Chi aveva letto o ascoltato qualcosa, anche solo vagamente, aveva probabilmente intuito ciò che sarebbe successo domenica 8 Novembre alle 11 del mattino sul palco del Teatro Manzoni di Milano: una festa! E con gli
Yemen Blues di
Ravid Kahalani festa è stata! Una festa che inizia subito con il primo brano, un funky mediorientale che subito scalda le percussioni di
Rony Iwryn e
Itamar Doari (si, in formazione niente batteria ma “solo” due percussionisti) e il pazzesco basso di
Shanir Blumenkranz che spinge poderoso e già a metà brano sfodera un solo distorto e cattivo che lascia tutti bocca aperta (e mi rimanda in qualche modo alle aperture della chitarra di Tofani negli Area). Naturalmente gli altri musicisti non stanno a guardare. La tromba e il trombone di
Roci Harmon e
Gershon Wisenfirer, ad esempio, scandiscono riff meticciati sui quali la voce del leader Ravid Kahalani mostra sin da subito una versatilità non comune con una voce piena e arrochita nella strofa e un falsetto invidiabile nel ritornello. Il pubblico è subito preso anche perché Kahalani è animale da palcoscenico e ha capito che il pubblico è già pronto per questa festa mattutina! Blumenkranz imbraccia l’oud e Kahalani il gimbri (una specie di chitarra a tre corde di origine ganese) e ci spostiamo nel nord africa berbero e ipnotico. La pressione ritmica sembra inizialmente meno presente ma nel giro di poco il pubblico si muove morbido tra i serrati botta e risposta degli strumenti a corda sino alla comparsa di
Brian Marsella che, con il suo piano elettrico, incendia il brano con un ulteriore crescendo della migliore scuola downtown newyorchese. Nell’ora e mezza di concerto si passa in rassegna (quasi) tutta la musica che va dallo Yemen, paese di origine di Kahalani, al Maghreb. Naturalmente addizionata da un po’ di jazz, musica francese, influenze balcaniche (visibili spesso nelle linee dei fiati e a volte doppiate all’unisono anche dal basso di Blumenkranz), soul, jazz e infinite altre contaminazioni.
Il concerto è equamente diviso tra i brani del primo e del secondo album ed è chiaro in ogni frangente perché le preziose mani di Bill Laswell si siano così innamorate del suono di Ravid Kahalani e i suoi Yemen Blues così da produrne i due lavori.
L’ultima mezzora di concerto è poi l’apoteosi con il pubblico a ballare sotto il palco e in piedi davanti all’esiguo spazio che le poltroncine del Manzoni concedono. Il piacere di suonare e il calore del pubblico portano il gruppo a saltare a piedi pari il rito del bis, ed è bello vedere il band leader incitare i musicisti a rimanere sul palco per non interrompere la festa (ed è stato bello anche vedere il sorpreso confabulare fitto dei musicisti indecisi sul che fare nel momento della richiesta di bis!).
Ma il divertimento, la grande capacità dei musicisti, le doti carismatiche e vocali del leader non devono comunque far dimenticare i limiti del progetto che, a fronte di una comunicativa notevole, a volte sembrano un po’ chiusi in una serie di cliché che solo la grande freschezza eseguiva fa sorvolare. Ma festa doveva essere e festa, delle più belle, è stata.