Il
nome di Miro Sassolini più che richiamare un’immagine precisa legata all’attualità
definisce piuttosto un concetto legato ad un passato recente della nostra musica.
Miro Sassolini, proprio lui, la storica voce della new wave italiana, quella che con i Diaframma dell’allora solamente chitarrista ed autore Federico Fiumani segnò un modello di riferimento stilistico, ancor prima che sonoro, si rifà vivo con un’intervista-confessione-sfogo offertaci amichevolmente, da leggere tutta d’un fiato, che ci rivela il carattere di una personalità forte e decisa, come quella voce impressa indelebilmente nei ricordi di molti.
definisce piuttosto un concetto legato ad un passato recente della nostra musica.
Miro Sassolini, proprio lui, la storica voce della new wave italiana, quella che con i Diaframma dell’allora solamente chitarrista ed autore Federico Fiumani segnò un modello di riferimento stilistico, ancor prima che sonoro, si rifà vivo con un’intervista-confessione-sfogo offertaci amichevolmente, da leggere tutta d’un fiato, che ci rivela il carattere di una personalità forte e decisa, come quella voce impressa indelebilmente nei ricordi di molti.
Interviste:
Miro Sassolini
Il nome di Miro Sassolini più che richiamare un’immagine precisa legata all’attualità
definisce piuttosto un concetto legato ad un passato recente della nostra musica.
Miro Sassolini, proprio lui, la storica voce della new wave italiana, quella che con i Diaframma dell’allora solamente chitarrista ed autore Federico Fiumani segnò un modello di riferimento stilistico, ancor prima che sonoro, si rifà vivo con un’intervista-confessione-sfogo offertaci amichevolmente, da leggere tutta d’un fiato, che ci rivela il carattere di una personalità forte e decisa, come quella voce impressa indelebilmente nei ricordi di molti.
Miro, prima di tutto ben ritrovato. La domanda di rito che non posso non chiederti per cominciare è: dove sei finito dalla fuoriuscita dai Diaframma avvenuta nel 1988 ad oggi?
Mi sono “soffermato” laddove con i Diaframma ero “passato” alla velocità del suono.
È la prima intervista che rilasci da quindici anni a questa parte?
No!…..ma è la prima volta che affronto la “questione Diaframma” pubblicamente.
Quanti amici e fans sono venuti a cercarti da quel lontano ’88?
Ho viaggiato molto in questi anni, paradossalmente sono andato io da loro. È una splendida sensazione essere “riconosciuto”, quando non sai dove sei.
Miro, raccontaci di quando hai conosciuto Federico Fiumani e come ti ha chiesto di entrare nei Diaframma.
Federico……aprile ’82. Faceva il barista al circolo sott’ufficiali dell’aeronautica di Firenze, la sigaretta sempre accesa sul bordo del labbro, mentre preparava un caffè o serviva un aperitivo, il complotto (scherzo) per liquidare Nicola Vannini (il primo cantante del gruppo) se ben ricordo, covava già, quando poco tempo dopo, fui chiamato per la “giusta causa” ero completamente al di fuori della rigorosa logica diaframmiana, non immaginavo quanto spessore mediatico avesse già acquisito.
Questa mia incoscienza inizialmente provocò malumori (F.lli Cicchi) e preoccupazione (lo Sponsor), in realtà non essere allineato, “venire da fuori“, agevolò in seguito il favorire delle mie intuizioni. Entrai nel “tessuto” e lo stravolsi, nel bene o nel male.
Cantavi già oppure è stata la tua prima esperienza?
Sicuramente nel mio codice genetico l’argomento è trattato alla “voce” CANTO. Non scherziamo, i Diaframma “erano già fatti” (da tempo), mentre io passavo dai voli di Chagall alla pietra serena da scolpire, una storia completamente diversa.
Il primo concerto è stato un disastro.
L’ultimo il più bello. Infatti la tua voce è stata (ed è tuttora) una delle più caratteristiche e pregiate degli anni ’80. Quali erano e quali sono i tuoi modelli di interpreti?
La mia è una voce spontanea, naturale, quindi “rischiosa”, che si è arricchita di varianti e sfumature attraverso lo studio, l’esperienza, ma sempre consapevole di essere “quella voce”.
Nessun modello d’interprete (vedi sopra).
In quegli anni che genere di musica ascoltavi?
Mah…..da Charlie Parker a Herbie Hancock, passando attraverso Brian Eno, Talking Heads, Tuxedomoon, The Residents…o Peter Gabriel, una delle mie grandi folgorazioni.
