Mescalina:
Beatrice, tu hai la grande
capacità di rendere leggera la musica colta, facendola convivere
con suggestioni da cartoon e cabaret. In più, la cosa sembra
venirti spontanea: ascoltando il tuo album non si percepiscono
forzature di sorta.
Beatrice Antolini: Non si percepiscono forzature perché
… non ci sono! "Big Saloon", sì, con la Madcap è diventato
l'album, ma all'inizio è stato concepito come un demo, non
diverso dai tanti già preparati in passato. Lì ho raccolto
tutte le mie idee musicali legate alle cose che, nel tempo,
ho ascoltato e vissuto. Mi rappresenta, totalmente. Quella
è la mia musica, la sento mia, a me piace e … spero venga
apprezzata anche dagli altri! [ride] Nessuna forzatura e nessuno
sforzo. I pezzi vengono da soli, non mi domando mai quale
forma dovrebbero avere … come accada, non lo so. È scrittura
automatica. Un po' come quei tipi che parlano con i morti,
più o meno, però in chiave musicale. Forse, da lassù, qualcuno
mi parla! [ride]
Mescalina:
Quando si descrive un artista si tende a cercare similitudini
a tutti i costi, abitudine che non apprezzo molto. Nel tuo
caso sarebbe un'impresa dura, ma … ascoltandoti non ho potuto
fare a meno di pensare alle Flying Lizards e a Syd Barrett.
Ti va di parlare delle tue influenze?
Beatrice Antolini: Per parlarne dovremmo stare qui
cinque o sei ore … ma possiamo fare un breve riassunto! Ho
cominciato a suonare le tastiere da piccolissima, a braccio
e da sola. La passione per gli arrangiamenti è venuta subito
dopo, stavo lì con le cassettine a registrare prima una cosa,
poi l'altra (il tamburello e le quattro robette che avevo
a disposizione, insomma). Il pianoforte e la musica classica
li ho studiati fino ai quindici anni e poi, quando non ce
l'ho fatta più, mi sono messa alla batteria e al basso in
varie formazioni punk e dark. Il passo successivo mi ha portata
nell'elettronica e infine ho deciso di riprendere in mano
sia gli studi classici, sia il pianoforte. È proprio intorno
a questo strumento che si è sviluppato "Big Saloon". Per il
disco nuovo, invece ho rispolverato batteria e chitarra, i
pezzi sono più "batteristici" e "chitarristici". Ogni tanto
devo cambiare strumento, se no mi annoio! [ride]
Mescalina: Penserai tu alla chitarra?
Beatrice Antolini: Sì, anche sull'altro disco ho suonato
tutto quanto, a parte qualche "guest star" … [ride] che "star"
magari non sarà, ma "guest" sì! Ci saranno ancora alcuni amici
e i ragazzi del gruppo hanno fatto degli interventi, però
diciamo che è proprio uno sfogo mio, una cosa che sentivo
di voler buttare fuori.
Mescalina:
Volendo andare a cercare il "pelo nell'album", l'unico appunto
che mi sentirei di fare riguarda la scelta di non includere
i testi. Che peso hanno le parole nei tuoi brani?
Beatrice Antolini: Poco, veramente poco. Questa è
una cosa che dovrebbe dispiacermi, ma in realtà non me ne
frega niente. I miei gusti musicali sono molto variegati,
spaziano dai Talking Heads a Mozart e solo poche cose restano
fuori. La musica deve essere buona, non pongo altre condizioni
e non faccio distinzioni di genere. La premessa è per dirti
che ultimamente ho notato una cosa: quando gli altri cantano
i testi, io canto le chitarre, il basso, la batteria … [ride]
nel senso che sono più attenta al suono che ad altro. Le parole
mi sembrano delle "assonanze". Se un pezzo è fatto bene, la
parola è assonante, ed è a questo che io bado. Cerco poi di
dare un senso alla "storia", ma spesso non lo trovo. Mi vergogno
ad ammetterlo, ma è così. Ho persino provato a farli correggere
da amici madrelingua, ma la risposta era invariabilmente:
"Lascia perdere. Continua così, tanto un inglese certe cose
non le direbbe mai!". E, in fondo, è anche questo il bello.
Diciamo che cerco di stare un po' attenta all'aspetto grammaticale,
ma anche a raccogliere le espressioni che piacciono a me.
