live report
Zu Zero Music Club - Azzano S. Paolo (bg)
Concerto del 04/03/2005
04 marzo 2005
Zero Music Club di Azzano S. Paolo (BG) Cos'e' lo Zuismo? Mi ripeto questa domanda senza tregua mentre mi faccio largo nel locale, tre le facce più o meno conosciute degli habitué dello Zero.
Me lo chiedo mentre assisto all’esibizione dei Laramie, esordiente trio strumentale formato dai canonici basso chitarra batteria che ci intrattiene con uno stoner gustoso e potente, dove a farla da padrona è una ritmica ora solenne, ora più incline a geometrizzare lo sviluppo di brani dilatati che si dividono tra rock puro e psichedelia.
Me lo chiedo durante il lungo cambio palco, dove gli stessi ZU si dividono tra il montaggio dell’attrezzatura e un soundcheck improvvisato a scena aperta. Mi arrovello cercando un’improbabile risposta fino a che un pensiero sottile mi fa sorridere: l'ennesima serata del festival della canzonetta in rima baciata deve essere a quest’ora tarda già terminato. Ora, nel buio di un piccolo club, tutto può essere. Che non sia proprio questo il momento più adatto per trovarsi faccia a faccia con un gruppo come gli ZU, lontanissimo dalla canzone di massa ma perfettamente a proprio agio con quella musica ostica e sgradevole per definizione che è il noise jazz più efferato?
Senza troppi complimenti la tanto attesa lezione di Zuismo ha inizio, ed è esplicativo quanto spetti ad un brano come “Detonatore” aprire la performance sul palco. Se il gruppo adotta la classica configurazione del trio che vede un sax baritono, una batteria e un basso disposti in linea retta, meno consueta è l’attitudine dei musicisti, dove le rispettive capacità tecniche vengono svincolate da canoni di sorta in funzione di una libertà espressiva totale e selvaggia, ereditata dall’esperienza che fu dei loro predecessori Gronge.
Dietro a quelle che hanno tutta l'apparenza di improvvisazioni brillanti, lanciate in ritmi sghembi o verso una corsa forsennata e ipercinetica si celano precise strutture di derivazione hard core. È questa la formula che ha lanciato il gruppo romano nel circuito mondiale degli appassionati di un filone radicale ed affascinante, scalandone le vette e guadagnando i favori di personaggi quali fra gli altri John Zorn, Steve Albini e Eugene Chadbourne.
La musica scorre tribale eppure colta, evoca scenari preistorici e dall'altissimo tasso di fisicità. Un big bang che impressiona e rigenera al contempo, che trascina il pubblico in una catarsi da vivere immobili, lasciando che ogni singola vibrazione venga assorbita e metabolizzata.
Gli ZU sono un spettacolo per l’orecchio quanto per la vista, dove il soffio potente del sax di Luca Mai va a braccetto con la stazza di un personaggio imperturbabile, lo spilungone Jacopo Battaglia, vero e proprio camaleonte della ritmica, fa sfoggio di una camicia con inserti leopardati dannatamente invidiabile, mentre Massimo Pupillo suona scalzo un basso tagliente, preciso al millimetro.
L’esperienza scorre magmatica e iprontizzante al punto che, al termine, pur constatando sia trascorsa solamente un'ora, in realtà par essersi consumata una vita intera... quella stessa differenza che in fondo è facilmente ravvisabile tra la finzione videodivanpopolaresca che l'industria festivaliera ci spaccia come musica e il sudore di cui sono sature le pieghe della pelle, degli abiti, dell'aria intorno al palco che questa notte ha ospitato la dimostrazione pratica di cosa diavolo sia lo zuismo. Ora è tutto più chiaro, mi ripeto sorridendo da solo, e chissà quale espressione da ebete devono leggermi in faccia le persone che incrocio mentre guadagno l'uscita.