interviste
Charlie Cinelli Rio Mella nuovo album e tour con Radoslav Lorkovic e Andrew Hardin
Incontriamo Charlie Cinelli prima di un suo concerto, accompagnato da Radoslav Lorkovic e Andrew Hardin , per il tour di presentazione del suo ultimo lavoro , Rio Mella, da poco uscito per la Appaloosa, che ha già ricevuto notevoli consensi sia tra la critica che il pubblico.
La prima domanda è d’obbligo. Ci racconti un po’ di te, come è nata la tua passione per la musica, quando e come hai iniziato a suonare? La passione per la musica è nata dalla televisione. Da piccolo guardavamo in TV le gemelle Kessler, e la vista di quelle gambe doppie, lunghe fino alle orecchie ci avevano impressionato. Un sabato sera le Kessler suonano la chitarra, per finta ovviamente, con Corrado in mezzo a loro che suona la chitarra pure lui. Ho associato il discorso delle gambe alla chitarra e quindi ho chiesto in regalo a Santa Lucia, perché dalle mie parti è Santa Lucia il 13 dicembre che porta i doni, la mia prima chitarra. L’ho sfoggiata subito a scuola, in mezzo ai miei compagni che avevano chi la divisa da pompiere, chi il camion e io avevo la chitarra. E ho visto che la chitarra piaceva alle ragazze, quindi mi sono detto io voglio suonare la chitarra.
In passato hai lavorato con grandi artisti italiani quali Mina, Iva Zanicchi e Renato Zero. Cosa ti hanno lasciato questi personaggi?
Intanto per quanto riguarda Mina sono rimasto impressionato dalle doti che ha. Per esempio l’album con le canzoni di Renato Zero che noi abbiamo registrato in tre giorni, lei l’ha cantato tutto in tre ore, come si sente nell’album. E’ sempre buona la prima .. e poi sono rimasto impressionato anche dal tipo di persona che è, molto tosta. Con gli altri artisti beh ho imparato a fare il musicista professionista, a stare alle regole, agli orari, come stasera (ride), alla parte, ai suoni, a presentarsi bene. Ho sempre fatto il bassista.
Hai formato la tua prima band, Charlie & the Cats, che ha realizzato ben sette dischi, che ricordi hai di quel periodo ?
Non tantissimi perché eravamo sempre ubriachi e fumati. C’era divertimento, voglia di fare casino, suonare rock demenziale.. Per prima cosa Il trio rock funzionava, la strana ricetta chitarra, basso e batteria, che fanno il minimo indispensabile funziona. Poi la mia voce e quella del mio collega Alan Farrington, bassista e cantante con voce completamente diversa dalla mia, si fondevano perfettamente e abbiamo creato questo suono rock dialettale, demenziale. Insomma sono stati una decina di anni di divertimento.
Hai scritto e interpretato vari spettacoli di cabaret, che ricordi hai del teatro. Reciti ancora?
Il teatro è forte perché ti da quell’emozione, quell’adrenalina che deriva dal fatto di sapere di non essere in grado, cioè io non sono un attore però mettersi alla prova ti da quelle farfalle nello stomaco. E’ divertente però far teatro con qualcuno non da soli. All’inizio c’è stata una compagnia locale dialettale che ha preso delle mie canzoni e ha fatto una commedia dialettale e dove mi hanno fatto anche recitare con disappunto del regista perché non ho mai rispettato la parte. Un’altra cosa divertente che ho fatto è stata il cabaret con Giorgio Zanetti, artista di Zelig. Mi sono divertito tantissimo più che altro perché è bravo lui, quando entrava in scena non mi tenevo dal ridere. La componente musicale dialettale in quel tipo di cabaret ha funzionato per un sacco di anni e sto pensando di fare anche un altro spettacolo, ci metto dentro le canzoni e si costruisce la storia.
Ma veniamo al tuo ultimo disco che si intitola Rio Mella, il fiume che attraversa la tua Val Trompia, è un lavoro che mi è piaciuto molto (l’ho consigliato nella mia recensione per Mescalina), e sta ottenendo riscontri molto positivi. Quanto la tua terra è stata ed è fonte di ispirazione?
Molto, anzi quasi del tutto direi. A livello musicale devo confessare che non c’è grande patrimonio da cui attingere, ma a livello lirico, di poesia, storie, tradizioni, proverbi, modi di dire sintetici nel dialetto che ho imparato a riconoscere nel corso degli anni, c’è tantissimo. Dalle poesie di Urbinati, Pintossi, Soregaroli, Albertinulli ho tirato fuori la capacità di raccontare in sintesi, perché il dialetto è bello perché in sintesi dice un sacco di cose.
