interviste
Ghemon Il rapper 2.0
Protagonista durante la prima serata del GaSch Music Festival, Ghemon ha portato sul palco della cittadina in provincia di Varese il suo ultimo album “ORCHIdee”, meta di un lungo viaggio musicale tra il rap, il cantautorato, il jazz e il soul.
Quando le luci si spengono e la sua band comincia a prendere posizione sul palco, si ha la sensazione che qualcosa di magico stia per accadere. Buio e suoni misteriosi dividono gli artisti dal pubblico. I ragazzi in prima fila gridano il suo nome - “Gianluca! Gianluca! Gianluca!” - accompagnando la voce al ritmo battuto dalle mani, come se fosse un rito per dare inizio allo spettacolo. Lui non si fa attendere e non appena sale palco, la frase-incantesimo del suo singolo Da lei si avvera. “Scorre l’energia quasi fosse un fiume” canta nel secondo brano estratto dal suo ultimo album ORCHIdee: quando fa il suo ingresso al GaSch Music Festival, Gianluca Picariello, meglio conosciuto con il nome di Ghemon, non è un fiume ma una cascata di energia che si abbatte sul numerosissimo pubblico di Gazzada Schianno. Ospite d’onore venerdì 17 per la prima serata del festival varesino, il cantante di Avellino con la sua verve e il suo carisma ha saputo coinvolgere in uno show divertente, originale ed entusiasmante gli oltre 200 spettatori accorsi, dialogando con loro, ballando e cantando. Nelle oltre due ore di live, Ghemon sperimenta generi musicali diversi, dal rap al jazz, dal hip hop al soul senza tralasciare il reggae. Proprio sulle note e sulle armonie giamaicane il rapper dà vita anche ad una personalissima versione di Message in a Bottle dei Police, brano che intona tenendo il microfono rivolto verso il pubblico in una mano e con l’altra appoggiata all’orecchio per ascoltare. La sua musica è in continua evoluzione e il suo passaggio da un rap puro ad un genere più costruito e ricco musicalmente gli ha portato qualche critica nel corso della sua carriera. Con ORCHIdee e con il live di Gazzada Schianno (uno dei tantissimi del suo “Invincibile Estate Tour”) Ghemon, tuttavia, ha avuto ragione: ha dimostrato di essere un artista eclettico, abile sia con la voce che con le parole e ha confermato a pieni voti il successo che lo circonda. Non solo. Con la sua grinta, il suo entusiasmo trascinante e con il suo originale mix tra rap e cantautorato ha anche voluto mandare lui stesso un “message in a bottle”, forte e chiaro: “Io sono Ghemon, e adesso sono qui”.Mescalina: Non è facile dare alla sua musica un’etichetta: tu come ti definiresti musicalmente?
Ghemon: Non vorrei essere definito ed è per questo che cambio in continuazione. Voglio potermi sentir libero di fare quello che mi viene. Sono un cantante che scrive le sue canzoni ma sono anche un rapper che quando canta lo fa da professionista. Sono anche un musicista, sono un leader di una band e… sono anche un attore di film drammatici bravissimo (dice scherzando). Ho molte facce e sfaccettature, questa può essere la mia definizione.
Mescalina: Da dove deriva il tuo nome d’arte “Ghemon”?
Ghemon: Nasce dai cartoni animati. Da piccolo mi è sempre piaciuto il personaggio di Ghemon della serie “Lupin” e così l’ho scelto. Lo amavo ancora più del protagonista e così ho deciso di fare mio il suo nome.
Mescalina: ORCHIdee è un titolo formato da due parole: una scelta originale che ha un significato preciso.
Ghemon: Assolutamente sì. È un titolo matrioska per rappresentare quello che è il contenuto del disco. Orchidee è una parola che ne contiene più d’una: è “idee” ma anche “orch” che è l’abbreviazione per orchestra. È un album di un artista che è nato e cresciuto come un rapper ma al suo interno si trovano anche un’altra musica ed altri generi tutti mescolati tra di loro, con arrangiamenti particolari e con strumenti diversi. Sono un artista polifonico e il titolo riflette il contenuto del disco.
Mescalina: Dopo l’uscita dell’album Qualcosa è cambiato - Qualcosa cambierà Vol. 2 infatti hai intrapreso un percorso di trasformazione musicale che ti portasse ad abbracciare altri generi musicali oltre al rap puro: ORCHIdee è dunque la meta di questo viaggio?
Ghemon: Direi di sì. Da molto tempo cercavo un cambiamento nella mia musica e questo ultimo lavoro ne è la prova. Al rap puro e semplice ho voluto abbinare anche una composizione ricca ed un arrangiamento musicale fatto con veri strumenti. Sono riuscito a coinvolgere in questo progetto persone che hanno svolto nel migliore dei modi le idee, appunto, che avevo in testa e sono assolutamente soddisfatto.
Mescalina: Il singolo Adesso sono qui allude quindi a questo cambiamento?
Ghemon: Esattamente. Il brano è come il titolo del disco, è lo specchio di qualcosa che può essere la vita reale ma anche la stessa vita musicale. È polivalente.
Mescalina: Per i tuoi brani parti sempre da un’esperienza personale, come per il pezzo Nessuno vale quanto te o ancora Mostro in cui risuona forte l’eco di un rapporto logorato.
