interviste
A Toys Orchestra La sindrome di Peter Pan
Gli A Toys Orchestra sono un gruppo in ascesa, non per la visibilità o per i premi che si sono meritati, ma per la coscienza con cui guardano a sé stessi e alla loro musica: tanto le loro canzoni sono disperatamente attaccate alla vita e determinate a rimanere giovani, tanto Enzo, Ilaria, Fausto, Fabrizio e Raffaele sono pronti a crescere e ad affrontare tutte le contraddizioni che si possono incontrare strada facendo.
La sindrome di Peter Pan
Intervista A Toys Orchestra a cura di Vito Sartor e Christian Verzeletti Gli A Toys Orchestra sono un gruppo in ascesa, non per la visibilità o per i premi che si
sono meritati, ma per la coscienza con cui guardano a sé stessi e alla loro musica:
tanto le loro canzoni sono disperatamente attaccate alla vita e determinate a rimanere
giovani, tanto Enzo, Ilaria, Fausto, Fabrizio e Raffaele sono pronti a crescere e ad
affrontare tutte le contraddizioni che si possono incontrare strada facendo.
Mescalina: Allora, cominciamo col dire che i Toys Orchestra non sono proprio la tipica band campana …
Enzo: … anche perché come classico gruppo campano c’è ben poco!
Mescalina: Diciamo pure che non c’è il classico gruppo campano!? (Risate)
Enzo: È così, sì, diciamocelo chiaramente. Sta uscendo qualcosa e ci sono alcuni gruppi del casertano e del napoletano che stanno lavorando bene … ti posso dire i Bless Child Opera o i Godzilla Riders di Caserta, che si stanno dedicando a queste sonorità più esterofile, ad una ricerca al di là dei confini nazionali più che campani. Magari noi non siamo la tipica band campana, perché siamo cresciuti con la musica americana degli anni ’90, e così non sembriamo campani anche se lo siamo…
Mescalina: Ma ora vi siete trasferiti a Firenze?
Enzo: No, noi manteniamo la base in Campania … ovviamente se le prospettive migliorano, cioè se l’Italia progredisce a tal punto che la musica può diventare qualcosa che ci dà non dico i soldi, ma almeno farci mangiare e farci viaggiare col furgone, ci potremmo trasferire in una città che sia un po’ più viva di quella in cui viviamo … nonostante si viva bene da noi, però, per quanto riguarda la musica, il terreno è arido.
Mescalina: Secondo te c’è la possibilità che la scena indie italiana cresca davvero? Al sud come in altre regioni o addirittura fuori dall’Italia?
Enzo: In Italia ci sono i presupposti, perché le buone bands non mancano: ci sono gli Yuppie Flu, One Dimensional Man, i Giardini Di Mirò, Goodmorningboy oppure quei nomi che ti ho detto prima al sud. Ci sono gruppi che non hanno niente da invidiare a tante band americane e europee, quindi i presupposti per far crescere la scena nazionale ci sono tutti: adesso dobbiamo essere noi italiani a far vedere anche all’estero come siamo capaci di fare musica.
Mescalina: Infatti con alcuni di questi gruppi si sta cominciando un discorso per l’estero … è così anche per il vostro disco, no?
Enzo: Certo, il disco uscirà per la Glitterhouse in Germania, Austria e Svizzera e per noi non è poco, perché Glitterhouse è una bellissima etichetta quindi si stanno aprendo delle porte, a noi come ad altre bands …
Ilaria: Per ora a questo ci stanno lavorando Paolo con la sua Urtovox e questa Cupola …
Mescalina: A proposito, come vi trovate in questa Cupola?
Enzo: Egregiamente! Anche perché è un rapporto molto affiatato, però rilassato, senza quella formalità che ci sta di solito tra band e etichetta come fossero due entità separate … forse anche perché siamo tutti terroni (risate), però ci troviamo benissimo!
