Mescalina:
Grayson, come stai?
Grayson Capps: Bene. Spero vada tutto bene anche a te.
Mescalina: Bè,
a te dovrebbe girare particolarmente bene in questo periodo, sai, la prima
cosa che dicono di te è: "Hey, questo qua è in un film con John Travolta!",
ma hai dovuto fare parecchia strada prima … sei partito dall'Alabama per
dirigerti sempre più verso il blues fino a trasferirti a New Orleans:
cosa ricordi di quegli anni?
Grayson Capps: Mi sono trasferito a New Orleans nel 1985 per frequentare
la Tulane University. In quel periodo di circa quattro anni sono stato
così impegnato che non ho avuto modo di vedere molto di New Orleans. Una
volta laureato però ho cominciato a scoprire i vari strati di New Orleans
man mano si aprivano davanti a me e ovviamente ne sono rimasto affascinato
altrimenti non sarei rimasto così a lungo.
Mescalina: Vivi
ancora lì?
Grayson Capps: Da dopo l'uragano sto cercando di rimettere insieme
la mia casa: sì, voglio proprio tornare a vivere lì.
Mescalina: Come
ti sei sentito quando la città è stata travolta in quel modo?
Grayson Capps: Da una parte mi sono sentito impotente e dall'altro
sapevo che sarebbe successo. Per troppo tempo abbiamo fatto finta di non
vedere quello che stava per succedere e ci siamo convinti di essere invincibili.
Mescalina: C'è
un pezzo nel tuo disco, "Washboard Lisa", che suona come un tributo a
New Orleans e al suo stile di vita …
Grayson Capps: Infatti è proprio un omaggio a quegli aspetti bellissimi
e inspiegabili di New Orleans descritti attraverso l'immagine di una donna
…
Mescalina: Ma tu hai avuto modo di tornare in città dopo l'uragano
e la rottura degli argini?
Grayson Capps: Sì. Ed ora la città sembra proprio un organismo
che è stato leso gravemente, come un animale ferito che ha perso troppo
sangue e che aspetta di ricevere le trasfusioni da dei donatori. Ci sono
troppe persone che arrivano da fuori, troppi opportunisti, che con la
scusa della ricostruzione stanno prosciugando la città. Secondo me ci
vorranno almeno due o tre anni prima che la città torni ad essere anche
solo l'ombra di quello che era prima.
Mescalina: Anche
il film "Una canzone per Bobby Long" potrebbe essere visto come un tributo
a New Orleans: come ti è capitata la possibilità della colonna sonora?
Grayson Capps: Avevo già lavorato con la regista Shainne Gabel
per il suo film precedente, che si chiamava "Anthem". Poi quando lei si
è messa a cercare del materiale nuovo per un altro progetto, io le ho
sottoposto un romanzo che mio padre non era mai riuscito a pubblicare,
intitolato "Off Magazine Street". A lei è piaciuto e ne ha tratto il copione
di quello che poi è diventato "Una canzone per Bobby Long". Da lì le cose
hanno cominciato a muoversi.
Mescalina: Hai
anche recitato nel film?
Grayson Capps: Mi si vede nella parte di un musicista sullo sfondo
di alcune scene.
Mescalina: Sì,
l'ho visto, il film è appena uscito a noleggio: c'è una scena in particolare
in cui tu stai suonando "Washboard Lisa" e John Travolta rimane letteralmente
rapito dalla canzone … Come hai reagito quando hai saputo che sarebbe
stato lui il protagonista?
Grayson Capps: Bè, chiaramente ero entusiasta del fatto che un
attore così famoso fosse interessato al ruolo e speravo che questo avrebbe
dato ulteriore vita al film, ma in realtà non credo che lui fosse proprio
tagliato per quella parte.
Mescalina: Gli
hai insegnato un po' di blues?
Grayson Capps: Gli ho insegnato le canzoni che canta nel film e
anche come parlare con l'accento di uno del Sud piuttosto che con un qualunque
dialetto gli potessero affibiare.
Mescalina: Ma
lui com'è? Intendo anche fuori dal set …
Grayson Capps: John Travolta è davvero una bella persona, uno molto
genuino. Quando parli con lui, ti guarda negli occhi con l'onestà e la
curiosità di un bambino. Ogni volta che lo vedo poi mi abbraccia e si
vede che lo fa spontaneamente.
Mescalina: Comunque
non è la prima volta che ti capita di avvicinarti ai "grandi": so che
hai fatto da spalla ai Wallflowers, a Jeff Buckley e hai anche suonato
coi Rolling Stones … ti mancano quegli anni?
Grayson Capps: Quello per me era un periodo di estrema libertà,
ma anche di notti passate a dormire per terra e di furgoni che ci lasciavano
spesso a piedi. Mi manca più che altro l'idea di quei giorni, ma non certo
il lato pratico di quelle esperienze.
Mescalina: Vestiti
sgualciti, lavori che non sfamano, uomini distrutti e rovinati dall'alcol,
paradisi perduti, cimiteri e allucinazioni sono temi e immagini che ricorrono
nelle tue canzoni … tutto molto blues … è così anche la tua vita?
Grayson Capps: Bè, ho avuto molti alti e bassi proprio come molti
d'altronde. Più che altro il blues è sempre stato un modo per trascendere
quel senso di oppressione che la vita ti mette addosso. Per me cantare
e suonare la chitarra è una medicina, un lubrificante per tutte quelle
giornate arrugginite e cazzone di cui non riesci a liberarti.
Mescalina: A
sentire il disco infatti ho avuto l'impressione che tu ami suonare anche
acustico e da solo … soprattutto blues! Che cosa fai di solito dal vivo
di blues?
Grayson Capps: Tutto quello che suono è blues, ma per me è tutta
la musica ad essere blues. Per quanto riguarda il blues nello specifico,
ogni tanto mi piace mettere in scaletta dei pezzi come "Guitar Rag" e
"Little Sadie".
Mescalina: Hai
dei programmi per venire a suonare in Europa? Magari in Italia?
Grayson Capps: Verrò ad Amsterdam, al Paradiso il 12 dicembre,
poi a Rotterdam il 14 e a Limburg il 17. Mi piacerebbe molto suonare in
Italia, se non questa volta, magari la prossima.
Mescalina: Potresti
farti dare un passaggio da John Travolta: è spesso da queste parti!
Grayson Capps: Sì, magari chiederò a John se c'è un posto su uno
dei suoi aerei, mi hanno detto che ne ha alcuni …
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