interviste
Lowlands 2008-2018 dieci anni vissuti intensamente.
E' la fine di una lunga corsa? L'inizio di una nuova fase?
A 10 anni dall’esordio con “The Last Call”, dopo avere pubblicato 7 dischi, numerosi EP e tenuto centinaia di concerti in giro per l’Italia e l’Europa, i Lowlands fermano la loro carriera con una generosa raccolta e tre concerti.
Per l'occasione sono previsti due concerti in città speciali:
- L’Aquila, che fu la prima città italiana ad accogliere la musica dei Lowlands al Caffè Polar (oggi Polarville), storico negozio di dischi del capoluogo abruzzese.
- Milano, attuale roccaforte della band pavese, allo Spazio Teatro 89. Quest’ultima data verrà registrata e vedrà protagonista sul palco assieme alla band Mike “Slo Mo” Brenner (Magnolia Electric Co., Marah) storico collaboratore della band su tutti i loro dischi.
Tra le due date anche un set da ospiti al Glory Days Festival di Rimini.
Lowlands / The Collection 2008-2018 esce il 22 Marzo in Italia per Route 61 Music e negli U.K. per Harbour Song Records.
23 Marzo – Glory Days Festival – Rimini
24 Marzo – Spazio Rimediato – L’Aquila
7 Aprile – Spazio Teatro 89 - Milano
Gianni Zuretti e Vittorio Formenti hanno incontrato Edward Abbiati, fondatore, autore e frontman della Band pavese per una nuova, ultima chiacchierata sul marchio Lowlands, ecco il risultato:Per l'occasione sono previsti due concerti in città speciali:
- L’Aquila, che fu la prima città italiana ad accogliere la musica dei Lowlands al Caffè Polar (oggi Polarville), storico negozio di dischi del capoluogo abruzzese.
- Milano, attuale roccaforte della band pavese, allo Spazio Teatro 89. Quest’ultima data verrà registrata e vedrà protagonista sul palco assieme alla band Mike “Slo Mo” Brenner (Magnolia Electric Co., Marah) storico collaboratore della band su tutti i loro dischi.
Tra le due date anche un set da ospiti al Glory Days Festival di Rimini.
Lowlands / The Collection 2008-2018 esce il 22 Marzo in Italia per Route 61 Music e negli U.K. per Harbour Song Records.
23 Marzo – Glory Days Festival – Rimini
24 Marzo – Spazio Rimediato – L’Aquila
7 Aprile – Spazio Teatro 89 - Milano
Vittorio: tempo fa in un'intervista riconoscesti di essere arrivato a un punto in cui accettavi tranquillamente l'imperfezione. Posto che il perfetto é nemico del bene che consuntivo trai da dieci anni di cavalcata sempre e comunque fieramente indipendente?
Edward: Penso che abbiamo fatto meno di quanto sperassi e più di quanto pensassi, ma so che ci abbiamo provato sul serio e profondamente. Sinceramente. C’è un verso dei Soul Asylum che probabilmente ben si adatta “I've learned to accept and not to expect/ The respect and neglect that I get // I've tried not to forget about what hasn't happened yet/ And on this I place my last bet” – (Ho imparato ad accettare e di non aspettarmi / il rispetto e il negletto che ricevo // Cerco di non dimenticarmi di ciò che non è ancora avvenuto / e su questo faccio la mia ultima scommessa). Probabilmente è troppo presto per trarre un consuntivo. Abbiamo avuto qualche alto (pochi) e qualche basso (molti) ma non mi pento della strada fatta. Siamo esistiti ed abbiamo resistito 10 anni. Lo abbiamo fatto cercando di fare sempre cose diverse e soprattutto cose nostre. Adesso poiché non sentiamo più di poter fare cose nuove riteniamo sia giusto fermarci.
Vittorio: la formazione ha subito numerosi cambi di organico conservando comunque sempre te alla guida. Qualcuno potrebbe ipotizzare aspetti di incompatibilità, artistica o personale, dei tuoi musicisti con la tua leadership. E' stato così oppure avete sofferto di inevitabili problemi nel conciliare musica e aspetti professionali / logistici non eludii?
