Michele Gazich

interviste

Michele Gazich Gazich e i 10 anni della FonoBisanzio

23/04/2018 di Riccardo Santangelo

#Michele Gazich#Italiana#Folk

L'etichetta FonoBisanzio fondata da Michele Gazich compie un decennio. Da luogo “personale" con cui pubblicare i propri dischi, è diventata un laboratorio dove far crescere e dare voce a un aspetto della musica italiana che ha bisogno di farsi conoscere.
Quando 10 anni fa Michele Gazich decise di buttarsi nell’avventura di prodursi in autonomia i propri dischi, fondando l’etichetta FonoBisanzio, ho applaudito alla sua intraprendenza e al suo coraggio. Era la via giusta che un “artigiano” come lui doveva seguire. In altro modo non avrebbe potuto percorrere le strade, i sentieri, le mulattiere, che il suo essere gli suggeriva.
FonoBisanzio da prima è stata una “bottega” dove Gazich “forgiava” i propri dischi, per poi divenire un vero e proprio laboratorio di “cesellatura”, in cui avevano modo varie persone di accedere, collaborare e dialogare, e farsi condurre dalla sua professionalità. Così a un decennio dalla fondazione abbiamo incontrato Michele, per farci raccontare di questa avventura, dei progetti recenti e di quelli futuri.

Con l'uscita imminente del disco dei Sambene la FonoBisanzio compie 10 anni, è una coincidenza che si "festeggi" con un disco sulla resistenza?
«“Resistenza” e “Guerra Civile” sono da sempre nel lessico della mia conversazione e nel lessico della mia scrittura (che sono la stessa cosa). Parole che mantengono il loro significato originario, legato alla guerra partigiana, ma che hanno un senso anche contemporaneo. “È Guerra Civile / la domenica impiccano i poeti / È Guerra Civile / In piazza l’acqua lava il sangue” cantavo in una delle prime canzoni che ho scritto, con la quale ancor oggi apro ogni concerto. Nella piazza della mia città, Piazza della Loggia a Brescia, letteralmente il sangue è stato subito lavato dai pompieri dopo lo scoppio della bomba nel 1974, per cancellare ogni prova e alterare la scena del crimine. Se vai in un centro commerciale la domenica, assisti, neanche tanto simbolicamente, all’impiccagione dei poeti. Niente libri di poesia, l’editoria è distrutta. Troverai però molti libri di cucina. Tutti mangiano voracemente e cucinano elaboratamente, finché c’è ancora da mangiare, mentre il mondo va a pezzi e va in guerra. “mangè mangè nu sèi chi ve mangià” (Mangiate, mangiate / non sapete chi vi mangerà), cantava uno dei nostri ultimi profeti, Fabrizio De André. Ho, dunque, giudicato non anacronistico cantare la Resistenza, collaborare con i Sambene, produrre artisticamente il loro album Sentieri partigiani – Tra Marche e memoria. Abbiamo addirittura scritto assieme buona parte delle canzoni. La Guerra Civile, poi, nel frattempo, è ricominciata anche nel suo senso più specifico e originario, purtroppo, e proprio nelle Marche. Un album come quello dei Sambene è diventato scandalosamente attuale e davvero necessario».

Sono passati 10 anni dalla nascita di FonoBisanzio, da cosa è scaturita l'idea di fondare una propria etichetta discografica?
«Volevo essere totalmente libero, seguire il mio impulso civile e artistico senza nessun condizionamento. Quando ho avviato la FonoBisanzio, 10 anni fa, eravamo solo mia moglie ed io e ci sentivamo come Don Chisciotte e Sancho Panza. Onestamente avevo già ritenuto un miracolo riuscire a pubblicare il primo album con La Nave dei Folli. Poi attorno a noi la discografia ufficiale è crollata. E la FonoBisanzio ha cominciato a essere qualcosa di interessante. Ogni settimana ci arrivano album di persone che si propongono. Ha avuto un senso produrre, nell’era del download, CD che sono prodotti editoriali interessanti, dove ogni dettaglio è curato: dal packaging, sempre artisticamente caratterizzato e ricco di informazioni, traduzioni etc, alla qualità della registrazione. “Good news: everybody can make an album. Bad news: everybody can make an album” (Buone notizie: chiunque può fare un album. Cattive notizie: chiunque può fare un album), come dice in maniera gnomica Steve Earle. Il che significa che tutti possono fare un album in qualche modo a casa propria».

