Stefano Senardi

interviste

Stefano Senardi Per la serie: Le persone dietro e dentro la musica - Incontro con Stefano Senardi: dalla parte degli artisti

18/12/2024 di Laura Bianchi

#Stefano Senardi#Italiana#Canzone d`autore

Incontrare, anche se via Zoom, una persona come Stefano Senardi è, oltre che un privilegio, soprattutto un vero piacere; la passione per la musica traspare da ogni sua parola, ma anche dallo sguardo che si accende quando racconta gli incontri e le esperienze vissuti nel corso della sua esistenza. Ecco il racconto della nostra lunga chiacchierata.

D. Nel tuo memoir, La musica è un lampo, (NDR: qui la nostra recensione) riguardo a Pino Daniele, hai scritto: “ Pino Daniele era sorpreso che io e Luciano Linzi conoscessimo tutto il suo repertorio e soprattutto amassimo gli stessi artisti che amava lui”. Su cosa si è basato, e si basa, il tuo rapporto con la musica?

R. Ti devo dire che una cosa che, soprattutto certi capi e agli inizi, mi rimproveravano era che io fossi dalla parte degli artisti; a me come a tutte le persone che amano la musica, sarebbe piaciuto saper suonare bene uno strumento, però non mi sarebbe piaciuto fare l’artista, ma mi piace stare dalla loro parte. Mi è capitato recentemente e inaspettatamente, in un centro sociale a Genova dove ho presentato il libro, di vedere arrivare Ivano Fossati con la moglie. Ivano difficilmente si palesa e prende la parola; invece, quando uno degli intervenuti ha detto di me che sono sempre stato vicino agli artisti, Ivano si è fatto passare il microfono, ha preso la parola e ha detto: “No, lui ha combattuto le stesse battaglie che combattiamo noi; è molto diverso!”. Ed è sempre stato così: un po’ perché culturalmente sono sempre stato dalla parte degli altri, e un po’ perché, essendo la musica la mia anima, una delle cose che mi nutrono, è chiaro che abbia cercato di difenderla. Anche ora, durante le presentazioni del libro, mi accorgo che spesso le faccio diventare delle filippiche contro il gigantismo a tutti i costi, la scomparsa dei club, le sovvenzioni solo per le multinazionali dei concerti…

D. A proposito di questo: credi che il gigantismo dei grandi eventi negli stadi e i live nei club possano coesistere?

R. Sono compatibili! Ma la maggior parte dei club in tutto il mondo non si è più rialzata dalla pandemia, e anche Londra soffre di questo problema. A differenza dell’Italia, però, un gruppo pop di grande successo come i Coldplay ha deciso di devolvere il 10 per cento degli incassi a un trust che si occupa della rinascita dei club, perché si rendono conto che, senza i club, loro non sarebbero mai esistiti (NDR: si riferisce a https://www.musicvenuetrust.com/).

I club come luogo di aggregazione, di crescita e di formazione sono importanti, perché si possono scoprire nuove realtà, e la maggior parte delle realtà musicali è nata proprio nei club; se questi non ci sono più, i giovani perdono un’occasione fondamentale. In più non è stato previsto un aiuto alle realtà più piccole dal governo, che sostiene le grandi multinazionali. Sono favorevole anche ai grandi eventi, mi rendo conto che certi artisti non possono suonare in piccoli spazi, ma vedo - e mi preoccupa - che il gigantismo sta contagiando la mentalità dei manager e degli artisti stessi, molti dei quali non possono, ad esempio, riempire San Siro né concepire un concerto da stadio. Il problema è che in questo momento si rischia che i club siano sostituiti dai palazzetti…invece si dovrebbe tornare a fare musica suonata, con strumenti veri, nei teatri o fare risorgere i club. Un’altra tendenza è quella dei Listening Bar, noti anche come HiFi bar, per fare scoprire una qualità della musica, quella dell’alta fedeltà, sconosciuta ai giovanissimi, che ascoltano attraverso pc, o peggio smartphone, e non conoscono la bellezza della musica suonata da un impianto come si deve. 