Edward: La band l’ho fondata io, per suonare i miei brani, le mie storie. Che sia questo il peccato originale? Forse. Non posso rispondere per nessun’altro. Alcuni, come Stefano Brandinali e Stefano Speroni, sono andati a vivere all’estero, ed erano fondamentali in quei primi Lowlands. Altri hanno sofferto le pressioni di tutte le personalità all’interno della band, altri ancora forse semplicemente hanno ritenuto finito il loro percorso assieme a noi/me. Io sono grato a tutti loro e penso sinceramente che qualcosa questa band abbia dato loro qualcosa di valore. Ma probabilmente non sta a me rispondere. Dovreste chiedere a chi se ne è andato. Al nostro livello la leadership, parola che non mi piace particolarmente in questo contesto, spesso si traduce in fare quello che serve, oltre alla parte “artistica”: Trovare le date, fare le locandine, gestire il sito, promuovere la band, trovare il modo di finanziare le registrazioni, capire dove stampare i dischi, fissare le prove, calcolare i rimborsi spese, capire dove dormire, mangiare, prenotare voli, traghetti, stampare magliette, e altro ancora, su queste attività faticose ti garantisco che non c’era la fila per candidarsi ad occuparsene.
Vittorio: la domanda precedente si giustifica anche notando come i fuoriusciti abbiano, nel tempo, dato vita a composizioni proprie molto diverse dalla proposta musicale del gruppo. Non credi che questa differenza di anima, probabilmente fonte di ricchezza iniziale, alla lunga abbia contribuito alla conclusione dell'esperienza?
Edward: Parli di Roberto Diana e Chiara Giacobbe. Ci aggiungo io Simone Fratti. Ho sempre sostenuto i percorsi paralleli ai Lowlands. Ho co-prodotto Raighes Vol.1, ho spinto con tutte le mie forze per fare il primo disco con MacNeill. Non ho una parola negativa per tutti gli ex Lowlands e le loro nuove proposte. Suonare assieme ci ha arricchito tutti. Ho avuto la fortuna di accogliere nella band personalità altrettanto forti e creative come Francesco Bonfiglio, Antonio “Rigo” Righetti e Maurizio “Gnola” Glielmo che hanno garantito carattere e versatilità da vendere su dischi come Beyond, Love Etc e quello di Townes. Per rispondere alla tua domanda: La band non finisce perché sono usciti alcuni membri, ma perché personalmente ritengo che questo gruppo musicale abbia detto tutto quello che aveva da dire. Avremmo solo ricalcato probabilmente strade già percorse. Meglio fermarsi.
Vittorio: al di là delle variazioni sopra richiamate i Lowlands sono comunque sempre riusciti a presentarsi come un gruppo, magari non come un collettivo ma certamente come una realtà collegiale. Cosa riuscì ad eliminare gli spigoli delle varie individualità e creare questo spirito di "band"?
Edward: Unità d’intenti e rispetto, profondo, per la musica e la forma canzone. Da noi, sempre, vince il brano. Le spigolosità restano sempre, solo pochi mesi fa con Francesco abbiamo litigato furiosamente in sala prove. Se non ci importasse moltissimo, tutto questo non avverrebbe. A prova o concerto finito, finisce tutto. Stimo moltissimo i membri di questa band ed anche la serietà e l’amore con cui hanno maneggiato le mie canzoni in tutti questi anni.
Gianni: è importante ricordare che i Lowlands sono stati anche una grande band “aperta” che ha coinvolto uno stuolo di artisti di diversa provenienza, provando a creare “sistema” specie per i magnifici progetti tributo (su tutti quelli dedicati a Woody Guthrie e a Townes Van Zandt), contenitori il cui valore forse non è stato completamente capito dalla critica e in parte anche dal pubblico, è così o è un’impressione errata?
Edward: Col disco di Woody Guthrie, volevo celebrare la scena pavese, quella nata attorno a Spaziomusica, mentre quello dedicato a Townes, era dedicato ai musicisti incrociati all'estero. Siamo riusciti con quei due dischi a raccontare due delle scene della quale abbiamo fatto parte. E' stato bellissimo aprire le porte di quei dischi a quei musicisti. “Lowlands & Friends” è stato utile anche per invitare amici per “Dead Flowers” o “San Diego Serenade”. E', era, un gruppo aperto che voleva celebrare i colleghi oltre che gli autori dei brani registrati!
