Max De Bernardi E Veronica Sbergia

interviste

Max De Bernardi E Veronica Sbergia Come a long way....

20/12/2020 di Nicola Olivieri

#Max De Bernardi E Veronica Sbergia#Jazz Blues Black#Blues

Lui è un fine chitarrista, esperto di country blues, lei è una cantante che suona ukulele e washboard con una voce bella e versatile. Stiamo parlando di Max De Bernardi e Veronica Sbergia. Nel 2009, danno vita al progetto Veronica & The Red Wine Serenaders, ricevendo ottime critiche dalla stampa ed ampi riconoscimenti di pubblico sul piano nazionale ed internazionale. Nel 2013 ottengono il primo posto all’European Blues Challenge e nel 2015 vengono selezionati per il 31° International Blues Challenge, tenutosi a Memphis (TN). In altre parole, sono un vero e proprio orgoglio italiano. Quest’anno Max e Veronica cambiano formula e si rinnovano con il progetto How Can I Keep From Singing – Early Gospel Tunes, proposto soprattutto attraverso le dirette Facebook, molto apprezzate dal loro pubblico. Abbiamo chiesto loro di rispondere ad alcune domande per conoscerli meglio.
Sul vostro sito c’è una biografia direi essenziale. I vostri fan, secondo me, vogliono conoscervi meglio e sapere qualcosa in più di voi, come artisti singoli e come duo. Vi va di raccontare qualcosa in più? La vostra storia, come e dove nasce, e quali obiettivi vi siete posti per il vostro progetto in duo.

Max & Veronica - Ci siamo incontrati casualmente ad una jam-session dell’allora noto club milanese “Blues House” e da quel momento abbiamo iniziato una sporadica collaborazione. Max già da tempo esplorava le sonorità del blues tradizionale e Veronica proveniva da esperienze più eterogenee ma sempre nell’ambito della musica nera. Quando Veronica ha deciso di incidere il suo primo disco solista, avvalendosi della partecipazione e della consulenza artistica di Max, ci siamo resi conto che si poteva dare vita ad un progetto interessante e nello stesso tempo divertente, che poteva avvicinare il pubblico anche meno “preparato” a questo stile musicale. Di fatto il disco è letteralmente andato a ruba e alla terza ristampa ci siamo convinti definitivamente che eravamo sulla strada giusta.

Faccio spesso questa domanda nelle mie interviste: come e cosa determina l’interesse per un artista, un musicista, scegliere il mondo della musica popolare, soprattutto quando questa non appartiene alla tradizione italiana? In altre parole, quale è stato il percorso formativo che vi ha portati a focalizzare l’attenzione sulla musica rurale degli anni ’20 e ’30 piuttosto che sulla musica rock o jazz per esempio.

Max - Il mio percorso musicale è stato quello classico di un po’ tutti i ragazzi deli anni ’70: la chitarra per suonare con gli amici i pezzi di rock americano o i classici italiani (da Neil Young a Simon & Garfunkel a De Andrè, Guccini e così via). Il momento in cui sono stato folgorato è quando, grazie a Jorma Kaukonen degli Hot Tuna, ho scoperto Reverend Gary Davis. In quel momento non ho più avuto dubbi su quale musica volevo e avrei sempre voluto suonare.

Veronica - Complice un padre fanatico del jazz e della musica nera, ho sempre avuto nelle orecchie queste sonorità. Il mio percorso mi avrebbe portato indubbiamente allo studio e alla pratica di questo genere se non avessi incontrato Max. Non mi sono innamorata subito di quelle voci “imperfette” e di quei suoni ruvidi, da brava cantante un po’ superficiale quale ero. Per fortuna l’amore è arrivato poco dopo e oggi mi diverto anche a cantare altri generi oltre alla roots music ma il mio interesse artistico va indubbiamente verso quella forma di espressione pura e diretta della musica rurale dei primi del secolo scorso…da cui poi è derivato tutto il resto!

Verso i quali artisti pensate di avere, se lo avete, un debito di riconoscenza?

Max - Per quanto riguarda la chitarra acustica il mio debito di riconoscenza va indubbiamente a Reverend Gary Davis, Blind Blake, Doc Watson e Merle Travis, per citare i grandi “vecchi” del genere. Leo Kottke e John Fay sono i miei ispiratori moderni. 

Veronica - Indubbiamente le voci che mi hanno ispirato sono state quelle delle grandi dive del jazz, da Billie Holiday a Ella Fitzgerald. Crescendo e maturando, anche stilisticamente, mi sento sempre più attratta da vocalità meno perfette ma estremamente comunicative come quelle di Memphis Minnie, Sister Rosetta Tharpe, Mavis Staple, per citarne solo alcune.