D. Come ti poni nei confronti del mondo musicale odierno, in confronto con quello passato?

R. Non voglio essere nostalgico, ma dico sempre che si stava meglio quando si stava meglio…(ride). Eravamo alla ricerca di giustizia, eravamo convinti che si potesse migliorare il mondo, e ora mi trovo a disagio nel vedere una forte omologazione: sempre gli stessi artisti vengono portati tutta l’estate negli stessi grandi concerti organizzati dalle radio, per ricevere premi ed esibirsi senza musicisti sul palco. Tutto questo toglie valore alla musica suonata, ma bisognerebbe ricominciare dalle basi, per riavvicinare i giovani alla fruizione della musica.

D. A proposito di questo, cosa stai facendo per coinvolgerli maggiormente?

R. Sto cercando di trasferire il mio patrimonio di circa 50000 tra libri e dischi alla mia città, Imperia, ma è difficile creare le modalità per costruire un archivio e organizzare degli ascolti di gruppo; nonostante questo, ho proposto tre incontri con professionisti della musica, anche se con alunni delle scuole medie inferiori, mentre forse sarebbe meglio rivolgersi a studenti più adulti, delle superiori, e quindi più consapevoli delle implicazioni del discorso. Io comunque non demordo!

D. Sempre parlando di giovani, di proposte alternative, di scoperte…mi sono sempre chiesta cosa ti ha spinto a scoprire, proporre sul mercato italiano, e fare avere successo, artisti e gruppi considerati fino ad allora indipendenti, underground, conosciuti solo localmente: penso a Afterhours, Subsonica, CSI, Litfiba…

R. Prima di diventare un discografico importante, mi sono dedicato a fare emergere una scena indipendente, al punto che la Blackout, che comunque era Polygram, si muoveva come etichetta indipendente, con musicisti che andavano e venivano dall’ufficio, in un sistema evidentemente più grande di loro, ma che si sentivano protetti da me, perché io consideravo la Blackout, oltre che una sfida, anche una mia valvola di sfogo. Da una parte, ogni volta che potevo permettermelo, mi toglievo alcuni sfizi personali, alcune mie passioni, come nel caso della pubblicazione di un disco di Gavin Bryars, che era dell’etichetta Obscure Records di Brian Eno, che aveva composto Jesus Blood Never Failed Me Yet (NDR: https://www.youtube.com/watch?v=gT0wonCq_MY) con la voce di un “barbone” nella metropolitana di Londra, a cui aveva aggiunto la voce di Tom Waits. Da allora avevo deciso che, anziché i regali, per Natale chi volesse potesse fare una donazione agli Amici di Gastone (https://www.casadigastone.org/) che si occupa dei senzatetto della stazione Centrale di Milano. Dall’altra parte, fino a qualche anno prima, non conoscevo i gruppi italiani indipendenti, fin quando, alla CGD, non ho incontrato i Gang, e li ho convinti a incidere un disco in italiano, Le radici e le ali, lavoro importante per tutti; poi mi sono avvicinato ai Litfiba, e ho collaborato con loro. Infine, i miei frequenti viaggi a Londra mi hanno portato a capire che c’era anche una realtà di comici emergenti che andava sostenuta, e così ho messo sotto contratto Albanese, Paolo Rossi, perfino Mister Bean