Gianni: all’inizio della vostra carriera siete stati molto coccolati da un pubblico che è andato sempre in crescendo e dalla stampa (sia cartacea che online) che ha accompagnato il vostro cammino con recensioni più che lusinghiere. Poi ad un certo punto, proprio nel momento in cui vi apprestavate a cercare un salto di visibilità, pare che questo feeling (specie con la critica) si sia interrotto, hai compreso cosa è accaduto? Hai qualche sassolino da toglierti?
EDWARD: Più che togliermi dei sassolini, userei questi ultimi giorni per ringraziare tutti coloro che ci hanno dato una possibilità di fare musica. Dopo l'Alcatraz e l'uscita di Love Etc.. speravamo tutti di fare un salto ma così non è stato. Una settimana prima dell'uscita di quel disco, la Rise Up decise di chiudere. Penso che abbiano ancora scatoloni di Love Etc... in qualche cantina! Le date che avrebbero dovuto esserci non c'erano ed è stato un po' l'inizio della fine. Musicalmente da Woody a Beyond a Love Etc...al disco di Townes (passando per “Me and the devil”) ritengo che la band abbia dato il suo meglio. Vado fiero di quei brani. Se qualcuno non ha sentito, oppure ha sentito ed ha deciso di non parlarne, non posso farci nulla. Avrei voluto maggiore fortuna per questo songbook ... ma ... so it goes.
Vittorio: USA, UK e Italia sembrano costituire riferimenti omogeneamente distribuiti ed integrati nella vostra sensibilità; questo conferisce alle produzioni un vero carattere internazionale tanto che risulta siate stati molto apprezzati all'estero. Che ricordi hai dei tuoi vari pubblici?
Edward: In USA sono arrivati i dischi in radio e nelle case, come in Australia ma purtroppo non ci abbiamo mai suonato. Abbiamo suonato in Galles, in Irlanda, ovviamente in Inghilterra, come anche in Svezia e su e giù per l’Italia. Mi ricordo il nostro primo concerto al Railway a Southend. Non conoscevamo nessuno e abbiamo iniziato a suonare per 30 persone…al quinto brano avevamo svuotato il locale…ma a fine concerto c’era gente in piedi sui tavoli. L’uomo della security ci ha detto che è stato il miglior concerto visto la dentro e ci hanno regalato, come fosse la coppa del mondo, una bottiglia, nuova, di Jack Daniels. Ce l’ha regalata il proprietario…uno che ha suonato il piano nei Kinks! Mi ricordo la prima Londinese nel 2009 col locale sold out e le altre 3 band che suonavano prima di noi che, riconoscendo il nostro set, rinunciarono alla loro parte di Cachet. Mi ricordo il concerto al Folk och Rock di Malmoe, vedendo che ci suonavano miei eroi come Chuck Prophet, Steve Wynn e Ryan Bingham pensai di avere fatto qualcosa di buono con i miei brani e la mia band. In quasi tutti i posti dove abbiamo suonato ci hanno sempre re-invitato. L’Italia ci ha voluto bene e sostenuto in maniera massiva.
Gianni: anche i “gestori della musica” vi sono stati vicini? Non ci pare, ci riferiamo a etichette, distributori, e soprattutto ai luoghi della musica, ovvero gli eterni assenti: I LOCALI !? Dal tuo osservatorio di musicista cosa deve accadere perché cambi qualcosa su questi temi spinosi?