Ilaria: Non ci poteva capitare di meglio …
Enzo: Diciamo che abbiamo capito che con Paolo abbiamo preso il sesto Toys, il sesto giocattolo …
Ilaria: Siamo sempre a casa sua …
Mescalina: Tutta questa collaborazione e questo affiatamento è un po’ sospetto: questa Cupola poi fa proprio pensare ad una cosa un po’ mafiosa … (Risate)
Enzo: … nonostante le origini magari di qualcuno tra Campania e Sicilia, ti dirò che è un progetto assolutamente trasparente!
Mescalina: Comunque la scena indie sta non dico maturando, perché in un certo senso era già matura, però ultimamente escono dei lavori che sono un passo avanti rispetto a quanto fatto in passato. E questi dischi vengono apprezzati anche al di fuori della scena indie, mentre invece anni fa dischi altrettanto belli venivano considerati solo all’interno di una certa cerchia…
Enzo: Hai detto bene e questo è qualcosa che lascia sperare in positivo. Alla fine noi abbiamo lavorato tanto per questo disco e, detto molto sinceramente, nel nostro caso la realtà ha superato le aspettative. Siamo sorpresi, perché abbiamo avuto un’attenzione particolare sia da parte dei media che del pubblico: è un riscontro molto importante. Magari con l’album precedente abbiamo faticato di più, forse perché era un discorso più di nicchia, perchè l’etichetta era più piccola, però adesso c’è un po’ di predisposizione in più nell’ambiente …
Mescalina: Bè, anche perché nel frattempo tutti questi gruppi di cui parlavamo sono cresciuti: voi stessi, rispetto a “Job”, avete fatto un bel salto …
Fabrizio: Certo, è vero, ma è stata una crescita spontanea e per esempio ti dico che anche questo video noi lo abbiamo fatto sperando che passasse il più possibile e invece è passato tantissimo e ha anche vinto due premi …
Enzo: Oltre poi a dire che sull’ultimo numero di Musica di Repubblica siamo tra i dieci video più belli italiani … ci ha impressionato soprattutto il titolo sul giornale dai Franz Ferdinand ai Toys Orchestra!
Mescalina: Come è arrivata tutta questa attenzione?
Enzo: Praticamente è successo tutto nel modo più naturale: sono passati quasi quattro anni da “Job” e in quattro anni si cambiano gusti, si fanno scelte diverse e si ha pure voglia di rinnovarsi. Questi cambiamenti hanno determinato la nostra maturazione, perché non ci siamo fossilizzati sulle formule degli inizi … magari prima ci concentravamo molto per destrutturare la forma della canzone, invece abbiamo cercato di focalizzare il lato più emotivo …
Mescalina: Cioè eravate più concettuali?
Enzo: Probabilmente sì … però il passaggio è avvenuto in modo naturale, non è che nel cominciare un pezzo abbiamo pensato “questo deve durare tre minuti”. C’è stato anche un approccio differente, perchè abbiamo dato più spazio al pianoforte e poi abbiamo avuto l’aiuto di varie persone come Giacomo in studio di registrazione e Paolo a consigliarci come impostare i pezzi. E anche l’aggiunta di quel colorito sull’elettronica che fino a quel momento era per noi solo un ausilio, un giocattolo: giocavamo con le tastierine che costavano centomila lire e che non si potevano nemmeno microfonare … poi è arrivato Fausto, che sapeva mettere mani sui campionatori, sui computer e anche lì c’è stato un passo avanti …
Mescalina: Fausto, tu come sei arrivato nei Toys?
Fausto: Come loro sono cresciuto tra i gruppi di provincia, solo che avevo dei gusti differenti, più sull’elettronica. Poi devo dire che arrivare in un gruppo, dove invece dell’immagine e del gusto estetico si privilegiava l’aspetto emotivo, mi ha dato la possibilità di dare un colore a qualcosa che era già vera sostanza …
Enzo: Diciamo che lui ha umanizzato la nostra parte di elettronica!
