live report
Curtis Harding Roma / Monk
Concerto del 05/09/2024
Curtis Harding arriva da Saginaw, Michigan, dove, come nella migliore tradizione della Black Music, cresce accompagnato dalla musica gospel della Chiesa locale. Si trasferisce poi ad Atlanta, dove avviene la sua maturazione musicale, che lo porta a inglobare nel proprio background anche il rock garage, la psichedelia e l'hip-hop. Tre album all'attivo in dieci anni non sono tanti, ma gli sono comunque valsi un riscontro di pubblico e critica sempre più crescenti.
Quando Curtis e la sua gang guadagnano il palco, la temperatura all'interno del locale è già quasi oltre il livello di soglia. Poco male, perché Keep On Shining mette subito in chiaro le coordinate musicali di un viaggio che si sviluppa attraverso un bollente condensato di soul, funk, r&b, rock, garage, psichedelia e hip-hop. Il ragazzo ha un carisma magnetico e accattivante, sul palco si muove con la sicurezza di chi ha vissuto le notti sporche, nere e fumosi dei locali underground. L'impegnativo nome di battesimo richiama subito paragoni con il più illustre Curtis, ma anche con Marvin Gaye, Otis Redding e James Brown, passando attraverso Isaac Hayes, Temptations e Chic, per arrivare a Lenny Kravitz.
Anche The Drive esce dal primo disco Soul Power (2014) ed è caratterizzata da un groove scuro e pressante, mentre Need My Baby, tratta da Face Your Fear, ha richiami del già citato Isaac Hayes. The One e Till The End sono ballads assassine che strizzano l'occhio ad un Soul morbido e sensuale. On And On e Dream Girl si giocano in falsetto e richiamano gli insegnamenti dei numi tutelari, mentre Heaven's On The Other Side ha un giro funky che mette a ballare tutto il Monk. Curtis è sempre più padrone del gioco e la band, con basso, chitarra, batteria e tastiere, esegue alla perfezione ogni schema di gioco proposto. Face Your Face, Freedom e Castaway rallentano i ritmi, disegnando immagini notturne, lente e avvolgenti, seguite da Explore e Can't Hide It, che si intingono invece di vibrazioni hip-hop.
La splendida ballad I Won't Let You Down apre la strada al finale funkeggiante di Wednesday Morning Atonement e alla trascinante Need Your Love, il brano più classicamente Soul e r&b del suo repertorio. Nonostante il tangibile entusiasmo del pubblico, Curtis e i ragazzi concedono un unico bis, Hopeful, anch'essa impregnata di ritmi hip-hop e proveniente dall'ultimo lavoro If Words Were Flowers.
Un finale che lascia un po' l'amaro in bocca, per quello che poteva essere e non è stato. Si confermano purtroppo le impressioni in chiaro scuro già emerse quando lo vidi per la prima volta nel 2017 al Magnolia. Sostanzialmente un concerto energico, rivitalizzante e assolutamente godibile, penalizzato forse da una durata eccessivamente breve. Un'ora e un quarto è decisamente poco per un artista emergente. Non che la qualità di un concerto si debba misurare sulla durata, per carità, però, quando riesci a portarti tutto il pubblico dalla tua e non dai un qualcosa in più, non sferri l'attacco finale, allora forse manca qualcosa in termini di empatia. Anche l'arrangiamento stesso dei brani poteva esprimere un pizzico di fantasia e improvvisazione in più rispetto alle versioni già conosciute dai dischi. Per certi versi tutto forse troppo scolastico e studiato.
Soul Power!