Qualche anno fa, parlando con un gruppo salernitano, i Vico Masuccio, che suonano folk partenopeo rivisitato in chiave moderna, si sono definiti “Folkster”, una definizione che mi è piaciuta moltissimo perché coniuga in modo efficace tradizione e modernità. Avete una parola, una frase, che artisticamente vi definisca?
 
Max & Veronica - è difficile trovare una definizione che calzi con quello che è la nostra concezione del mestiere che facciamo. Potremmo definirci “vaudevillians” perché non amiamo prenderci troppo sul serio e nei nostri concerti l’interazione con il pubblico è il nostro carburante naturale.

Un nostro amico comune, Pierangelo Valenti, qualche anno fa postò una frase che io ho metaforicamente incorniciato: se non comprate dischi, non fateli! Per voi, che di dischi ne avete registrati diversi, oggi, con il digitale presente ovunque, ha ancora un significato farne uno e perché?

Max - Credo che non abbia più molto senso stampare un disco al giorno d’oggi. Però finché mi divertirò nel registrarli e ci sarà qualcuno disposto ad ascoltarli, continuerò a farli.

Veronica - Amo lavorare in studio. Se possibile è proprio in quei momenti che mi sento davvero “artista”… l’iter che porta alla creazione di un oggetto che rimarrà nel tempo è un processo magico a cui spero di non dover mai rinunciare.

Se lo è, quanto è complicata la gestione di un disco nella sua forma fisica e non digitale per artisti fuori dai giri delle grandi Major?

Veronica - Oggi nulla è complicato. Tutti possono entrare in studio e registrare un disco o per chi ha possibilità economiche adeguate, registrare in casa, acquistando l’attrezzatura necessaria. Il tutto, a volte, a scapito della qualità del prodotto finale. La parte complessa è indubbiamente quella relativa alla distribuzione e alla promozione del prodotto. Un tempo era impensabile stampare un disco e distribuirlo se non avevi un’etichetta alle spalle… oggi non è più così e grazie a piattaforme online si possono ovviare queste problematiche. Non sono sicura tuttavia che questa cosa sia un bene per la musica…

Quali tra i dischi che avete realizzato è quello più rappresentativo per voi e su quale interverreste per modificare qualcosa?

Max - Credo Old Stories for Modern Times. Il nostro disco più variegato.

Veronica - Il mio disco del cuore è indubbiamente The Mexican Dress, per tanti motivi: è vario, è stato registrato in parte negli States, ci collaborano musicisti meravigliosi e ci sono i nostri pezzi autografi. Se potessi modificherei il nostro ultimo in studio “Backyard Favourites”, di cui non amo particolarmente il missaggio…e altre piccolezze!

Concerti streaming: sarà questo il futuro della musica?

Veronica - Io spero con tutto il cuore che i concerti in streaming non siano il futuro della musica! Al momento è un palliativo, divertente e ci permette di tenerci in allenamento ma la musica ha bisogno del pubblico, un artista vive per l’applauso, per il riscontro diretto. Altrimenti meglio cambiare mestiere

Trovo giusto pagare un biglietto per assistere ad un concerto on line, magari attraverso una donazione non obbligatoria, come avete fatto voi, perché gli artisti non vivono di aria. Senza entrare nel merito delle cifre, quale riscontro avete avuto?  

Max - Con molta sorpresa posso dirti che abbiamo avuto ottimi riscontri. I nostri fan ci supportano e hanno dimostrato di avere un forte senso di solidarietà. Riceviamo spesso messaggi di supporto che ci incitano a continuare, a non mollare nonostante le difficoltà del periodo. Non ci aspettavamo una risposta così generosa…in Italia siamo abituati ad avere tutto “gratis” se possibile, ecco…questo aspetto sta cambiando e i nostri amici ce lo hanno dimostrato ampiamente in questi mesi difficili.

Penso che spesso le persone facciano una certa confusione e folk, country, blues, old time, ragtime finiscono tutti nello stesso calderone. Le vostre esibizioni diventano ancora più interessanti quando prima di eseguire un brano date informazioni, cenni storici, brevi spiegazioni sui testi, in qualche modo quei momenti possono essere considerati piccole lezioni sulla musica popolare, molto utili per fare chiarezza lì dove manca.

Max & Veronica - Abbiamo cercato di rendere interessante per chi ci segue il momento dello streaming live. Ci siamo chiesti: “Possiamo sfruttare questo momento per arricchire i nostri ascolti e per far apprezzare ancora di più la bellezza di questa musica?” Volevamo incuriosire il nostro pubblico, farlo divertire e nello stesso tempo farlo “pensare”. Offrire degli spunti per approfondire in autonomia delle tematiche oppure un genere specifico (come il Gospel tradizionale che noi amiamo molto).

Grazie Max, grazie Veronica per il tempo che avete dedicato a questa intervista e speriamo di potervi vedere presto dal vivo.