Del “nuovo rock italiano” cantato in….. celebre slogan dell’era “Pirelliana” ricordo a malapena i primi Litfiba.
Ma è stato Fiumani a farti avvicinare alla new wave oppure questa ti era entrata già nel sangue prima di incontrare i Diaframma?
Nessun‘ iniziazione. Le “stimmate” le avevo già ricevute con i Clash e tutto quanto il resto.
La tua voce in mezz’ora ha cambiato la musica italiana degli anni ’80. Naturalmente sto parlando di “Siberia”. Cosa rappresenta per te questo disco?
Una “straordinaria mezz’ora”, in mezzo a un clamoroso vuoto intellettuale, colmato, come spesso accade, solo più tardi.
Siberia è la mia parte incosciente, quello che non potevo prevedere perché sconosciuto.
All’epoca di ”Siberia”, (siamo nella stagione 1984-1985), ai vostri concerti era palpabile un’energia, un magnetismo e un fascino senza pari trasmesso al pubblico…
Una sorta di marea del momento, un’onda anomala che travolgeva tutto, un indigestione di autoconvincimento, e il pubblico, una gran diga.
Quali erano i rapporti con i Litfiba e l’attivissima scena rock fiorentina?
Per quanto mi riguarda, quasi esclusivamente professionali con Piero & soci, (salvo Aiazzi persona che stimo tuttora, e quel “pazzo” di Ringo, già, Ringo….) assolutamente marginali con il resto del carrozzone. È evidente che i pochi sopravvissuti a questa terribile selezione siano tuttora gli amici di allora.
Ma che sensazione ti ha restituito il duetto con Pelù nel EP “Amsterdam”?
Amsterdam? Mah! E’ stata fondamentalmente un’operazione di Alberto Pirelli, salvata sostanzialmente dai brani “puri” dei Diaframma, la contaminazione di Aiazzi, non me ne voglia l’amico Antonio, la trovo distante, burrosa, troppo…francese, preferisco assolutamente la versione formato Siberia.
Il resto, parlo del famoso duetto, puro esercizio di stile, meglio, molto meglio al parco delle “Cascine” di Firenze dal vivo…. un enorme bagno di folla, gran bel ricordo.
Cosa avevate dalla vostra rispetto alle altre numerosissime formazioni rock che nascevano intorno a voi? Qual’era secondo te il vostro punto di forza?
La “consapevolezza”, in altre parole la certezza d’essere bravi, molto bravi.
E il vostro punto debole?
Una grande “collezione” di bassisti e batteristi.
Miro, una domanda emblematica: cosa ha rappresentato (e cosa rappresenta) per te la new wave?
Ci siamo conosciuti quasi per caso, per un po’ siamo stati insieme, lei voleva che io la rappresentassi, ho cercato di fare del mio meglio.
“Tre volte lacrime”. Che ricordi hai legati a questo periodo?
Paradossalmente, la “bellezza” di Tre volte lacrime, nasce dall’impoverimento del progetto da parte dell’I.R.A.. (budget dimezzato, vicenda di una tristezza infinita). Il sig. Sabbione, cancellato dalla lista dei “collaboratori”, altri drastici tagli, alcune preziose pedine acquistate durante il mercato di riparazione.
Qualche anno dopo, riascoltandolo, ho pensato che Ernesto de Pascale, ”prestatoci da chissà quale istituto di carità per lenire il nostro dolore”, abbia avuto in realtà, un ruolo importantissimo nello sviluppo imprevedibile di quell’impresa, come dire, inutile, ma assolutamente indispensabile (ciao Ernesto!).
Al resto hanno pensato Alex e Leo (Raimondi-Braccini) formidabili. Il risultato, un disco con un potenziale enorme in un corpo imperfetto. Perfetto.
“Boxe” è un album ricco di contraddizioni, senz’altro poco digeribile ad un primo ascolto, palpabilmente nervoso. Riflette le tensioni dell’epoca tra te e Federico?
“Boxe” fu il culmine dell’ultima stagione, labirintico come una fitta trama nervosa spedisce le sue ultime lettere d’amore, le fotografie, il “canto evoluto” e le note disperate.
È struggente e naufrago.
Bellissimo.
C’è qualcosa che non rifaresti o che ricordi con fastidio degli anni con i Diaframma?
Sono passati anni luce, tutto il film è stato più volte “vivisezionato”, indagato, processato e successivamente, in appello, assolto (vai a capire perché!).
…e qualcosa per cui rivivresti in tutto e per tutto quegli anni?