La IRD, finché abbiamo potuto lavorare assieme, è sempre stata impeccabile con noi. Posso solo ringraziare Franco Ratti prima, con Roberto Parma e Simone Veronelli per averci ospitato e supportato per tanti anni. Abbiamo dovuto prendere strade diverse (a malincuore credo per entrambi) ma i rapporti restano amichevoli. Attualmente siamo con la Route61 di Ermanno Labianca che è stato tra i primi sostenitori della band anni fa. Ci abbiamo messo un po' per trovarci in squadra assieme ma sono grato anche a loro per averci aperto casa loro per questi ultimi due dischi. Sono appassionati. Cosa deve cambiare? Domanda difficile... forse un primo passo sarebbe iniziare a giudicare un disco ascoltandolo e un concerto vedendolo. Tornando all'ascolto ed alla partecipazione ... ma forse quella nave è salpata. Io canto sempre con gli occhi chiusi. 1 persona o 100, io ci credo sempre e comunque.
Gianni: fermo restando che sicuramente ci sono concause legate a quanto dici sopra cosa è mancato invece ai Lowlands (tecnicamente) per raggiungere quella visibilità che avreste meritato?
EDWARD: serviva un cantante migliore di me, un front man migliore di me. Serviva una band più solida con meno cambi e serviva una persona con una personalità più conciliante della mia. I limiti di questa band sono sicuramente riconducibili a me soprattutto. Detto questo, le canzoni, c'erano. Quando vedi che ci sono persone che si tatuano sulla propria pelle le tue parole, le tue note, quando vieni a sapere che le tue canzoni sono state suonate a funerali ed a matrimoni. Beh, allora forse qualche canzone è riuscita ad emergere dai limiti. Io ho sempre cercato di superare i limiti, di non accettarli. Se ho fallito, ho fallito tentando il salto.
Vittorio: non risultano vostri brani composti in italiano. Questo è per via della vostra attitudine "anglofona" o perché ritenete l'inglese un ingrediente più adatto a quello che volete comunicare?
Edward: Per me fare musica è comunicare. Ognuno comunica come meglio crede e riesce. Io comunico al meglio nella mia prima lingua: L’inglese. L’Italiano è la terza lingua che ho imparato a parlare dopo Inglese e Francese. Non saprei come scrivere in Italiano. Per fortuna lo conosco abbastanza bene da apprezzare le penne italiane più fluide. Ci sono italiani che scrivono in Inglese perché pensano che sia la lingua più adatta al loro genere ed alcuni lo fanno bene. L’importante è riuscire a comunicare al meglio.
Vittorio: un elemento di grande interesse nella vostra arte, che è andato evolvendosi nel corso del tempo, è la capacità di prendere numerosi ed eterogenei riferimenti musicali (anche di generi passati), filtrarli con un vostro setaccio per ottenerne un risultato tutto vostro, quindi originale ed attuale. Non credi però che, in termini di puro "sound", questo abbia attenuato la riconoscibilità della vostra cifra artistica?
Edward: In molti ascoltando un brano acustico nostro, oppure uno elettrico ci hanno detto di riconoscere un sound Lowlands. Se mi fai questa domanda suppongo che tu non abbia trovato questo sound. Io l’ho sempre cercato. A volte trovandolo ed evidentemente altre meno. Ho cercato di creare dei dischi compiuti, senza curarmi particolarmente dei riferimenti. Ci sono, ovviamente perché fanno parte della mia educazione musicale, milioni di ore ad ascoltare cassette e radio al buio da ragazzino.
Vittorio: la vostra anima rock riesce a restare evidente anche in brani prettamente acustici. Questo probabilmente grazie all'impostazione delle vostre sezioni ritmiche, sempre di rilievo nonostante i cambiamenti di musicisti. E' una costante legata al tuo modo di concepire la comunicazione e le narrazioni?
Edward: Quando intendi anima rock che è evidente in brani acustici…forse intendi Sound? Il brano si rivela mentre lo scrivo. Scrivendo mi immagino come meglio vestirlo, come meglio trasmettere quello che sto scrivendo, perché a volte c’è chi si sofferma sui testi, altri si soffermano sulla musica. Le due cose devono in qualche maniera raccontare la storia o almeno evocare una sensazione. L’attitudine rock, il rock in generale per me, è cercare di fare qualcosa oltre e sopra le proprie capacità, con tutta la paura e l’euforia di quel salto. Il salto è il rock. Lo è anche la caduta.
Vittorio: I vostri brani sono quasi sempre legati a situazioni di vita vissuta o percepita, comunque interpretata sovente con tinte scure e, ultimamente, con senso di serena rassegnazione ad accettare le cose così come stanno. Arrivato a questo punto più o meno conclusivo come ti affacci alle esperienze future?
