Beatrice Antolini

interviste

Beatrice Antolini Voglio scrivere delle belle canzoni

26/05/2008 di Massimo Baraldi

#Beatrice Antolini#Rock Internazionale#Songwriting

      
  Voglio scrivere delle belle canzoni
      Intervista BEATRICE ANTOLINI

Quando si parla di un artista capita sovente di esser colti da una sorta di frenesia associativa: s'indagano paralleli, sospettano influenze, ostentano convergenze e conoscenze: è una questione compulsiva, un raptus etichettatorio.
Ma se l'artista è Beatrice Antolini, tentare il giochetto sarebbe tempo perso: parlando di lei, l'unico nome al quale ci si dovrebbe riferire è Beatrice Antolini. In una scena musicale omologata e omologante come quella nostrana, Beatrice è riuscita a ritagliarsi uno spazio in cui evocare un mondo magico, stralunato e surreale dove, per esser certa che non ci siano intoppi, i brani li scrive, li arrangia e li suona da sé. Nelle sue composizioni la psichedelia di Syd Barrett, il blues, il jazz, il punk e il pop non sono che elementi di un personalissimo universo sonoro che lei instancabilmente modella, compone e scompone con la naturalezza di chi, metabolizzato quel che c'era da metabolizzare, guarda fisso avanti e se ne va per la propria strada. In autunno uscirà il suo nuovo disco e, nell'attesa, la giovane musicista maceratese ha partecipato a Musica in Collina, la rassegna comasca curata da Giulio Bianchi.


Mescalina: Beatrice, tu hai la grande capacità di rendere leggera la musica colta, facendola convivere con suggestioni da cartoon e cabaret. In più, la cosa sembra venirti spontanea: ascoltando il tuo album non si percepiscono forzature di sorta.
Beatrice Antolini: Non si percepiscono forzature perché … non ci sono! "Big Saloon", sì, con la Madcap è diventato l'album, ma all'inizio è stato concepito come un demo, non diverso dai tanti già preparati in passato. Lì ho raccolto tutte le mie idee musicali legate alle cose che, nel tempo, ho ascoltato e vissuto. Mi rappresenta, totalmente. Quella è la mia musica, la sento mia, a me piace e … spero venga apprezzata anche dagli altri! [ride] Nessuna forzatura e nessuno sforzo. I pezzi vengono da soli, non mi domando mai quale forma dovrebbero avere … come accada, non lo so. È scrittura automatica. Un po' come quei tipi che parlano con i morti, più o meno, però in chiave musicale. Forse, da lassù, qualcuno mi parla! [ride]

Mescalina: Quando si descrive un artista si tende a cercare similitudini a tutti i costi, abitudine che non apprezzo molto. Nel tuo caso sarebbe un'impresa dura, ma … ascoltandoti non ho potuto fare a meno di pensare alle Flying Lizards e a Syd Barrett. Ti va di parlare delle tue influenze?
Beatrice Antolini: Per parlarne dovremmo stare qui cinque o sei ore … ma possiamo fare un breve riassunto! Ho cominciato a suonare le tastiere da piccolissima, a braccio e da sola. La passione per gli arrangiamenti è venuta subito dopo, stavo lì con le cassettine a registrare prima una cosa, poi l'altra (il tamburello e le quattro robette che avevo a disposizione, insomma). Il pianoforte e la musica classica li ho studiati fino ai quindici anni e poi, quando non ce l'ho fatta più, mi sono messa alla batteria e al basso in varie formazioni punk e dark. Il passo successivo mi ha portata nell'elettronica e infine ho deciso di riprendere in mano sia gli studi classici, sia il pianoforte. È proprio intorno a questo strumento che si è sviluppato "Big Saloon". Per il disco nuovo, invece ho rispolverato batteria e chitarra, i pezzi sono più "batteristici" e "chitarristici". Ogni tanto devo cambiare strumento, se no mi annoio! [ride]

Mescalina: Penserai tu alla chitarra?

Beatrice Antolini: Sì, anche sull'altro disco ho suonato tutto quanto, a parte qualche "guest star" … [ride] che "star" magari non sarà, ma "guest" sì! Ci saranno ancora alcuni amici e i ragazzi del gruppo hanno fatto degli interventi, però diciamo che è proprio uno sfogo mio, una cosa che sentivo di voler buttare fuori.