Quegli anni, in un modo o in un altro.
Recentemente è stato pubblicato allegato ad un rivista musicale la registrazione del tuo ultimo concerto del 1988 con i Diaframma. Nostalgia?
Bel concerto, ”l’ultimo”, mi dicono sia stato uno dei migliori (non si finisce mai d’imparare!).
La nostalgia è un orizzonte senza colpe.
Hai vissuto l’allontanamento dai Diaframma più come un trauma o come una liberazione?
Una necessità, c’era la voglia da ambo le parti di chiudere il gioco e sparpagliarsi velocemente.
Un bisogno di libertà assoluta.
So che un paio d’anni fa era stato programmato un tuo ritorno nei Diaframma per un tour dal repertorio tratto dai soli tre primi album. Perché, se mi è possibile chiedertelo, hai rinunciato all’ultimo minuto, dopo un certo periodo di prove, a questo clamoroso rientro?
Mah! Sull’improbabile (allora) e impossibile (adesso) ritorno di fiamma, è stato detto tutto e forse di più, quindi, ammesso che questa follia sia “veramente” balenata nella testa di qualcuno, non c’è mai stato un fatto concreto, un atto di forza vero, che lasciasse presupporre una qualsiasi forma di riunione o collaborazione, (mi dispiace ragazzi!) a parte, sia chiaro, il “clamoroso” materiale del ‘98 finito poi su “Sassolini sul fondo del fiume”, che gran peccato… “cambiare idea sul già fatto”.
Dopo tutte queste seriosità una domanda gustosissima alla quale devi rispondere sinceramente. Sei mai tornato ai concerti dei Diaframma dopo la tua fuoriuscita (correndo provocatoriamente il rischio di venir riconosciuto)? Per quale motivo?
Sul finire del secolo scorso (nel ‘99 se non sbaglio) i Diaframma, ci riprovarono col Tenax, luogo che non ho mai amato, terribile vedere un grande artista “sprecato”, nel luogo sbagliato.
Me ne sono andato all’inizio di Siberia.
Il quel periodo, tutto poteva scorrermi accanto, aveva poca importanza, figurati se i miei pensieri affollatissimi di “cose da fare”, avevano voglia di giocare al “gatto e al topo” con i presenti.
Riguardo alla sera in questione, non ricordo nessuna scena di follia collettiva, sia quando sono entrato, sia quando me ne sono andato, (circa mezz’ora dopo) anzi, credo proprio che nessuno mi abbia riconosciuto, o sono stato io a non riconoscere loro!
Senza peli sulla lingua: che ne pensi della carriera di Federico Fiumani versione anni ’90 e ’00? Lo trovi coerente con il proprio passato o le ultime sue produzioni ti fanno storcere il naso?
La carriera artistica di Federico non è più un mio problema da quando le nostre strade hanno preso direzioni completamente diverse.
Dunque, la decisione di “continuare” senza sostituirmi…. Scorriamo a ritroso nel tempo, forse qualcuno di voi ricorda la recensione apparsa sul quotidiano la Nazione, all’indomani del mio primo importante concerto, in sostanza un esordio o quasi (Tenax ’84).
Evitando di citare il nome del genio (scrivi ancora cara?) che confezionò quel penoso articolo ricordo ancora la frase chiave del suddetto che recitava, “E’ rischioso sostituire un leader”, ebbene ammesso che Nicola Vannini fosse un leader, il rischio di sbattere la faccia contro un muro apparve comunque evidente…. come ben sappiamo, le cose sono andate diversamente, per la fortuna di tutti (o quasi). È probabile che Federico nei momenti successivi alla “separazione” abbia ripensato a quella fatidica frase… è rischioso, molto rischioso, sostituire uno dei due leader, quindi, perso un “compagno di viaggio” spesso, si preferisce continuare da soli, soprattutto quando si è convinti di farcela.
Comunque vadano le cose.
Ci sono dei brani dei Diaframma ai quali ti senti più legato? Per quali motivi?
Ho sempre pensato che il legame fondamentale con “alcune” canzoni di Federico non fosse necessariamente legato alla loro bellezza, ma all’impatto emotivo che aveva la mia voce su di esse, quindi, o una visione di quelle splendide creazioni profondamente diversa da tutti.
Un mucchietto di “perle” che ti porti dietro quando te ne vai…..
Spiacente….non posso dire altro.
Non ci sono nemmeno dei brani successivi alla tua fuoriuscita per i quali avresti fatto carte false pur di interpretarli al posto di Federico?
