live report
Kernel Festival Villa Tittoni Traversi / Desio
Concerto del 01/07/2011
Il giudizio però va contestualizzato, e va dato atto agli organizzatori del festival di essersi impegnati moltissimo. Soprattutto per quel che riguarda la scelta degli audiovisual mapping (che, tra un concerto e l´altro, animeranno la facciata della villa), non solo si è selezionati artisti italiani e internazionali all´interno di una rosa di trecento partecipanti, ma si è anche fornito loro le coordinate esatte del lavoro stesso, secondo una logica di collaborazione con gli artisti, e con le istituzioni, assolutamente necessaria e, nel tempo, sicuramente vincente. Non è un caso che gli interventi più applauditi dal pubblico siano quelli con i visuals in 3D, cosa che evidenzia però un problema culturale legato alla formazione e all´approfondimento culturale nel nostro paese. Pensiamo a quanto avevano realizzato Achim Wollscheid o John Duncan a Piombino nel 2005, con l´utilizzo di software per la generazione casuale dei suoni costruiti dal musicista tedesco congiuntamente a led luminosi sulla facciata e sul ponte di un palazzo, o all´utilizzo dei glitch digitali per l´artista americano da anni residente in Italia come colonna sonora per un corpo di ballo. Un minimalismo del segno che contrasta con il massimalismo del significato che abbiamo visto in alcune opere qui presentate, un problema di regressione culturale, nel momento in cui la modernità artistica si è spostata sin dai suoi esordi (parliamo degli inizi del ´900) con un utilizzo di elementi visivi e sonori per una rappresentazione non anamorfica, non riproduttiva del reale, non ´naturalistica´.
Passiamo ora alla musica. Sicuramente piacevole l´esibizione di Lab Frequency, collaboratori di Mad Professor, Zion Train e OnDubGround e autori di una ricerca sull´elettronica applicata al dub, con un approccio live (chitarra e basso assieme a voce e campionatori) e un´ampia gamma di riferimenti (dal roots al dubstep). Il loro limite più evidente è quello di rischiare di essere didascalici. Sembrerà un´enormità, ma è lo stesso rischio di Kode9, uno degli artisti più attesi, che anche dal vivo rivela gli stessi problemi dei suoi lavori in studio. Nonostante l´artista sia ormai famoso e incensato anche all´estero (il solito The Wire), la sua proposta rivela scarso appeal nei confronti della ricerca sul suono, sulle sue dinamiche, sui suoi schemi. Nulla di quanto sentito esula da un dj set tradizionale (scelta dei riferimenti a parte) e il sospetto che il dubstep sia nato vecchio o che tutt´al più rischi di condividere con il drum´n´bass una prima, breve e intensa stagione creativa cui segue il ripiegamento sui propri schemi è forte. Soprattutto se il set successivo è quello di DJ Spooky, che invece mostra di saper stare dentro e fuori le regole contemporaneamente. Il materiale che propone al pubblico è compreso in un ventaglio che spazia dall´old skool alla techno al pop, ma è un fatto che DJ Spooky si sa servire del dub, dei breaks, come un compositore di musica classica contemporanea si servirebbe del sovvertimento delle regole armoniche e melodiche per rimettere in discussione le dinamiche di tensione/risoluzione delle dissonanze acquisite e arrivare alla messa in discussione di ´che cosa è la musica´. Spooky in questo ha un approccio personale e viscerale: sebbene conosca benissimo il mondo della colta (in un suo recente intervento al Guggenheim ha non a caso citato Xenakis) preferisce farti ´sentire´ cosa significa dilatare o sospendere un ritmo e riprenderlo, mentre balli, con un lavoro e una attenzione notevole sia alla qualità del suono in sé sia alla sua percezione da parte dell´ascoltatore. Non a caso il suo suono è il più ricco dell´intera serata. In chiusura Mother Inc., collettivo che ha preso base in Milano (le serate "This is DNB!" al Magnolia), città che giustamente soffre da tempo immemorabile di provincialismo per quanto riguarda la contemporaneità tutta. Un suono che altrove è già relegato nel ghetto (variamente aureo) della nostalgia qui è vissuto come sound ´alternativo´, e nonostante la simpatia che mi fanno i ragazzi che come me se ne stanno sotto il palco incuranti della pioggia (uno conosce a memoria le battute de ´L´Odio´, film culto di Mathieu Kassowitz, con le musiche di Bob Marley e di prodi rappers delle banlieues) quel che esce dalle casse (ma quelle davanti a noi si spengono e così restano, mentre dei ragazzi a fianco a me sembrano per un attimo trasformarsi in tanti Vincent Cassel - sono tentato di seguirli, per comprensibilissimi motivi - finché non si rassegnano a ballare ma come se il suono provenisse dallo stereo di casa) è un suono chiuso in una formula, sicura, rodata, ma con quel po´ di regressione caciarona che contraddistingue qualsiasi genere di musica popolare nel momento in cui perde la spinta all´avventura e decide di capitalizzare quanto realizzato fino a un dato momento. Non è un caso che Photek abbia deciso di abbandonare il dnb per dedicarsi a una house in cui importare le proprie strutture scheletriche, minimali e glaciali, mentre qui siamo completamente allo sbando.
Peccato per l´esibizione del trio di Moritz Von Oswald di sabato; non posso ovviamente riferirvi di quanto valida possa essere dal vivo la sua miscela di techno, krautrock, etnica, né di Shed, del milanese Tonylight e della sua elettronica casalinga e vintage (game boy, atari), di Troy Pierce e di Muttafunk. Il giudizio sulle due serate di musica di Kernel è quindi purtroppo parziale, ma se i punti di forza della manifestazione sono tutti da imputare agli organizzatori e ai suoi collaboratori, le debolezze sono sicuramente da ascrivere a un territorio che è ancora troppo poco ricettivo e organizzato per proporre, in questo momento, qualcosa che vada al di là del laboratorio di idee. Un ottimo punto di partenza, comunque, e ci auspichiamo che le iniziative di questo tipo si moltiplichino e portino, nel tempo, i loro frutti.