Ma tu non hai mai registrato un album nella tua casa... Credi ancora in una certa “catena” di lavoro.
«Non ho mai registrato un album a casa (o meglio lo faccio regolarmente, ma non lo pubblico; lo chiamo pre-produzione). Credo nello studio di registrazione: dall’inizio della FonoBisanzio collaboro con Paolo Costola, tecnico del suono presso i MacWave Studios di Brescia. Credo nella collaborazione con artisti e fotografi importanti per dare valore agli album FonoBisanzio; credo a chi sa costruire un significativo progetto grafico. Adoro valorizzare chi sa fare bene il proprio lavoro, che, di solito, è qualcosa di molto specifico. Detesto chi pensa di saper fare tutto. Mi piace considerare la produzione di un album un prodotto artistico artigianale e collettivo, a cui collaborano tante individualità, tutte importanti: non solo l’artista che ha il nome in grande sulla copertina. E mi piace sempre ricordare quegli scultori, quegli artigiani scalpellini che, nel Medioevo, scolpivano anche il retro delle statue sulle facciate delle chiese, la parte che nessuno vede tranne Dio. Se Dio sopravvive da qualche parte è “nei dettagli / nelle crepe dei centri commerciali”. Anche questa è Guerra Civile. Come diceva Elio Petri, in una frase citata da tanti, ma sempre attuale e sottoscrivibile: “L’ultima linea di resistenza è quella di fare bene le cose”».

Quale sono le motivazioni per cui un musicista sente l'esigenza di intraprendere un percorso di produzione?
«Perché non gli piace passare la giornata a guardarsi allo specchio. Ci sono tante cose più interessanti al mondo. Chiamo da sempre la mia arte “arte dell’incontro”. Adoro incontrare altri esseri umani, ascoltarli, farmi insegnare da loro cose che non so e che non riuscivo neanche a immaginare. Ogni uomo o donna che incontri è una porta che si apre, un viaggio che comincia. Certamente ho insegnato e fatto conoscere qualcosa agli artisti che ho prodotto, ma certamente loro hanno insegnato e fatto conoscere a me».

Fin dall'inizio avevi il progetto di non fermarti alle produzioni di tuoi album, ma aprirti allo sviluppo di progetti di altri?
«Sì, era da sempre un mio auspicio, ma non credevo di riuscire a creare le condizioni per farcela».

Come avvengono le scelte artistiche?
«Di solito la scelta è molto spontanea. Stimo gli artisti che produco. Di solito sono persone che conosco da un po’ e di cui apprezzo il percorso artistico. Quando mi chiedono di lavorare alla loro produzione, di solito un po’ me l’aspetto, ma è sempre una grande gioia quando avviene».

A oggi hai prodotto artisti legati al mondo del rock e del folk nostrano, e in qualche caso anche internazionale, questo sarà la cifra stilistica che FonoBisanzio terrà oppure possiamo aspettarci delle novità?
«Credo molto nella vitalità della canzone d’autore con radici folk, o meglio, legata al proprio territorio. Ma tengo a sottolineare che è canzone d’autore quella che amo, che pratico in proprio o che produco; non sono dischi folk di materiale tradizionale. Penso soprattutto a Fòrte e Gendìle di Lara Molino. Certo: ci sono stilemi folk su cui le parole si posano e che conferiscono dignità alle parole stesse, ma non produco dischi folk per filologi e topi da biblioteca o da archivio. Produco dischi di nuove canzoni perché esse vengano suonate qui e ora».

