Kimmo Pohjonen & Eric Echampard

live report

Kimmo Pohjonen & Eric Echampard Teatro Manzoni - Milano

08/02/2015 di Paolo Ronchetti

Concerto del 08/02/2015

#Kimmo Pohjonen & Eric Echampard#Derive#Suoni Progressive

Il fisarmonicista finnico Kimmo Pohjonen lo vidi per la prima volta dodici o tredici anni fa al Festival di Villa Arconati. Colpì tutti, me incluso, quella esibizione così teatrale: quella impudica potenza esibita, il suo accentuare una musica, vibrante eccessiva e piena di suono.

 Presi subito i due cd in vendita Kluster e Kalmuk (ambedue del 2002) e tornato a casa li ascoltai quasi subito. Ma, se l’orchestrale Kalmut mi sembro notevole in alcune parti, Kluster mi restò non solo indigesto ma mi rese evidente di come la maggior parte della poetica e della musica del Fisarmonicista finlandese potesse essere un abile bluff. Tutta quella esagerazione dinamica aveva un senso reale o era solo paccottaglia venduta con un gran senso dello spettacolo?

 Tre anni fa il disco con il Kronos Quartet (Uniko) mi riavvicinò a Pohjonen ma rimasi, in fondo, un po’ diffidente. Per sfida con me stesso ho quindi preso il biglietto del concerto di domenica mattina per gli Aperitivi in Concerto del Teatro Manzoni. E per sfida ho preso il disco del duo Pohjonen - Enchampard (Fisarmonica e Batteria) al banchetto PRIMA di sentirli dal vivo!

 Ma com’è andata? Diciamo subito che il pubblico è stato rapito da questo musicista che, come mostrano benissimo anche le belle foto di Elene Barusco, sembra in grado di scatenare gli elementi della natura: in lui sembra di sentire il vento impetuoso; il fuoco lavico che consuma e brucia la terra; l’acqua che la purifica. Il fragoroso applauso finale mi dice che Pohjonen aveva tutti in pugno, che la sua narrazione potente aveva raggiunto tutti! Ed ho applaudito anch’io! …ma… si continuo a pensare ad un ma!

 Tutto mi è sembrato sempre troppo estetizzante, scenografico e magniloquente. Troppo spesso il risultato sembrava ridursi ad essere una specie di folk-prog nordico in cui l’effetto ha sempre la prevalenza sulla musica. I lustrini sulla fisarmonica, le luci ad effetto, il muoversi sensuale e teatrale, l’uso eccessivo delle dinamiche (si inizia SEMPRE da un Pianissimo e si finisce SEMPRE su un Fortissimo), il suo essere sempre al limite del pacchiano rischiano di rendere tutto troppo omogeneo. Disperdono dalla grande capacità che comunque Pohjonen ha di giostrare con i suoni non solo tipici dello strumento ma di TUTTO il suo strumento (mantice, corpo, tastiera e la fisarmonica tutta producono soffi, sfrigolii, suoni percussivi e decine di altri suoni); distraggono dalla bravura del batterista francese Eric Echampard con cui divide il palco. Ma soprattutto non fanno risaltare i momenti in cui tutto sembra meno “gratuito” come quando (in quello che potrei definire il quarto movimento della lunga suite presentata) il lavoro sugli armonici dello strumento diventa magia e musica (composizione) vera.

 Forse l’istrionico fisarmonicista finlandese avrebbe bisogno di suonare meno in solitudine. Avrebbe bisogno di suonare da gregario per re-imparare una essenzialità e una misura (anche del suo ego) che potrebbe solo giovarli. 

 Forse direi che questa mattina non ho buttato via un’ora e mezza ma probabilmente Pohjonen sta rischiando di buttare via un talento e un carisma probabilmente unici.

 Foto per cortesia di Elena Barusco