Edward: Alcuni di questi brani li ho scritti a 20 anni, oggi ne ho 44. Hanno tracciato il mio percorso fino a qua. Egomania, diario di bordo, chiamalo come vuoi. Però con rispetto, devo dirti che non ho mai accettato con serena rassegnazione nulla. Tutta la mia storia è legata a tentare di fare qualcosa di più grande delle mie capacità. Non saremmo arrivati in BBC già nel 2008, in top 10 in USA, non avrei scritto la scaletta in backstage dove hanno scritto le loro scalette Jeff Buckely o Townes Van Zandt, non avrei duettato con alcuni miei eroi musicali. Non avrei sentito la mia musica sulla radio pubblica Australiana, se mi fossi rassegnato. Anche personalmente ho superato diverse volte momenti molti bui e solitari. La serena rassegnazione non c’entra nulla né con me né con la conclusione dei Lowlands. Ritengo che oggi come oggi questa band non riesca a imboccare strade nuove e non voglio andare avanti a fare lo stesso concerto per 20 anni, chiudiamo per cercare nuove vie. Ognuno la sua. Io scrivo sempre ed ogni tanto fermo su carta e nastro (digitale!) dove sono. Ci sarà ancora musica nel mio futuro. Ci sono molti brani nel mio presente. Non ho finito ancora nulla…e per come intendo io scrivere non finirò mai. Può darsi che non voglia più rendere pubblico questo mio diario. Vedremo. Non è quel momento ora di certo. Prima della fine dell’anno uscirà qualcosa di nuovo ma non voglio svelare nulla ancora.
Vittorio: se qualcuno che non vi conosce intendesse cercare qualche lavoro per capire chi siete cosa consiglieresti? Meglio un percorso sulle opere (ex: Last Call, Gipsy Child, Beyond, Love etc...) o ritieni di indicare un approccio per brani specifici?
La raccolta che esce questo mese punta a costruire un percorso per brani che delinei temi e suoni dei vari dischi. Il primo CD è la strada maestra, le nostre migliori intenzioni. Il secondo CD, è un percorso imperfetto di sessioni radiofoniche, nuove registrazioni, scarti e registrazioni finite su dischi di altri. Una strada più tortuosa. Credo che il mix dei due CD mostri le nostre ambizioni e i nostri limiti. Ed alla fine non credo ci si possa mostrare meglio che dire, ho puntato alle stelle e sono finito molto più giù e questo è come abbiamo tentato di afferrare la notte!
Gianni: In questa doppia preziosa compilation Lowlands est. 2005 *2008-2018 Rock and Folk – Roots and Roll che va a incorniciare il vostro mini Farewell Tour (e che farà felici i vostri fan, forse lenirà loro un po’ il dispiacere per il vostro disperdervi come band), ci sono due inediti ma specialmente la canzone di chiusura del CD1 The Trick of Love è un brano acustico, intenso, nella migliore tradizione della tua scrittura intimista. Per te scrivere pare essere medicamentoso, specie quando scendi giù nelle anguste viscere poste tra cuore e “pancia”, è così? vale anche per te l’effetto omeopatico della musica triste?
Edward: The Trick of Love è stata registrata 3 giorni prima di un intervento che, a detta del medico, potenzialmente poteva danneggiare le mie corde vocali, anche in maniera totale. L'ho cantata e suonata conscio che potesse essere il mio ultimo brano. La musica è omeopatica in quanto riesce a fermare il mondo, la confusione e riesce sempre a regalarti un momento di chiarezza, con te stesso, verso te stesso. In quel momento di luce ognuno reagisce alla propria maniera. Quel brano mi pareva la chiusura ideale. Parla di amore e di separazione, ma racconta anche di come una persona sceglie di vivere.
Da parte nostra non resta che chiudere con una riflessione a cuore aperto: ci mancheranno i Lowlands! Anche se guardiamo al futuro fiduciosi perché, come sosteneva Lavoisier, “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”.
Fotografie di: Renato Cifarelli