In questo ultimo periodo sei stato molto impegnato in giro per gli Stati Uniti con il tour di Mary Gauthier. Del suo ultimo disco sei stato co-produttore, portando il tuo strumento e un “taglio” europeo in una pubblicazione d'oltreoceano: quale sono state le differenze che hai riscontrato nell'approccio tra le due sponde dell'Atlantico?
«Finalmente è stato pubblicato Rifles & Rosary Beads, dopo un percorso di scrittura e di evoluzione durato quattro anni, vissuti a stretto contatto con Mary. Finalmente lo portiamo in tour; in ottobre anche in Italia. Avevo già registrato in America Salvation Blues con Mark Olson dieci anni fa a Los Angeles. Questa volta, con Mary, eravamo a Nashville e l’approccio è stato molto diverso, empatico ed emotivo da parte di tutti i musicisti, e l’ho sentito più vicino a me della pulizia formale di Los Angeles. Le canzoni accumulate in un lavoro preparatorio di quattro anni, sono state registrate in una settimana! Non penso, dunque, che sia questione di sponde dell’Atlantico, ma di credere davvero in ciò che si fa. Un album per Mary e per me non è mai “un prodotto”, ma questione di vita o di morte».

Quali saranno i prossimi progetti targati FonoBisanzio?
«Sto lavorando con la cantautrice Sara Romano, siciliana, su canzoni con una cifra stilistica estremamente personale, ma in linea con le produzioni FonoBisanzio. Mi affiancherà nella produzione Marco Corrao. Registreremo l’album a fine maggio; già abbiamo lavorato sulla preproduzione».

E Michele Gazich a suo nome? So che hai in serbo qualcosa. Lo scorso autunno a San Servolo, l’isola davanti a Venezia, ho ascoltato un ciclo di canzoni inedite. Che fine hanno fatto? Puoi rivelarci qualcosa?
«Penso di pubblicare il mio prossimo album a settembre, se tutto va come previsto. Le canzoni sono state registrate in buona parte ancora prima della fine dello scorso anno, ma un supplemento di ricerca mi ha portato a non considerare ancora chiuso il progetto fino proprio a questi giorni. Ho scritto le canzoni di questo ciclo quasi interamente nell’ottobre 2017, nell’ambito della mia residenza sull’isola di San Servolo, ospite del progetto Waterlines, residenze artistiche e letterarie a Venezia. Il contatto diretto con il materiale dell’archivio dell’ex-manicomio, la condizione di laborioso isolamento, il contatto con le individualità stimolanti delle altre persone coinvolte nel progetto Waterlines oltre a me, hanno acceso e mantenuto viva la fiamma della scrittura. L’11 ottobre del 1944 dall'isola di San Servolo vennero “ritirati” (questo l'orribile termine burocratico che leggo sulle loro cartelle cliniche) gli ebrei presenti nella struttura e deportati verso i campi di sterminio tedeschi. A San Servolo, ho guardato i loro visi e riletto le loro storie nelle cartelle; ho tentato di restituire loro qualcosa, che non sarà comunque mai abbastanza, a raccontarli in parole e musica. La loro storia non è, di fatto, conosciuta; la mia missione è farla conoscere. L’album potrebbe intitolarsi Temuto come grido, atteso come canto».

 Un sogno nel cassetto che vorrai realizzare a breve e uno a lungo termine... sia nella vita che artisticamente
«Spero di procedere ancora così per qualche anno. Di poter registrare ancora qualche canzone che ho in mente. Spero che il mio corpo mi porti ancora in giro per un po’ a suonare, a cantare, a incontrare. Sì, lo so: il sogno più ambizioso, nel breve e nel lungo termine, è pensarsi nel futuro ancora a fare qualcosa! Ma concedimelo, Riccardo!».