza, non fossero bastati i rare grooves del settetto.

Astatké si prodiga in calde note a un organo vintage, ricordando le atmosfere davisiane all’epoca fraintese per fusion, e all’inseparabile vibrafono, mentre attorno a lui batteria, percussioni, tromba, tenore, clarinetto, flauto, viola e contrabbasso cuciono ai suoi brani, pescati lungo il repertorio storico (quello che tutti abbiamo imparato ad amare tramite le preziose ristampe Buda e Strut) e i dischi più recenti, un groove caldo e seducente che ricorda quello della band di Fela Kuti.

Scaletta generosa che non risparmia le composizioni dal sapore afrocubano, lasciando ampio margine ai singoli strumentisti e alle loro uscite in solitario o in duo. Consiglio vivamente a chi non ha ancora assistito a una esibizione di Astatké di non lasciarselo scappare la prossima volta che sarà in Italia. Mulatu è un pezzo di storia della musica, e le sue creazioni praticamente uniche.

Ricordiamo che quando negli anni sessanta il musicista e compositore ha iniziato a raccogliere stimoli in giro per l’Europa e gli Stati Uniti nella sua terra natale non esistevano formazioni orchestrali a meno che non si trattasse di bande militari, e che con l’altra anomalia Getatchèw Mékurya per decenni i grooves etiopi saranno esclusivamente legati al funky e a performer vocali (seppur di grande caratura, da Thlaoun Gessessé a Mahmoud Ahmed), siamo quindi in presenza di un autentico innovatore che sta vivendo una seconda giovinezza: prezioso, unico e insostituibile. Cercatelo.