Management Del Dolore Post-operatorio

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Management Del Dolore Post-operatorio I love you: l'amore per la vita libera

25/05/2015 di Manuel Maniaci

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Il Management del Dolore Post Operatorio, una delle band più trasgressive e provocatorie della scena musicale italiana, ritorna con I love you. Un album crudo, diretto, spogliato di manierismi e giri di parole e di note. Un disco sulla libertà di essere ciò che si vuole, sull’amore per la vita libera dalle restrizioni sociali e dai limiti morali. Durante il tour che li sta portando su e giù per lo stivale, abbiamo incontrato Luca Romagnoli, voce e penna del gruppo, che ci ha parlato del nuovo disco e di tanto altro.
Mescalina: Il vostro ultimo album, I love you, ha un titolo apparentemente lontano dal vostro essere. Come mai lo avete scelto?

Luca Romagnoli: Pensando proprio al concetto di amore, che in realtà in questo disco è poco presente se non per vie traverse e trasversali, mentre negli album precedenti c’era spesso una certa malinconia romantica. In questo senso, io ho cercato di smussare quanto più possibile la poesia e tutti i vari barocchismi e tergiversamenti prima di arrivare al dunque. È un disco molto diretto, molto asciutto, io direi pure molto adolescenziale. Non so, a trent’anni sto vivendo una seconda adolescenza e non me ne frega un cazzo. Mi sento di nuovo libero ma con tutti quei problemi che hanno gli adolescenti, quindi soffro molto. Insomma, è proprio quel periodo in cui l’amore torna a farsi sentire ma in questo caso non è l’amore verso un altro sesso o verso una persona ma per sé stessi, per la voglia di essere liberi, per la voglia di dire: vorrei combattere contro qualcosa.

In realtà, mi sono convinto di questo titolo dopo aver visto il festival di Sanremo, con queste canzoni squallide che parlano tutte d’amore senza parlarne mai, anzi ne parlano in questa maniera così misera.

Mescalina: Qual è quindi la differenza tra l’amore che cantate voi e l’amore cantato, come dici tu, a Sanremo?

Luca: L’amore che cantiamo noi non è l’amore della pubblicità dei cornetti Algida, cioè non è l’amore della coppietta che si promette amore eterno. È un amore verso la conoscenza in generale ma soprattutto verso la conoscenza di sé stessi. La perversione, ad esempio, anche a livello sessuale, è una forma di curiosità. Quando parlo di queste cose penso sempre ad Ulisse, che si spinge al di là dei confini della conoscenza e che, non a caso, viene messo all’Inferno da Dante. Poi, naturalmente, mi vengono in mente Adamo ed Eva. Dio non voleva che loro aprissero gli occhi quindi ha detto: guardate, fate tutto tranne toccare quell’albero. Loro, giustamente, tra l’immortalità e la conoscenza, hanno scelto la conoscenza, di nuovo questa curiosità che secondo me è anche perversione. Nonostante le minacce di Dio loro scelgono la mela, proprio perché non sanno il motivo per cui gli viene proibita. L’uomo è fatto così. E questo è meraviglioso.

Mescalina: C’è poi un aspetto che vi caratterizza: quello della provocazione, della trasgressione. È un qualcosa che secondo te serve a livello comunicativo, per far recepire meglio il messaggio?

Luca: Guarda, io credo che la provocazione in sé e per sé è forse anche passata di moda. Ma è proprio per questo motivo che, ogni tanto, si deve tornare sul punto. Perché le cose passano di moda, come a dire: adesso canzoni sulla guerra non se ne fanno più, come se la guerra non esistesse più. Mentre, invece, c’è guerra da tutte le parti, è il periodo storico con più conflitti nel mondo. Però i vari gruppi musicali sanno che è diventato noioso e fuori moda parlarne, quindi non ne parlano più. Non ci sono più canzoni impegnate in questo senso. Anche la politica ha cominciato a rompere i coglioni. In un certo senso, se non ne parli in maniera simpatica, la gente si rompe i coglioni. E questa è una cosa bruttissima. Cioè, non puoi parlare seriamente di una cosa e allora lo fanno i vari politicucci, politicanti, giornalisti del cavolo, la televisione e tutti quelli che ne dicono di tutti i colori. Ma noi è come se ci fossimo arresi, quando uno dice: guarda, non ne posso parlare più perché tanto chi se ne frega. È un po’ come buttare la spugna. E questo dei gruppi che non affrontano certi temi è un po’ come se fosse un processo di autocensura preventiva.

Mescalina: Non c’è quindi, secondo te, un nuovo tipo di censura, apparentemente più leggero e basato sui moralismi? Mi riferisco anche a quello che è successo proprio a voi durante il concerto di Roma del primo maggio di due anni fa.

