John Grant

live report

John Grant Castello di Abbiategrasso Video Sound Art Festival

01/07/2011 di Paolo Ronchetti

Concerto del 01/07/2011

#John Grant#Rock Internazionale#Alternative

Quello di John Grant è il primo live del nuovo Video Sound Art Festival, evento che ha l’aspirazione di collocarsi - grazie all’aiuto della fondazione Cariplo, la mente de Le Cicale dell’Arconte e la collaborazione del portale di arte contemporanea noknockroom.com - tra i principali festival in Europa su Visual E Motion Graphics anche grazie a un’attenta selezione di concerti dei più apprezzati musicisti indie.

La cornice del concerto è lo splendido e raccolto castello di Abbiategrasso che intimamente raccoglie un buon pugno di affezionati per questo che è, forse, il primo concerto in Italia dell’ex Czars dallo scioglimento del gruppo. Lo splendido album del 2010 Queen Of Denmark è stato considerato dalla critica di tutto il mondo come uno dei più interessanti dell’anno passato e, anche se in Mescalina non l’abbiamo colpevolmente recensito, è stato segnalato da me come uno dei 10 dischi dell’anno nel pool d’inizio 2011 e nella presentazione del nuovo sito.

Grant, che si presenta con un italiano perfetto, sfodera a sorpresa un brano nuovo su base elettronica e piano come apertura di concerto! La voce è quella che ci aspettavamo, piena e calda, il pieno di elettronica… un po’ meno ma si rimane subito affascinati dalle mosse plateali con cui accompagna gli interventi tastieristici (anche se la cosa non avrà seguito nella serata). Sul palco sono in due, e si alternano con vivacità tra il piano acustico e due tastiere con una scelta di suoni vintage anni ’70 veramente unica. L’album è riproposto quasi per intero alternando sapientemente la poca strumentazione. Si passa così da Sigourney Weaver alla dolce Where Dreams Go To Die, seguite dai ricordi d’infanzia di (I Wanna Go To) Marz (eseguita per solo piano ma arricchita dal suono Moog anni ’70 prodotto dall’Axiom 25 che sembra debba iniziare da un momento all’altro Impressioni Di Settembre della PFM). La triste Outer Space parla di un amico che non c’è più, ma è seguita dalla stralunata e un po’ folle Chicken Bones, in cui il piano assume coloriture gospel, e dalla sarcastica Jesus Hates Faggots, per sole tastiere, in cui i ricordi adolescenziali della scoperta della propria omosessualità si scontrano dolorosamente con il perbenismo puritano della provincia americana. It´s Easier splendida e commuovente è cantata a due voci in modo perfetto ed è seguita dal brano che dava inizio all’album TC And Honeybear che, nella parte strumentale centrale, sembra segnare inaspettati debiti ispirativi ad alcune pagine del melodramma verdiano. È il momento per un altro brano nuovo Vietnam, un work in progress per solo piano con un break strumentale alla Dark Side Of The Moon, e, sempre in solitario al piano, un paio di brani dei Czars, penso la dolce Paint The Moon e l’amara Drug. La voce baritonale è sempre caldissima e capace di aperture inattese anche su tessiture più alte. Anche se infastidito dalle zanzare Grant, riesce a mantenere una concentrazione e un patos esecutivo allo stesso tempo controllato e di forte impatto emotivo. L’annuncio che non farà bis, preferendo una continuità a uno stacco, è una decisione che va proprio nella direzione di non spezzare l’intenso filo che lo lega al pubblico, caloroso e attento, di questa serata. Queen Of Denmark, cosi Abba/pop ’70, è ancora intimamente per piano solo e il salto di ottava sul ritornello lascia ancora tutti meravigliati. Siamo a Fire Of…, un’outtake da Queen of Denmark, quindi alla dolce e classicheggiante Caramel che introduce i saluti e i ringraziamenti prima del recupero di un altro brano dei Czars quella Little Pink House dedicata ai ricordi d’infanzia, quando stava con la nonna nel Michigan in una casa rosa con gli interni blu che così tanto staccava con l’ordinarietà della vita provinciale. La versione di questa sera, in cui non c’è il duetto che era presente nel disco, vale per bellezza e intensità il prezzo del biglietto. La cadenza blues è accentuata e le parti da baritono, alternate con quelle in voce piena sull’ottava più alta, hanno una forza quasi inattesa nonostante per tutto il concerto si sia visto cosa Grant era capace di fare! Insomma è difficile trovare una capacità di scrittura così alta unita a una altrettanto alta capacità interpretativa. Vengono in mente il primo Elton John e più recentemete Scott Matthew e Anthony. Speriamo solo che la buona forma del presente allontani Grant dalle pessime abitudini autodistruttive cui si è accompagnato per molti anni.

In chiusura resta da segnalare il bellissimo spettacolo di proiezioni grafiche sulla facciata del Castello nel dopo concerto e augurare alla manifestazione una buona crescita in qualità e riscontro di pubblico e critica.