Mescalina: Questa carica umana molto emotiva si sente anche nei personaggi dei vostri testi, che vivono soprattutto di fragilità …
Enzo: Già, lo sottolinea anche il titolo del disco, che vuol dire “il pianto forte del cucù” … volevo riallacciarmi all’immaginario di quei vecchi orologi con il cucù che scandisce le ore … però in questo caso, più che scandirle, le urla in modo disperato, perché è affetto da una sindrome di Peter Pan. In pratica si rende conto che ogni ora che passa non tornerà più e entra in questa specie di esasperazione: il disco gira tutto intorno a questo concetto del tempo legato al lato più fragile dell’essere umano. Questo avvertire il peso del tempo non è comunque un lato negativo, da depressi, ma piuttosto denota un attaccamento alla vita …
Mescalina: Questa esasperazione interiore è sottolineata anche negli arrangiamenti perché c’è una continua alternanza tra vuoto e pieno, soprattutto col piano che da più l’idea della fragilità emotiva …
Enzo: Hai azzeccato benissimo! Anche perchè noi cerchiamo di ostentare la nostra semplicità piuttosto che il virtuosismo, quindi ci sono momenti in cui siamo più asciutti, quasi trascinati, proprio per fare da contrasto a momenti più isterici: in questo l’omnipresenza del piano è fondamentale per comunicare quel mal d’animo che dicevo …
Mescalina: Non credo sia facile sviluppare questo tipo di canzone dal vivo, sono curioso di sentirvi stasera, anche perché rispetto al primo disco questi pezzi sono proprio più canzoni…
Enzo: Dal vivo cerchiamo di divertirci e divertire, nel senso che il divertimento non è per forza qualcosa legato all’ilarità, ma piuttosto al coinvolgimento nostro e del pubblico.
Ilaria: Il suono è molto più curato anche dal vivo, perché abbiamo dato un’attenzione particolare alla melodia, sia che ci sia un pezzo solo piano e voce sia che ci siano dei momenti più coraggiosi. Di norma prima cercavamo di arrangiare, di strutturare e di allungare i brani in modo di stranirli, invece questa volta eravamo molto sicuri dei pezzi e delle melodie: ci piacevano e sentivamo che potevano rendere anche solo con chitarra e voce …
Mescalina: A me è capitato anche di leggere qualche recensione dove vi si descrive come derivativi …
Enzo: Guarda, onestamente non ti posso dire che noi siamo gli originali, che siamo quelli che hanno inventato il rock … forse noi siamo derivativi nel senso positivo e normale del termine, nel senso che abbiamo un background, che abbiamo imparato la musica da altre persone e abbiamo cercato di estrapolarne qualcosa che diventasse nostro, cercando di essere il più onesti possibile. Poi non è che abbiamo preso un gruppo e abbiamo detto “noi dobbiamo essere questi”! Io penso che oggi è veramente difficile, se non impossibile, trovare qualcuno che non abbia qualcosa di derivativo: i Radiohead non possiamo dire che non hanno risentito di Jeff Buckley, così come che Sparklehorse non risente di Neil Young …
Mescalina: Il fatto è che il concetto di derivativo viene spesso usato dalla critica quando non sa bene che cosa dire: per esempio, è molto facile che venga detto di un gruppo italiano che canta in inglese, meno se invece canti in italiano …
Ilaria: È un preconcetto che l’Italia abbia sempre e solo da imparare dall’Inghilterra e dall’America e che non abbia invece una visione della musica sua …
Enzo: Facciamo questo esempio: si dice che noi siamo troppo simili ai Blonde Redhead. Ok ci può stare, perché abbiamo mangiato pane e Blonde Redhead per anni, però dei Blonde Redhead si siceva che erano identici ai Sonic Youth! È una cosa normale: loro hanno imparato dai Sonic Youth e noi impariamo dai Blonde Redhead … quello che c’è di marcio è che spesso il giornalista, piuttosto che ascoltare il disco e verificare tutti i passaggi prima di dare un giudizio, fa un uso barbaro della cartella stampa! Te lo dico per certo, perché la mia cartella stampa la conosco e buona parte delle recensioni sono copia e incolla con dei sinonimi diversi … abbiamo messo qualche nome quasi per gioco, tipo Kurt Weil e tutti hanno sentito Kurt Weil!