Luca: Ma sì, anche quest’anno con Lo Stato Sociale sono successe piccole cose, più o meno importanti. Però ci ritroviamo a combattere sempre le stesse cose e secondo me non è questione di censura, è un voler stare o non stare in un certo mondo. Per esempio, sempre tornando a Sanremo, tu sai che se ci vuoi andare certe cose non le puoi fare. Quindi, non è che tu vai là e ti censurano, è che certe cose non te le fanno proprio fare, non ti ci fanno salire su quel palco. Secondo me ci dovrebbe essere un orgoglio del non stare là. Questa sarebbe un po’ la lotta e la provocazione. Per fortuna c’è anche Internet, che ci ha tolto il bisogno della televisione, quindi finalmente non abbiamo più bisogno di loro e dei loro personaggi ridicoli. Un gruppo, per suonare, fortunatamente non ha più bisogno di andare da Barbara d’Urso o cose del genere. Perché quando tu vuoi parlare in un certo modo, non per forza di cose serie, perché poi la provocazione può anche essere simpatica, demenziale e intelligente allo stesso tempo, penso ad esempio agli Skiantos , lì non ci puoi andare. Perché certe cose o non te le fanno proprio dire oppure ti fanno passare per idiota. Quindi, in certi ambienti bisognerebbe proprio non andarci. Bisognerebbe essere fieri di non metterci piede.

Mescalina: Anche se Lo Stato Sociale al Primo Maggio di quest’anno ha fatto un’autocensura costruttiva, suonando al buio e spiegando il perché.

Luca: Certo, è stato molto costruttivo. C’è modo e modo. Si può fare un atto di protesta pacifico, come in questo caso. Noi avevamo fatto una protesta un po’ più spinta, assolutamente non violenta, ma un po’ meno pacifica.

Mescalina: Ritornando al disco, cos’è cambiato nell’approccio alla costruzione e alla registrazione dell’album con il passaggio a La Tempesta Dischi e alla produzione di Giulio Ragno Favero?

Luca: A La Tempesta ci siamo ritrovati tra amici, li conosciamo da una vita e lavorano meravigliosamente. È stato quindi un lavoro più familiare, è come se fossimo tutti fratelli e figli l’uno dell’altro. Inoltre, loro sono tutti musicisti, quindi sanno benissimo cosa un gruppo cerca e di cosa ha bisogno.

Mentre Giulio lo abbiamo scelto come produttore per ritornare a un’atmosfera molto più vicina all’esperienza live. Lui ci ha fatto lavorare molto sulla sottrazione, che è un lavoro molto difficile. Qualcuno ha scritto che questo disco è più semplice degli altri, quasi come se fosse meno lavorato. In realtà è lavorato il triplo, proprio per risultare semplice in questo modo. È il lavoro più difficile che abbiamo mai fatto. Anche se prima avevamo fatto dei dischi che, comunque, reputo ottimi nel modo in cui sono stati fatti, adesso volevamo ritornare proprio al togliere. Perché aggiungere è facile: metti sopra la tastiera, aggiungi un altro riff, altre dieci chitarre, una tromba e quello che vuoi. Quando poi vuoi togliere, invece, è molto più difficile.

Comunque, sia con La Tempesta che con Giulio ci siamo trovati davvero bene.

Mescalina: C’è in Italia, soprattutto negli ultimi anni, un’esterofilia che sta coinvolgendo anche la musica. Si va quindi a registrare all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Voi non lo avete fatto neanche questa volta. È stata una scelta, una mancanza di possibilità oppure, semplicemente, non ne sentite l’esigenza?

Luca: Fino a questo momento non ne abbiamo sentito l’esigenza. Io credo che ci sia differenza tra l’andare a registrare a Los Angeles solo perché fa figo, il che non ha alcun senso, e l’andare a registrare da qualche parte perché solo lì si trovano delle strumentazioni specifiche o delle persone che si sono scelte per la loro bravura. Io ci metterei la firma per fare un disco, ad esempio, con Damon Albarn, che secondo me ha un modo di ragionare la musica meraviglioso. Poi, se quella persona mi dice che per lavorare bene c’è bisogno di spostarsi, ci si sposta. Ma se mi dice che si può lavorare bene anche a casa mia, va benissimo così. Comunque, c’è da dire che è anche una moda fare finta che le persone brave ci siano solo a Berlino, a Los Angeles o da qualche altra parte. Invece, siccome ci sono anche in Italia, si può fare anche qui.

Mescalina: Chiudiamo con una domanda un po’ banale. Quali sono i gruppi italiani contemporanei che stimi di più?

Luca: Io ho una visione della musica molto d’insieme, quindi mi interessano i testi, la musica ma anche lo spettacolo. Ma, soprattutto, mi interessa l’idea che uno ha della musica, non la semplice esecuzione. Deve piacermi l’immaginario che un gruppo rappresenta. In questo senso, i Tre Allegri Ragazzi Morti hanno un immaginario bellissimo e io li adoro. Lo stesso vale per Il Teatro degli Orrori, con il loro mondo fatto di tenebre. Gli Zen Circus mi danno l’idea di un gruppo che fa quello che vuole. Lo Stato Sociale, qualunque cosa dica la gente, a livello musicale ha un approccio molto originale. In loro apprezzo l’interscambio tra musica e testi e il modo in cui sanno dire delle cose attuali, anche di stampo politico, con simpatia e in modo intelligente. I Bud Spencer Blues Explosion, ad esempio, fanno un genere che a me non piace moltissimo ma li ammiro per come lo fanno, cioè quel salire sul palco e spaccare i culi, suonando come Cristo comanda. Io do molto peso ai testi ma anche un gruppo come i Calibro 35, che non canta, mi piace per quello che rappresenta. Invece, ci sono dei gruppi che vorrebbero fare un po’ questo e un po’ quello e poi non fanno un cazzo.

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