Non ho proprio idea, so poco di quello che è successo “dopo”, inoltre, credo che Federico sia riuscito col tempo, a rendere quello che scrive assolutamente inattaccabile (o quasi) da qualsiasi tipo d’approccio canoro che non sia il suo, insomma, le impronte digitali su tutto il corpo delle sue canzoni.
In due parole mi racconti la sensazione del ritorno sul palco con i Diaframma nella data-evento del febbraio 2002 al Tenax di Firenze?
Ah! Il Tenax, l’impressione immediata….. come se tutto all’interno, fosse stato ”ibernato” nell’attesa del nostro ritorno, non sapendo che fuori, nel frattempo, le cose erano profondamente cambiate.
Il resto, come spesso accade, lo fecero i “ragazzi” sotto il palco, straordinariamente potenti nella loro spontaneità….grandi.
Lo rifaresti oggi, alla luce di quello che hai provato quella sera?
Non avrebbe senso.
La prima volta su un palco e l’ultima: quali similitudini e quali differenze nel Sassolini cantante e persona?
Il cantante “va e viene”, la persona, si fa vedere un po’ più spesso.
La raccolta “Sassolini sul fondo del fiume”, pur nella sua frammentarietà, porta con sé il significato di un omaggio al lavoro condiviso tra te e Federico in una visione ben più ampia della pur breve esperienza comune anni ’80. Come hai visto la pubblicazione di questo cd? Federico ti ha avvertito?
Federico sapeva che poteva utilizzare i miei brani, ne avevamo parlato mesi prima. La prima impressione dopo un veloce ascolto è stata quella di prendere il cd e farlo volare come un piattello da impallinare, ma “il pacifismo impone pazienza”, riascoltandolo, qualche tempo dopo, mi sono sorpreso di come, nella sua assoluta mancanza d’equilibrio, riuscisse a mantenersi “sospeso” fra me e la sua fine, prima di essere messo di nuovo da parte.
Incredibile.
I due brillanti pezzi del tuo gruppo Van der Bosch qui recuperati ti vedono autore sia della musica che dei testi. Con che spirito hai affrontato questa prova?
Un divertimento pazzesco, eravamo tutti in “fuorigioco”, consapevoli però di avere una grande libertà di movimento, sostanzialmente ne avevamo abbastanza di prove, concerti, acrobati e saltimbanchi, cosi, d’incanto, sono nate quelle perle impreviste. Tutto questo all’inizio, poi ho cominciato a pensare, (e ti pareva!) di poter “usare” la musica come veicolo per “imprigionare” tutto quello che mi stimolava artisticamente. Le cose sono diventate complicate.
In particolare mi ha colpito la sospesa poetica di “Le cose da fare”, una sorta di riflessione sul dopo Diaframma, è così?
“Le cose da fare” non è una riflessione, ma un movimento preciso rivolto verso il presente.
Ho pensato al “dopo Diaframma”, molto prima di separarmi da loro.
Chi sono gli altri membri dei Van der Bosch?
Nel tempo !!!….Da Fabio Provazza e Leandro Braccini, a Gianni Salaorni e Alex Raimondi ……
Senza dimenticare che, grandi fautori del progetto, furono, lo sono tuttora, Ernesto de Pascale e Sergio Salaorni.
Infine, vorrei ricordare, l’indecifrabile Raffaello “Fello” Ferrini, un musicista con un potenziale enorme ma con la testa nelle paludi della “vallata” (una qualsiasi).
Come collochi l’esperienza con questo gruppo nella tua carriera artistica?
Fondamentale, soprattutto perché ho avuto la possibilità di “recuperare” alcuni amici nonché “musici” di grande talento.
Il progetto “Van der Bosch”, è stato un esperimento lungo, dispersivo, faticoso, per l’approccio fortemente poliedrico e complesso.
“Naturalmente”, il materiale tuttora inedito, è splendido, di una modernità sorprendente, e la voce in piena sperimentazione (‘94-‘95).
È, come posso dire, il mio testamento musicale (per ora!).
Consideriamolo un omaggio a me stesso.
Quali sono i tuoi ascolti d’oggi?
Oggi?
Ascolto i rumori, mi servono per determinare la scelta di un materiale, i suoni invece, mi danno la misura di un colore e delle sue infinite tonalità.
…e quelli della tua formazione, che poi ti accompagneranno sempre?
I suoni riconducibili alle donne della mia vita.