Ilaria: … ma la cosa che desta più ilarità e che dimostra l’assurdo di tutto questo, è che nella cartella stampa li abbiamo messi noi i Blonde Redhead! Se avevamo qualcosa da nascondere o se avevamo paura di essere considerati derivativi, non li mettevamo e se ne sarebbero accorti in molti di meno …
Enzo: … ci sono poi molte bands che rispettiamo profondamente e ci sembrerebbe di fare qualcosa di sbagliato nei loro confronti se cercassimo di rifare in modo pedissequo quello che fanno loro! … quindi sicuramente ci sta quella componente di derivativo, ma è tutto in buona fede …
Enzo: … ma poi proviamo a chiederci il motivo: perché i Blonde Redhead in fondo?
Mescalina: fondamentalmente perché tirano di più adesso rispetto a qualche anno fa …
Enzo: Ecco bravo, guarda ti racconto una cosa di cui parlavamo oggi a tavola: con Paolo discutevamo della questione dei Blonde Redhead e lui diceva che forse è per l’uso della voce maschile e femminile, ma poi ci ha ripensato e ci ha detto: “Vuoi scommettere che, se mettiamo in giro la voce che tu e Ilaria siete fidanzati, vi cominciano a chiamare White Stripes?”. (Risate)
Ilaria: … comunque non l’hanno inventata i Blonde Redhead la formula voce maschile e voce femminile: è una cosa che esiste da sempre … i Blonde Redhehad ci sono nel nostro background, ma come tanti altri …
Mescalina: Come i Grandaddy o come i Beatles …
Ilaria: Sì, ci sono, certo.
Mescalina: A proposito di collegamenti, “Asteroid” mi ha fatto venire in mente un’immagine di un’artistia milanese, Cattelan, che ha raffigurato il Papa stramazzato al suolo colpito proprio da un asteroide … (Risate)
Mescalina: Voi invece siete riusciti a trovare un’intensità ripetendo sempre la stessa frase …
Enzo: Era quello lo scopo: diventare un martello, qualcosa che diventa … in dialetto si dice “lu pirc”, un chiodo …
Mescalina: Scusa, come si dice?
Enzo: “Lu pirc”, pircio insomma, quasi come …
Mescalina: Come piercing! Piercing potrebbe derivare dal vostro dialetto “pirc”! (Risate)
Mescalina: E invece quel pezzo dove dite “Dio benedica la televisione”?
Enzo: Ah, “Modern lucky man”! Sì, “Modern lucky man” è tutta una presa per il culo da “Dio benedica la tv”, a “Ho bisogno di qualcosa per dormire”, quel gioco come se io fossi stato un po’ coglione e avessi frainteso l’anfetamina con i cornflakes, e poi c’è la battuta della cultura generale, “Non ho bisogno di andare a scuola perché tanto la sera sto davanti al National Geographic Channel”. Questo è il pezzo che spezza un po’ a metà l’album …
Mescalina: È molto provocatorio …
Enzo: È provocatoria già la scelta di metterlo nell’album, non solo la concezione della canzone: tutti dicono che è un po’ fuori, che stacca dall’album e effettivamente è così, però per noi ha senso proprio perché spezza tutto giusto a metà.
Mescalina: Ora avete qualche progetto a breve termine?
Enzo: Sicuramente faremo un altro video e poi abbiamo un bel po’ di impegni …
Mescalina: Primo fra tutti il concerto di stasera!
Enzo: Eh sì, quello a momenti!
Mescalina: Magari potreste suonare una cover di un pezzo di Kurt Weil!
Enzo: Il fatto è che non ne conosciamo nemmeno uno!
Mescalina: Ancora meglio: potreste suonare un pezzo vostro o uno qualsiasi e spacciarlo come suo! Giusto per vedere la reazione…