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live report
The Black Crowes Milano / Alcatraz
Concerto del 03/07/2013
Non si era al Fillmore East.
Non si era nel 1973 (purtroppo – per i quarant’anni di aspettativa di vita in più che avevo allora - o per fortuna - 8 anni, all’epoca, e a letto dopo Carosello…).
E sul palco non c’erano l’Allman Brothers Band, i Little Feat o la Band (e neppure gli Stones o i Traffic, ma di questo si riparlerà).
Si era all’Alcatraz di Milano, la sera del 3 luglio 2013 e sul palco c’erano i Black Crowes che – lungi dall’essere un gruppo dedito ad una mera rievocazione revivalistica dei bei tempi andati – sono certamente la band che meglio incarna lo spirito e l’attitudine di quelle band o, per meglio dire, di un’intera stagione in cui la musica rock aveva ambizioni e prospettive, musicali e non, ben più ampie rispetto a quanto avvenga ai giorni nostri.
Spirito e attitudine filtrati poi attraverso il talento e la personalità della band, a partire, naturalmente, dai fratelli Robinson.
I Corvi salgono sul palco con puntualità sin eccessiva alle 20.30 in punto, contrariamente alla (brutta) abitudine italica per cui l’orario di inizio dei concerti rock è spesso una mera indicazione di massima, e mettono subito sul piatto la prima delle loro molteplici anime musicali, con la doppietta formata da Jealous Again e Thick’n’Thin, sporche e tirate come il dio del rock’n’roll comanda estratte dal loro album di debutto, a cui fa seguito il miglior pezzo stonesiano che non è stato composto dalla benemerita ditta Jagger & Richards (la quale, probabilmente, non è in grado di comporre un brano simile da almeno una trentina d’anni a questa parte, ma questo è un altro discorso): Hotel Illness, con Chris Robinson, dominatore sciamanico del palco per l’intera serata, impegnato all’armonica.
Dopo Black Moon Creeping e Bad Luck Blue Eyes Goodbye, arriva l’omaggio ai Traffic con Medicated Goo, a testimonianza del fatto che gli orizzonti musicali di questa american (fino al midollo) band varchino anche l’Oceano.
Grandissima la versione di Soul Singing, decisamente più convincente e trascinante di come appariva su Lions, album con cui si era chiusa la prima vita della band con il temporaneo scioglimento, aldilà di un album live che a confronto con quanto visto oggi appare ancor più trascurabile.
Arriva poi una Wiser Time che sfocia in una lunghissima jam (e come non pensare ai Little Feat di Waiting for Columbus?) in cui si rincorrono le chitarre di Rich Robinson e di Jackie Greene, il nuovo entrato nella band chiamato al non facile compito di non far rimpiangere mister Luther Dickinson, e la tastiere di Adam MacDougall.
A seguire il lato acustico dei Corvi, con un altro dei classici della loro produzione - She Talks to the Angels - con l’acustica di Rich Robinson ed il mandolino di Jackie Green a far da supporto alla grande voce di Chris.
Non mancano poi i Crowes in versione musicisti da strada, con una Whoa Mule (tratta da Warpaint, unico album post-reunion della band citato nel corso della serata) che va dritta alla radici della nostra musica - con Steve Gorman che lasciata la batteria a scandire il suo ritmo trascinante con nulla più delle proprie mani ed un bongo - e che probabilmente Harry Smith avrebbe volentieri incluso nella sua leggendaria Anthology of American Folk Music.
Da qui si riparte per il gran finale con, in sequenza, Thorn in my Pride, una devastante Remedy e Hard to Handle (e, ovunque sia, sono pronto a scommettere che mr Otis Redding non ha potuto esimersi dall’unirsi alle danze) fusa – in maniera forse azzardata, ma certamente efficace – con la Hush di Billie Joe Royal con cui si chiude il concerto.
Richiamata a gran voce, la band torna sul proscenio e offre la perla della serata: una meravigliosa versione di No Expectations con la slide di Rich Robinson ad inseguire il fantasma di Brian Jones, di cui proprio il 3 luglio ricorreva il quarantaquattresimo anniversario della scomparsa.
Finale affidato – dopo due ore esatte di musica – ad un altro pezzo tratto da Warpaint, ovvero una dilatata ed ipnotica Movin’ on Down The Line.
Concerto meraviglioso, pur con le mille assenze nella scaletta sia tra i brani di loro composizione, sia tra l’ampio catalogo di cover con cui sono soliti impreziosire le loro esibizioni, a dimostrazione della solidità del loro repertorio e della loro strabiliante capacità di tenere il palco.
Semplicemente, la più grande rock’n’roll band in circolazione sul pianeta, oggi.
E anche nel 1973, di certo, non avrebbe sfigurato…
PS: mi accorgo di non aver citato sin qui Sven Pipien, implacabile al basso dall’inizio alla fine del concerto. A suo merito anche il fatto che in quanto ad aspetto vintage supera addirittura Chris Robinson ….
Setlist
Jealous Again
Thick’n’Thin
Hotel Illness
Black Moon Creeping
Bad Luck Blue Eyes Goodbye
Medicated Goo
Soul Singing
Wiser Time
She Talks To The Angels
Whoa Mule
Thorn In My Pride
Remedy
Hard To Handle/Hush
No Expectations
Movin’ On Down The Line