Quanto tempo hai impiegato a scrivere le canzoni e registrare il disco?
In totale non tante ore, nel giro di un paio d’anni, 100 ore circa. E’ stato tutto molto diluito nel tempo perché nel frattempo avevo altri lavori, altri dischi, poi con Charlie and the Cats abbiamo suonato ancora e poi è nato mio figlio che ora ha due anni e mezzo, questo ha rallentato parecchio la produzione.
Quanto c’è di autobiografico in Rio Mella?
Tutto. Quello che mi piace a livello sonoro, l’acustica ricca di armonici e le sfumature, Joel Guzman che ogni volta che lo sento.., Andrew Hardin mi piace quel genere lì.
La produzione di questo disco è di Andrea Parodi, cosa ha portato di nuovo rispetto ai tuoi album precedenti?
Mi ha portato innanzitutto la sua preferenza che mi ha onorato, la sua idea di come ri-proporre alcuni brani che già esistevano come scegliere le sonorità adatte per sostenere al meglio questo linguaggio, a volte incomprensibile anche per i bresciani stessi ,è riuscito ad affiancarmi i musicisti giusti per questa soluzione sonora che ci accomuna, a tutti e due piace questo suono di confine.
Il disco è composto da undici tracce, otto originali e tre cover, che spaziano dal folk-rock, al tex-mex, al blues, alla canzone d’autore, ed è cantato in diverse lingue, dialetto, italiano, spagnolo, inglese in quale brano ti ritrovi maggiormente ?
Adesso mi ritrovo maggiormente nel Gal del ciel perche è una vicenda appassionante, musicalmente godibile anche dai meno colti musicalmente. E’ un classico e sono riuscito a trasporla in dialetto con facilità perché la forza del dialetto ha quella scansione ritmica simile all’inglese. Ci ho provato in italiano ma non ci sono riuscito, è stato più facile in dialetto. Me la sento addosso bene e stasera la cantiamo eh!
Ci sono parecchi artisti, sia italiani che stranieri, di grande valore che suonano nel tuo disco, li hai scelti insieme con il produttore ? e chi ti ha impressionato di più ?
Quello che mi ha impressionato di più è stato Joel Guzman, ha una facilità e una musicalità inaspettate, quando sente una canzone non ha bisogno di ascoltarla una seconda volta, lui te la suona subito e le tracce che si sentono registrate sono fatte alla prima. I musicisti li abbiamo scelti assieme al produttore. Andrew Hardin era al tempo già in Italia e lo abbiamo beccato subito. Il riff con Tom Russell l’ha fatto lui quindi non aveva bisogno di impararla.
Sei in tour, e fra poco suonerai qui Da Trapani (Pavia) con due di questi grandi musicisti, Radoslav Lorkovic e Andrew Hardin, che hanno collaborato al disco, come vivi questa inedita formazione live ?
La sto vivendo come una vacanza, nonostante io sia sempre al volante e debba organizzare un po’ la vita anche a loro due, perché anche se sono anni che vengono in Italia bisogna sempre un po’ guidarli in giro. La sto vivendo come una crescita a livello musicale ma anche a livello umano. Sento raccontare da loro cose del Texas, di Chicago, delle esperienze che hanno fatto e soprattutto grazie a loro, alla loro popolarità e alla loro bravura riesco a proporre queste canzoni in dialetto. Parliamoci chiaro il dialetto bresciano è pesante eh!
Cosa ci puoi raccontare di Viento de Amor che è cantata un po’ in spagnolo e un po’ in dialetto?
Il ritornello è in spagnolo “besame con sentimento” . Non è facile capire una lingua straniera quando sei piccolo se non hai un genitore madrelingua e non è facile studiarla, noi al massimo facevamo un po’ di francese alle medie. Quando sono tornati gli zii emigrati in Argentina , già anziani, avranno avuto 80 anni, non parlavano più italiano ma parlavano il dialetto mescolato allo spagnolo. Quindi se volevano parlare in dialetto ogni tanto cadeva dentro qualche parola in spagnolo. Mio zio un giorno mi ha detto “daga l’aiva al perito” . Io ho capito aiva, acqua, ma perito? Era il cagnolino. Faceva caldo e il cagnolino era lì con la lingua di fuori, lo zio mi ha segnato il rubinetto con il suo bastone e lì ho capito. Il ritornello lo immagino cantato da lui a sua moglie Rosina nei momenti romantici nelle sere estive in Val Trompia, magari ricordando il periodo passato in Argentina
Nel disco ci sono tre cover, Gal del ciel, Pablo e Via della Scala cosa ti ha portato a scegliere questi brani e cosa rappresentano per te i loro autori?