Ghemon: Il punto di partenza sono sempre spunti di realtà. Ad esperienze mie personali poi unisco racconti altrui. Nessuno vale quanto te è un pezzo sulla mia storia personale, sulla mia vita. In Mostro invece non escludo che ci siano pezzi di mia vita vissuta, ma oltre ad essere un brano autobiografico è anche molto biografico, perché racconta storie e situazioni in cui molti si possono ritrovare.
Mescalina: Marco Bellinelli (cestista italiano che milita in NBA e protagonista del video ufficiale) ha dichiarato che Nessuno vale quanto te è un brano che si avvicina molto al suo vissuto. Il binomio musica-sport nella tua carriera è molto forte, essendo tu stesso un ex cestista: c’è la storia di qualche sportivo che ti piacerebbe raccontare in una canzone?
Ghemon: Ci sono diverse storie belle, appassionanti, alcune finite bene ed alcune invece finite male. I due miei eroi di quando ero piccolo sono Roberto Baggio e Michael Jordan. Le loro storie sono costellate di cose assurde ed eccezionali, quindi forse di loro mi piacerebbe cantare.
Mescalina: Chi è stato il tuo idolo, colui che ti ha ispirato?
Ghemon: Mio papà. Ha fatto una vita di sacrifici e di sforzi e mi ha mostrato la strada che, con lo stesso impegno, avrei potuto percorrere, senza usare scorciatoie. Gli devo moltissimo.
Mescalina: Nella tua carriera hai collaborato con tanti artisti: un nome su tutti?
Ghemon: Devo spezzare una lancia a favore di chi ha suonato nel mio disco. Dal bassista Gabriele Lazzarotti a Ramiro Levy e Daniel Plentz dei Selton ad Enrico Gabrielli, Tommaso Colliva e Fabio Rondinini dei Calibro 35 fino a Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours. Sono le persone con cui ho avuto a che fare per più di un mese e che hanno sposato la mia idea folle di fare una cosa diversa. Li stimo molto e, soprattutto, li ringrazio.
Mescalina: La crisi della Grecia, gli attacchi terroristici in Tunisia, le frasi omofobe nel calcio. Quanto ti hanno colpito questi fatti? C’è una canzone che vorresti scrivere riguardo a questi eventi?
Ghemon: Sono situazioni terribili e drammatiche che purtroppo sono all’ordine del giorno e che mi fanno riflettere. Mi piace parlare in modo specifico delle storie, tuttavia preferisco evitare di toccare l’attualità con riferimenti precisi. Vorrei che i miei pezzi potessero essere riascoltati tra dieci anni ed essere comunque attuali.
Mescalina: Sul web i tuoi video hanno tantissime visualizzazioni (si parla di più di 900.000 per Adesso sono qui): nell’era del digitale, di Soundcloud e YouTube quanto è importante suonare live?
Ghemon: È fondamentale, attraverso la realtà digitale la gente non può mai catturare del tutto l’energia che si vive quando c’è un concerto. È la parte principale di quello che faccio. Nonostante usi i social a pieno regime, solo dal vivo le emozioni possono passare.
Mescalina: Qual è la tua posizione nei confronti dei talent?
Ghemon: Non sono del tutto contrario perché nel mezzo ci sono dei veri talenti, ma non credo siano l’unica opportunità per fare musica come la televisione vuol far credere. Non sono il male della musica, ma non sono nemmeno l’unica fonte da cui può uscire la novità.
Mescalina: Un consiglio per i giovani che vogliono entrare nel mondo hip-hop/rap/?
Ghemon: Essere ostinati: è facile perdere la testa e scoraggiarsi, ma bisogna continuare a provarci perché chi la dura la vince.
Mescalina: Sei un amante del cinema. Nel film Alta Fedeltà di Stephen Frears e tratto dal romanzo di Nick Hornby, i protagonisti spesso riguardo ad un tema qualsiasi fanno una classifica dei “migliori cinque”. Qual è la tua top-five musicale?
Ghemon: Wow, è una domanda tosta, forse troppo complicata (scoppia a ridere mentre ci pensa). Va bene, ci sono. Direi: D’Angelo, Pino Daniele, The Outkast, Marvin Gaye e Common.
Mescalina: Insieme a Syria hai partecipato alla colonna sonora del film Come non detto: c’è un film per cui ti sarebbe piaciuto scrivere la colonna sonora?
Ghemon: (ride) Ce ne sono tantissimi, sia italiani che non. Sto cercando di pensare ad uno italiano in particolare ma è troppo difficile scegliere. Mi butto sul cinema estero. Sicuramente uno qualunque tra i film di Wes Anderson, un mito.
Mescalina: Dopo un periodo di inattività, D’Angelo è tornato ad esibirsi live. Sei andato ad un suo concerto?
Ghemon: Sì, certo! L’ho visto tre volte e sono appassionatissimo: quando siamo andati a sentirlo, è come se io e la mia band fossimo andati in pellegrinaggio.
Mescalina: Se non avessi fatto il cantante…?
Ghemon: Avrei fatto il cuoco.
Mescalina: I progetti futuri di Ghemon?
Ghemon: Per ora c’è in programma il tour. Con la mia band “Le forze del Bene” sarò in giro per l’Italia fino a novembre. Voglio concentrarmi su quello, per i lavori in studio ci sarà tempo.
Mescalina: Siamo alla fine. Prima, però, uno sguardo nella sfera di cristallo. Come ti vedi tra 20-30 anni? Ancora nel mondo della musica?
Ghemon: Certo. Mi vedo sul palco, finché non schiatto.
Info:
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Foto di Giovanni Garavaglia.