Magari inventandole. L'ho fatto con i nomi, alcuni personaggi,
altre cose …
Mescalina:
Come il Topogò …
Beatrice Antolini: Topogò, il Dancing Mouse … è la
storia di un topo dai gusti sessuali ambigui. Lui gira per
tutti questi posti, diciamo che è un tantino esagitato. Io
non ho gusti sessuali ambigui, però. Il Topogò è anche una
danza, l'avevo studiata in Bartók e ho inserito qualche piccola
citazione musicale e teatrale. Certo, i più non le notano,
ma ci sono comunque, e il gioco di parole tra la danza rumena
e il topo bisessuale mi diverte. [ride]
Mescalina:
Con le parole mantieni lo stesso approccio che hai verso le
note?
Beatrice Antolini: Direi di sì, io ricerco il suono
anche nelle parole. La melodia della voce e quella di uno
strumento hanno la stessa valenza, per me. Nei pezzi nuovi
comincio a pretendere di più ... ma forse è una cosa che capita
invecchiando! Prendi "Clear My Eyes", il penultimo che abbiamo
suonato: la linea vocale e l'accompagnamento sono più classici
rispetto agli altri brani … perché va bene giocare, divertirsi
e mettere insieme tante cose, però anch'io voglio crescere.
Mi piacerebbe scrivere uno standard, qualcosa che gli altri
poi possano suonare come credono. Guarda i jazzisti: se la
menano tanto, però chi è che compone i pezzi che portano in
giro? Gershwin, o altri capaci di scrivere delle belle canzoni!
Io vorrei scrivere delle belle canzoni.
Mescalina:
La scena alternativa italiana sembra suddividersi in due filoni:
da un lato la contaminazione etnica e il recupero del folk,
dall'altro un rock poco convincente e che, a differenza di
quello prodotto negli anni '70, suona inspiegabilmente omologato.
Hai difficoltà a inserirti in questo contesto?
Beatrice Antolini: Nel contesto ci sto vivendo e …
da "outsider" non ho avuto alcuna difficoltà! [ride] Sono
anche un po' un "nerd". È vero … ne sono consapevole e più
me lo ripetono, più sono contenta. Lo dico senza voler parlare
male di nessuno, intendiamoci, ma non riesco quasi mai a paragonarmi
ad altri. Non mi ritengo migliore, ma faccio cose diverse
... e, visto che mi vengono naturali, non ci sto neanche troppo
a pensare. Diciamo che la nostra scena non è delle più interessanti
e la produzione dell'ultimo decennio non è questo granché.
Se devo ascoltare qualcosa, scelgo io e ... sto sui Beatles,
per esempio. Lì trovo tutto, qui non trovo niente. Gli altri
vadano pure ai concerti che preferiscono, io sono tranquilla.
Tra i musicisti che apprezzo cito volentieri i Jennifer Gentle:
li considero il miglior gruppo italiano e il fatto che suonino
regolarmente all'estero ne è la prova! Spero di esportarmi
anch'io, un giorno.
Mescalina: Il processo di desertificazione cui sono
soggette molte aree del nostro pianeta non è dissimile da
quello che affligge gli spazi dedicati alla musica e, più
in generale, alla cultura. Se poi queste non sono allineate,
la faccenda si complica ulteriormente. Tu che ne pensi?
Beatrice Antolini: Quello che accade alla terra è
certamente più grave, ma penso che, parlando di musica, dipenda
in gran parte dall'assenza di proposte in grado di carpire
gli animi delle persone. Se una cosa ha valore, da qualcuno
viene percepito, mi sento di crederci. Poi sì, ci sono gli
mp3, internet e le polemiche … l'industria discografica è
in crisi, adesso che ci sto un minimo dentro e conosco certi
meccanismi, lo capisco. Eppure dopo i concerti il pubblico
ti fa domande, vuole il cd, parla ... e questo significa che
esiste ancora il bisogno di avere in mano l'oggetto, di sentire
la materialità del disco. Ci saranno anche ragioni d'interesse,
ma in questo marasma dove tutti fanno tutto e basta mettere
i pezzi su internet per essere musicisti anche solo con un
computer, è normale che non ci si appassioni più. Esiste una
differenza tra musicisti e non-musicisti, e la gente ha ancora
voglia di sentire la musica. Altrimenti com'è che i Beatles
non li mettono mai in offerta? (ride) Questo spiega tutto!
È vero. Pure i Led Zeppelin hanno messo in offerta, ma i Beatles
no.
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Foto di Alberto Ferrante
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