Fontaines D.C.

live report

Fontaines D.C. Milano / Alcatraz

04/11/2024 di Laura Bianchi

Concerto del 04/11/2024

#Fontaines D.C. #Rock Internazionale#Rock

Tutte le inflessioni della Penisola, e anche altre lingue, si mescolano stasera, nella lunghissima fila che per due ore si snoda lungo due lati del grande Alcatraz di Milano. E siamo un po' tutti prigionieri del rock and roll, stasera, ma, anche, forzati preda di una città che non sa, non può, non vuole trovare uno spazio dignitoso per la musica dal vivo, che non sia una scatola in cui si sta tutti ammassati, quasi impossibilitati a muoversi e a respirare.

Succede per i grandi concerti, e quello di stasera lo è: suonano the next big thing, i Fontaines D.C. E l'attesa, nella scatola, si prolunga oltre l'ora indicata per l'inizio, proprio per permettere alle migliaia di persone almeno di entrare, se non di prendere un posto decente. Ma l'attesa e lo stress e il pigia pigia vengono cancellati, quando si accendono le luci del palco: esplode un basso synth, e d'un tratto capiamo che, forse, la band un tempo così dublinese da portare le iniziali della loro città nel nome, "Dublin City", ha cambiato pelle, in una mutazione da gruppo post-punk irlandese, esploso cinque anni fa, a band in cerca di un'identità propria, tra le insidie del mainstream, le citazioni e la ricerca elettronica.

Romance, la traccia che dà il titolo al quarto album ( qui la nostra recensione https://www.mescalina.it/musica/recensioni/fontaines-dc-romance-) è breve, dai toni cupi, dark; e infatti torna spesso, nel live, il richiamo ai Depeche Mode e ai Cure, sottolineato anche dalla tonalità della voce dell'instancabile, magnetico, energico front man Grian Chatten ("Into the dark Again", canta). È comunque una mutazione meditata, curata nei minimi dettagli, guidata dal produttore James Ford che segue non solo Arctic Monkeys, ma anche l'ultimo disco proprio dei Depeche Mode.

Che però la mutazione sia in corso d'opera si avverte nel suono poliedrico che emerge da ogni pennata dei due chitarristi Carlos O'Connell e Conor Curley, che coinvolgono la platea con assoli a volte à la Nirvana, altre più stile Smiths, ma sempre efficaci, come nel caso di Nabokov , o nella splendida Roman Holiday.


La poliedricità eclettica della band si svela in una sorta di giro di giostra delle meraviglie stilistiche: breakbeat, linee di basso dei Pixies (Death Kink), dreampop, accenni agli Smashing Pumpkins, e slacker rock che tende all'indie (Favourite) sulla nostalgia per un amore passato:

Non mancano comunque immersioni nel dark sognante e ipnotico, come nella recente Sundowner, cantata dal chitarrista Conor Curley, che, se può sembrare lievemente lugubre, è comunque portatrice sana di un riff accattivante:

Ma brillano anche le gemme del passato, su tutte A Hero's Death e Boys In The Better Land, che restituiscono l'energia punk rock dei primi tempi, amplificata da una conoscenza degli strumenti che li proietta in una dimensione più rock che punk, anche se la bandiera della Palestina

e un Free Palestine! gridato da Chatten (l'unica frase che dirà, a parte alcuni Grazie mille...) testimoniano il loro impegno sociale.

Se prima il gruppo incantava per i suoni scarni, essenziali, eppure ricchi di risonanze, ora la strada sembra aperta verso sonorità più sature, che vengono pienamente colte anche grazie a un impianto scenico minimale, con la band spesso in penombra, mentre sullo sfondo campeggia la loro scritta iconica, le luci stroboscopiche investono la platea e Chatten la incita con ampi gesti delle braccia, salendo sulle casse e coinvolgendo fino alle ultime file. Ma la forza della band risiede nelle sei corde: acidissime in Here’s the Thing, più ispirate nel primo dei tre bis In the Modern World, potente contrappunto ai versi della canzone, dalla poesia unica, quasi epica, sottolineata dal synth e da alcune improvvisazioni che ricordano Lana Del Rey.

La poetica mostrata dalle liriche di Chatten è molto più profonda di quella che richiederebbe una canzone mainstream, sospesa com'è tra Salinger e le filosofie orientali, e il bis conclusivo Starburster lo dimostra, mentre la scritta si compone dei colori della bandiera irlandese:

Così, tra un omaggio al grunge, cori del pubblico - transgenerazionale, e davvero consapevole, responsabile, se si considera la situazione di disagio collettivo - intemperanze punk e parentesi liriche, l'ora e mezza trascorre velocissima, e restituisce l'impressione che forse i Fontaines D.C. non saranno the next big thing, ma sanno stare sul palco, sanno suonare, divertire e pure riflettere. A nemmeno trent'anni, non è poco.


FOTO DI GIOVANNA MENTASTI


SETLIST

Romance

Jackie Down the Line

Televised Mind

A Lucid Dream

Roman Holiday

Big Shot

Death Kink

Sundowner

Big

A Hero's Death

Here's the Thing

Bug

Horseness Is the Whatness

Nabokov

Boys in the Better Land

Favourite


BIS

In the Modern World

I Love You

Starburster