Mescalina: Volendo andare a cercare il "pelo nell'album", l'unico appunto che mi sentirei di fare riguarda la scelta di non includere i testi. Che peso hanno le parole nei tuoi brani?
Beatrice Antolini: Poco, veramente poco. Questa è una cosa che dovrebbe dispiacermi, ma in realtà non me ne frega niente. I miei gusti musicali sono molto variegati, spaziano dai Talking Heads a Mozart e solo poche cose restano fuori. La musica deve essere buona, non pongo altre condizioni e non faccio distinzioni di genere. La premessa è per dirti che ultimamente ho notato una cosa: quando gli altri cantano i testi, io canto le chitarre, il basso, la batteria … [ride] nel senso che sono più attenta al suono che ad altro. Le parole mi sembrano delle "assonanze". Se un pezzo è fatto bene, la parola è assonante, ed è a questo che io bado. Cerco poi di dare un senso alla "storia", ma spesso non lo trovo. Mi vergogno ad ammetterlo, ma è così. Ho persino provato a farli correggere da amici madrelingua, ma la risposta era invariabilmente: "Lascia perdere. Continua così, tanto un inglese certe cose non le direbbe mai!". E, in fondo, è anche questo il bello. Diciamo che cerco di stare un po' attenta all'aspetto grammaticale, ma anche a raccogliere le espressioni che piacciono a me. Magari inventandole. L'ho fatto con i nomi, alcuni personaggi, altre cose …

Mescalina: Come il Topogò …
Beatrice Antolini: Topogò, il Dancing Mouse … è la storia di un topo dai gusti sessuali ambigui. Lui gira per tutti questi posti, diciamo che è un tantino esagitato. Io non ho gusti sessuali ambigui, però. Il Topogò è anche una danza, l'avevo studiata in Bartók e ho inserito qualche piccola citazione musicale e teatrale. Certo, i più non le notano, ma ci sono comunque, e il gioco di parole tra la danza rumena e il topo bisessuale mi diverte. [ride]

Mescalina: Con le parole mantieni lo stesso approccio che hai verso le note?
Beatrice Antolini: Direi di sì, io ricerco il suono anche nelle parole. La melodia della voce e quella di uno strumento hanno la stessa valenza, per me. Nei pezzi nuovi comincio a pretendere di più ... ma forse è una cosa che capita invecchiando! Prendi "Clear My Eyes", il penultimo che abbiamo suonato: la linea vocale e l'accompagnamento sono più classici rispetto agli altri brani … perché va bene giocare, divertirsi e mettere insieme tante cose, però anch'io voglio crescere. Mi piacerebbe scrivere uno standard, qualcosa che gli altri poi possano suonare come credono. Guarda i jazzisti: se la menano tanto, però chi è che compone i pezzi che portano in giro? Gershwin, o altri capaci di scrivere delle belle canzoni! Io vorrei scrivere delle belle canzoni.

Mescalina: La scena alternativa italiana sembra suddividersi in due filoni: da un lato la contaminazione etnica e il recupero del folk, dall'altro un rock poco convincente e che, a differenza di quello prodotto negli anni '70, suona inspiegabilmente omologato. Hai difficoltà a inserirti in questo contesto?
Beatrice Antolini: Nel contesto ci sto vivendo e … da "outsider" non ho avuto alcuna difficoltà! [ride] Sono anche un po' un "nerd". È vero … ne sono consapevole e più me lo ripetono, più sono contenta. Lo dico senza voler parlare male di nessuno, intendiamoci, ma non riesco quasi mai a paragonarmi ad altri. Non mi ritengo migliore, ma faccio cose diverse ... e, visto che mi vengono naturali, non ci sto neanche troppo a pensare. Diciamo che la nostra scena non è delle più interessanti e la produzione dell'ultimo decennio non è questo granché. Se devo ascoltare qualcosa, scelgo io e ... sto sui Beatles, per esempio. Lì trovo tutto, qui non trovo niente. Gli altri vadano pure ai concerti che preferiscono, io sono tranquilla. Tra i musicisti che apprezzo cito volentieri i Jennifer Gentle: li considero il miglior gruppo italiano e il fatto che suonino regolarmente all'estero ne è la prova! Spero di esportarmi anch'io, un giorno.

Mescalina: Il processo di desertificazione cui sono soggette molte aree del nostro pianeta non è dissimile da quello che affligge gli spazi dedicati alla musica e, più in generale, alla cultura. Se poi queste non sono allineate, la faccenda si complica ulteriormente. Tu che ne pensi?

Beatrice Antolini: Quello che accade alla terra è certamente più grave, ma penso che, parlando di musica, dipenda in gran parte dall'assenza di proposte in grado di carpire gli animi delle persone. Se una cosa ha valore, da qualcuno viene percepito, mi sento di crederci. Poi sì, ci sono gli mp3, internet e le polemiche … l'industria discografica è in crisi, adesso che ci sto un minimo dentro e conosco certi meccanismi, lo capisco. Eppure dopo i concerti il pubblico ti fa domande, vuole il cd, parla ... e questo significa che esiste ancora il bisogno di avere in mano l'oggetto, di sentire la materialità del disco. Ci saranno anche ragioni d'interesse, ma in questo marasma dove tutti fanno tutto e basta mettere i pezzi su internet per essere musicisti anche solo con un computer, è normale che non ci si appassioni più. Esiste una differenza tra musicisti e non-musicisti, e la gente ha ancora voglia di sentire la musica. Altrimenti com'è che i Beatles non li mettono mai in offerta? (ride) Questo spiega tutto! È vero. Pure i Led Zeppelin hanno messo in offerta, ma i Beatles no.