Dopo questa lunga parentesi sul tuo passato anche recente, veniamo al presente che si lega bene a quanto fin qui raccontato, se non altro per lo spirito di ricerca artistica che ti accompagna ancor oggi. Miro pittore e scultore, da dove iniziare….
Quello che tu chiami “spirito di ricerca”, è la chiave per scardinare, qualsiasi tentativo di ancorare un individuo alla sua parte fisica.
Se vuoi possiamo cominciare dal giovanissimo Miro intento ad assorbire gli insegnamenti artistici di un grande amico (Lorenzo “Bibo” Bonechi)…a volte capita!
Oltre alla musica la tua vena creativa ha trovato terreno fertile anche in campo teatrale, nella scultura, nella pittura, pure nella poesia! Il tuo percorso artistico è da considerarsi quindi a 360°… per quale ti senti più portato oggi?
Non esistono percorsi artistici a 360°, nessuno è mai stato in grado di farlo, nonostante Leonardo e in tempi più recenti Picasso ,abbiano esplorato il linguaggio “globale”, avvalendosi della “multidimensionalità virtuale”.
Inoltre, può sembrare che la tecnologia aiuti ad aprire chissà quale tipo di “stargate” nell’universo artistico, il rischio è che il percorso sia sempre lo stesso, ripetuto all’infinito, quando sarebbe preferibile, “osservare bene”, quello che la “visuale” impone….e non è poco, te lo assicuro.
Di cosa vive oggi Miro Sassolini? Intendo dire se, dopo una storia come la tua, riesci a far sì che l’arte ti dia da mangiare…
Queste “storie” danno da mangiare ai romanzieri e ai biografi (a volte), chi le vive in prima persona, non ha tempo per mangiare (di solito).
Quali sono i tuoi riferimenti artistici? Hai un filone di ricerca che ti imponi di seguire o la tua è un’arte libera di muoversi in direzioni diverse?
La cosiddetta “libertà di movimento”, è dettata dalla profonda conoscenza dei materiali e delle tecniche pure, il rinnovamento” è determinato dal tempo in cui viviamo.
Di conseguenza, le mie opere possono essere considerate innovative per “conduzione”, in altre parole, dall’energia primaria alla scossa violenta che ne consegue.
Amori artistici, vuoi dei nomi?…Modigliani, Chagall, Mirò, Matisse, Chillida, Braque, Brancusi, Man Ray, Duchamp, Calder, Lichtenstein, Moore…….Penso di aver omesso almeno una decina di “antichi amanti”, come vedi, sono una discreta troia.
Hai progetti particolari per il futuro o continuerai a muoverti nell’ombra, rifuggendo la vita pubblica?
“Costruire” un gruppo di collaboratori (siamo sulla buona strada) con cui condividere un progetto una base itinerante, perpetua, di molteplici avvenimenti inerenti alle forme artistiche che fanno di me un “motore di ricerca”, in altre parole, ricominciare a mettere il pepe al culo, a quelli che, stesi su un divano di pelle (scusa la citazione, Fede) pensano di avermi tolto definitivamente dalla circolazione…ah!…ah!…ah!…………..ah!
A volte vorrei che la mia ombra facesse altre cose, si staccasse da me per andare in vacanza ad esempio, oppure, s’innamorasse dei Diaframma di nuovo… eppure io so….che un uomo senza ombra o è un vecchio fantasma o è morto da poco.
Miro, chiudiamo con una domanda alla quale non puoi non rispondere: immagina un passato diverso da quello che hai vissuto, dove saresti ora?
“La mia vita è stata un’avventura, me la sono giocata in ogni “opera”. La mia esistenza e il mio lavoro sono sempre consistiti nel cercare di fare ciò che non sapevo fare e ho passato il tempo chiedendo, dubitando ,cercando”.
Grazie per essere giunto fino qui ed esserti dedicato completamente in questa vera e propria intervista-fiume. Ti rimane ancora un po’ di fiato per dire qualcosa a chi ha mantenuto vivo il tuo ricordo con tanto affetto fino ad oggi?
Questa non vuol essere, e non potrebbe essere, la storia dei mitici “Diaframma”, ne tantomeno il riassunto di un “evento” storico straordinario (lascio il compito a te, Andrea, è il tuo lavoro) ma è il punto di vista di chi, trovandosi improvvisamente a fare i conti col passato ha semplicemente aggiunto qualcosa, il suo presente.
P.S. Dedicato ai “gufi” che fanno “svalutazioni” approssimative su Federico Fiumani dimenticando che se non fosse stato per lui…..non avremmo niente da dirci (o quasi).