Stefano Rosso numero 1. Quando a 16 anni lavoravo in officina ascoltavo la radio. Non ricordo chi fosse quel dj che trasmetteva belle canzoni magari di De Gregori o De Andrè e tra queste canzoni c’era Storia Disonesta di Stefano Rosso ma soprattutto Via della Scala che mi ha colpito molto. Ho scoperto di condividere questa stessa passione con Andrea Parodi che è molto più giovane di me ma sa tutto, e quindi ne abbiamo fatto una versione semplice senza voler strafare. Pablo la cantavamo da ragazzi nella versione soft quando volevamo fare un po’ i fighi, intortare un po’ le ragazze, qui l’abbiamo tex-mexizzata, tempo up e via. Funziona e c’è un Guzman stratosferico.
Pensi che l’originalissima versione, in chiave conjunto, di Pablo sia piaciuta a Francesco De Gregori?
Spero di si. Secondo me si, non ho avuto nessun riscontro, forse non l’ascolterà neanche mah. Se gli arriva all’orecchio vediamo la reazione.
Il tuo disco è il manifesto delle contaminazioni di lingue culture e tradizioni musicali. Quanto sono importanti per te gli scambi tra culture?
Sono fondamentali. Soprattutto nei tempi in cui viviamo stiamo assistendo proprio al contrario. Ci si ritira e ci si chiude dentro casa con la paura, e la paura sta facendo disastri. Ci si chiude, si diventa cattivi. Ma era inevitabile. Con quello che sta succedendo adesso in Medio Oriente e in Africa cosa vuoi che faccia questa gente? Sarebbe bello che non solo nella musica ma anche nella vita di tutti i giorni si riuscisse ad andare d’accordo il che non significa perdere la propria identità culturale. Siamo tutti umani.
l dialetto della Val Trompia è decisamente ostico, fuori dalla tua terra che reazioni vedi nelle persone che vengono ad ascoltarti ?
Ti faccio un esempio. Abbiamo fatto una delle prime serate a Grosseto in un club e ho presentato il primo brano gal del ciel che è diventata Gal del ciel perché ho spiegato che ho trasportato la canzone in Val Trompia etc. Finita la canzone, tutti a dire bravi bravi ma una signora ha alzato la testa e ha detto (con accento toscano) “ la conoscevo la canzone ma si era capito meglio in inglese”. E questa cosa mi è rimasta impressa. Ma io dico è vero che non si capisce il dialetto ma voi capite tutti i testi delle canzoni in inglese che ascoltate? Non sempre mi pare.
Cosa risponderesti se ti venisse chiesto che genere di musica fai?
Risponderei: cerco sempre di fare quello che mi viene anche se non è conseguente a quello che ho fatto prima. Negli anni ho cambiato tanti generi, sono passato dal rock alla musica reggae, il blues mi piace molto però la sonorità acustica, chitarra fisa violino e mandolino è quella che mi viene più naturale. Quindi faccio del folk direi
Pensi sia più facile oggi, grazie a Internet e alla musica “liquida” essere ascoltati e trovare un pubblico più ampio?
Si la digitalizzazione che tanti lamentano essere la causa della perdita di vendita dei dischi per me è una cosa positiva perché nel marasma di tanta roba che c’è purtroppo ce n’è tanta brutta. Però se un giovane sa cosa gli piace e sa muoversi in rete, trova tutto quello che vuole mentre un po’ di anni fa c’era solo quello che era imposto dalle radio, dalle major, i cantanti di grido e basta. L’importante è che i ragazzi sappiano cosa piace loro e cosa ascoltare.
Progetti futuri ?
Certo, con calma. Io faccio sempre un sacco di musiche, canzoni, idee che metto via. Non ho tempo per sviluppare una canzone però metto via delle storie, mi piace raccontare storie, non mi va di raccontare “stasera ho bevuto e penso a lei”. Poi un giorno tirerò fuori queste storie e dirò questa è interessante e quindi la metterò assieme ad altre canzoni. Nella quantità delle mie idee c’è tanta roba che non serve a niente e che butto via, però c’è sempre anche qualcosa che secondo me funziona.