live report
La Musica Nelle Aie Castel Raniero
Concerto del 08/05/2010
[Paolo Lizzadro]
Bello! È incredibile come la bellezza, quando la si incontra, sia così operatrice naturale del cambiamento... Nel fine settimana dal 6 all’8 maggio ho avuto la rara possibilità di sperimentarle il bello assieme a quindicimila persone a pochi passi da Faenza alla La Musica Nelle Aie. È una manifestazione che si svolge ogni anno a Castel Raniero, borgo incantevole tra colline con campi colmi di alberi da frutto attraversate da una strada stretta stretta. Nella giornata di domenica un fiume di persone ha percorso a piedi quasi sei chilometri in un anello per vedere suonare 22 gruppi musicali legati, in varia maniera, al circuito della musica folk. Ventidue band a distanza di qualche metro l’una dall’altra che, protetti da un bersò da una calura primaverile che sembrava estiva, si sono esibiti quasi senza interruzione dalle 14 alle 19 in un contest musicale unico in Italia.
Da Udine venivano i vincitori Demodè che, tra citazioni colte, folk e jazz, echi prog e sapori mitteleuropei hanno incantato giuria e pubblico con una musica personale e ricca di fascino d’altri tempi. Il sestetto, (batteria basso clarinetto sax violino e piano), dovrà solo ammorbidire leggermente una vena accademica che qua e la serpeggia per diventare una grande possibilità per la musica italiana (ancorché di nicchia).
Gli energetici e puliti Folka Miseria dalla provincia di Novara alle prese con musiche dalla tradizione europea, e non solo, più varia; La maestria all’organetto di Giuliano Gabriele che con i suoi Jacaranda viaggia tra il repertorio del centro-sud Italia con nuova energia e arrangiamenti elettroacustici freschi e complessi; Le Piment Trio da Bologna che tra organetti, pive e batteria riescono a cavare suoni e ritmi sfiorando appena gli strumenti, trascinandoci leggeri tra dolci musette francesi e la tradizione emiliana più autentica; Le Radeau de la Musique da Lecco in tre sembravano un’orchestra intera con brani che avevano il sapore delle canzoni della vecchia scuola milanese dei Jannacci del primo Gaber come dell’accoppiata Gufi/Brassens con composizioni originali cantate benissimo cui gioverebbe forse solo una sforbiciatina su testi a volte un po’ prolissi e dispersivi nel racconto; L’ Orchestrona di Forlimpopoli con più di trenta musicisti tra professionisti e allievi provenienti da una delle scuole di musica popolari più importanti d’Italia che tra organetti, flauti, chitarre, contrabbassi, violini e percussioni sono commuoventi per l’attenzione e la freschezza con cui costruiscono repertorio e arrangiamenti; E lo stralunato punk-reggae-combat-folk dei Margò da Predappio; la Piccola Bottega Baltazar da Padova, che ci offre una canzone d’autore ormai da tempo conosciuta e apprezzata per la sua fresca maturità tra richiami pop, folk e jazz; i trascinantissimi Radio Zastavapieni di quegli echi balcanici tra Kocani orchestra e Goran Bregovic propri di chi si è formato sulle onde radio dell’ex Jugoslavia e ha imparato, con una sezione di fiati indiavolata, il segreto per trascinare la gente al ballo e alla festa come in un film di Kusturica; i Radìs simpatici ed energetici vincitori del premio del pubblico con punk folk tirato forte e festoso fino allo sfinimento;
E poi anche strani e riusciti esperimenti come quello dei Rasa Seyir che uniscono musica tradizionale turca e indiana che ai puristi potrà fare rabbrividire ma che ho trovato assolutamente intrigante; il folk-medieval-rock (fin troppo kitsch) dei Taberna Vinaria di Bolsena tra chitarroni heavy, bouzouki e cornamuse; i Trio 99 che dall’Aquila ripresentano brani pop/folk degli ultimi 100 anni scelti tra quelli più universalmente conosciuti (da Tanto Pe Cantà a O Mia Bela Madunina per intenderci) con ironia e freschezza esecutive sbalorditive; finendo con i Tziganotchka di Forlì con la loro musica popolare d’Europa, contaminata e mescolata fino a confonderne i confini geografici d'origine.
Ma questi sono solo alcuni dei gruppi che suonavano. La festa era nei nonni e nei bambini che ballavano assieme alle scuole di ballo popolare durante il percorso; nei volontari attentissimi che raccoglievano le pochissime cose che un pubblico educatissimo sfaceva cadere per terra; nelle persone che cercavano con naturalezza dove buttare il proprio rifiuto nella raccolta differenziata; nell’inviolabilità dei campi coltivati e delle proprietà private sempre rispettate; nel vino che scorreva copioso ma bevuto responsabilmente in una lezione di civiltà che mi ha lasciato sorpreso e ammirato ancora più della musica o delle capacità organizzative viste. E poi il cibo e concerti serali dei tre giorni di festa con musicisti di prim’ordine; i corsi di musica popolare e le visite guidate nei boschi della zona; i corsi di cucina e la gara podistica di sabato con le sue bottiglie in omaggio. E i sorrisi continui, l’allegria della cucina e dei piatti che sono esauriti! Da musico dilettante in quella domenica pomeriggio ho pensato che in molti degli artisti che si esibivano in quei sei kilometri potessero riecheggiare le parole che già De Andre fece sue:
In un vortice di polvere gli altri vedevan siccità,
a me ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa.
Sentivo la mia terra vibrare di suoni, era il mio cuore,
e allora perché coltivarla ancora, come pensarla migliore.
Libertà l’ho vista dormire nei campi coltivati
a cielo e denaro, a cielo ed amore, protetta da un filo spinato.
Libertà l’ho vista svegliarsi ogni volta che ho suonato,
per un fruscio di ragazze a un ballo, per un compagno ubriaco.
Grazie ragazzi e all’anno prossimo.
Ps: penso che questa educazione al bello e alla responsabilità sia l’unica strada percorribile per un cambiamento reale della società. Penso di avere avuto la fortuna, in poco più di un mese, di avere visto i primi frutti di un modo nuovo di vedere la nostra terra e i nostri comuni; le nostre cose diventare cose di cui prendersi cura un po’ più “nostre” e un po’ meno “mie”. Bello!