Foto di Alberto Ferrante


Mescalina:
"Big Saloon" è un lavoro che ha sollevato una vera e propria ovazione da parte della critica. Mi chiedo quale sarà il passo successivo e se questo possa generare in te una sorta di "ansia da prestazione".

Beatrice Antolini: A voglia, me lo chiedo tutti i giorni! Il disco nuovo l'ho finito, è composto da dieci pezzi e uscirà in autunno. È diversissimo dal primo, ma devi anche pensare che sono passati quattro anni e mezzo ormai. Nel frattempo, soprattutto in questi ultimi due trascorsi suonando in giro, ho fatto una serie infinita di esperienze: ho lavorato, conosciuto gente, imparato a gestirmi … all'inizio ero un po' un macello. Lo sono ancora, a dir la verità, ma prima di più: facevo le cose che non si fanno, tipo arrabbiarmi coi giornalisti! Insomma, quattro anni sono tanti e io sono cresciuta. Resto coerente con la mia persona, non sono diversa da quando ero piccola, ma al contempo le esperienze mi hanno cambiata. E adesso ... tutti chissà che si aspettano! A me piace molto, la mia integrità intellettuale l'ho mantenuta. Ci sto perdendo il cervello, detta come va detta, e non mi vergogno ad ammetterlo perché questo è un mestiere, è duro farlo ed è giusto che si sappia. E che non mi vengano a chiedere "Che altro lavoro fai?"! Io non faccio altro, per adesso e finché potrò. Poi prenderò altre strade, se necessario, ma ora no: ogni giorno devo registrare una chitarra, un basso o sono in giro a suonare. È tutto molto faticoso, quando il progetto è a nome tuo. Ti ritrovi addosso responsabilità davvero pazzesche … gestionali, organizzative, legate al gruppo. Dietro ai "Sì, vabbé, suoni…" c'è un processo fatto di ricerca e provini. E poi viene lo studio, che oltre a costare magari si trova pure a due ore di macchina. Se è quello che davvero vuoi fare, riceverai in cambio una gioia immensa … però le difficoltà sono altrettanto grandi. L'ansia da prestazione … ce l'ho eccome, ma è sana! Il disco vecchio era molto lavorato, potevo permettermelo perché registravo a casa. Ora, in studio, i costi mi obbligano a stringere i tempi: ci ho messo comunque tutto ciò che mi è stato possibile, di più non potevo dare. Mi sento svuotata.

Mescalina: In che cosa sarà diverso?
Beatrice Antolini: Intanto perché, come dicevamo, ho suonato più ritmica. Poi, se le prese delle batterie prima erano tutte di tipo ambientale e fatte con un semplice microfono in mezzo, ora ne ho studiate di particolari, capaci di ricreare un effetto stereo naturale. Nessuno ci pensa più, ma la musica è anche acustica: il suono di una chitarra non è uguale a quello di un'altra, e lo stesso vale per tutti gli strumenti. Il suono è una questione di tempo, lavoro e ricerca ... come lo microfoni, gestisci, editi e inserisci. Tutto è suonato per davvero, non ci sono trucchi tecnologici, e l'idea mi piace molto. Poi sì, un moog è elettronico per forza, ma tutte le tracce sono eseguite dal vivo, dall'inizio alla fine. Farò anche pochissimo editing, non voglio che sia il computer a suonare per me. Ci saranno errori e sbavature, forse, ma i dischi più belli della storia ne sono pieni ... e i Doors ce lo insegnano.

Mescalina: Senti, da quando ho letto le tue note di copertina ho un pensiero fisso in testa: mi spieghi se l'armadillo è quello che penso? E, in caso affermativo, come accidenti hai fatto a suonarlo?
Beatrice Antolini: In realtà sarebbe una cosa illegale, non potrei neanche dirla ... ma io ho un armadillo. Un'amica argentina lo teneva appeso al muro, le ho chiesto di farmelo provare ed … è bellissimo! Praticamente è un charango, un chitarrino, ottenuto dalla corazza dell'animale. Con tanto di peli, poverino. C'è parecchio armadillo in "Big Saloon"!

Mescalina: Finalmente abbiamo svelato il mistero. Tra i vari strumenti hai elencato posacenere, metronomo…

Beatrice Antolini: Pensavi all'animale? Lui che cammina e io dietro a suonarlo?! [ride] No, è un semplice charango … ma potrebbe essere un'idea interessante!

Guanzate, 10 maggio 2008
©Massimo Baraldi
www.massimobaraldi.it