D. Cosa è stata Londra per te?

R. Londra è stata una grande sorgente di ispirazione per me, sia quando la frequentavo da appassionato, sia quando poi ci andavo due volte al mese per lavoro; entravo nei negozi di dischi e impazzivo…volevo ascoltarli, toccarli tutti! Così è nata anche l’idea della Blackout. Del resto, io frequentavo anche i locali, uscivo tutte le sere, e assorbivo nuove idee e tendenze, che ho tentato di portare anche qui: qualche volta non ha funzionato, ma non importava...Ad esempio, coi CSI, ne ho capito subito la potenzialità, ho avuto la sensazione fin dall’inizio che avrebbero avuto successo (anche se non immaginavo che sarebbero finiti al primo posto). Per In Quiete, ad esempio, ero andato al loro concerto, e mi era piaciuto così tanto che ho subito chiesto loro il permesso di pubblicarlo, ed erano loro a essere scettici sull'operazione! E poi, all’inizio non consideravo molto la musica italiana, a parte la PFM, o il Banco; ho iniziato ad ascoltarla dal secondo album di Pino Daniele, e ho frequentato Battiato in tempo reale. Da lì ho scoperto De Gregori, perché assomigliava a Dylan, e poi Guccini e Lolli, per motivi politici, e perché ho iniziato a lavorare a Bologna.

D. Ecco: quali sono stati i tuoi primi amori?

R. Di sicuro ho perso la testa per Dylan; pensa che ho chiamato il mio unico figlio Matteo Alberto Bob Dylan, e ho dedicato a lui una targa del Cinemino in zona Porta Romana, a Milano! Ma andavo matto per tutta la scena della West Coast: Jefferson Starship, Manhole di Grace Slick è il disco della mia vita; ho divorato i dischi di Crosby, Stills, Nash e Young, e poi ho scoperto il White album dei Beatles. Sono stato esperto del folk inglese, e facevo anche un programma in radio che parlava di Pentangle, John Martyn, Fairport Convention; sono stato ai festival folk di Cambridge…

D. Sei stato anche l’ideatore di un libro e di un film su Battiato, La voce del padrone

R. Sì, il film fa parte di una trilogia ideale, ha girato per le sale, non è mai passato in televisione, per problemi di diritti, ma è riuscito a vincere il Nastro d’Argento. Spero che, per gli ottant’anni di Battiato, sia possibile proporlo al grande pubblico, anche perché lui è stato fondamentale per me: non voglio dire le solite frasi “Battiato ha cambiato la mia vita”, però mi ha aiutato a migliorarla. Lui è dentro di me da sempre, ormai…

D….e infatti mi ricordo che in una presentazione tu hai definito l’incontro con Battiato “come il giorno di Natale”, perché sono incontri che arricchiscono...Invece, tra poco uscirà nelle sale Nero a Metà, il documentario su Pino Daniele: cosa puoi dirci? (NDR questa è la news).

R. Ho avuto un rapporto molto franco, diretto, e gli ero riconoscente, perché, come ho detto, Pino è stato il primo ad aprirmi il mondo della musica italiana. Mi sembrava quindi giusto ricordare la sua figura, ed è stato emozionante e anche divertente coinvolgere molti artisti, perché con loro mi sento a mio agio, e sento che loro lo sono con me. Che bello: durante le riprese, ad esempio, ho fatto due chiacchiere con Enzo Avitabile, e quasi non ci accorgevamo di essere ripresi; molti musicisti hanno confermato questa sensazione di estrema intimità e confidenza. Del resto, avevamo due obiettivi: non spettacolarizzare la sua morte, ma celebrare la sua vita e la sua musica, e inoltre fare molto vedere Napoli, perché Napoli è Pino come la Giamaica è Bob Marley. Poi, ho voluto fare emergere la continuità col presente, proponendo tre giovani artisti che si esibiscono per strada e dal vivo, suonando anche pezzi di Pino

D. Ultima domanda, non rituale, ma necessaria, vista la tua attività vulcanica: progetti futuri?

R. Vorrei creare una rete tra tutte le realtà musicali, i festival, i club, per bussare alle porte delle istituzioni e chiedere di aiutarci, perché abbiamo bisogno di continuità e di non vivere ogni anno con la paura di non riuscire a organizzare gli eventi. Ho inoltre due sogni: portare la canzone d’autore nelle scuole, con masterclass per gli studenti (il giorno prima del Tenco, in un incontro dedicato a Pino Daniele, c’erano più di mille ragazzi). E portare il terzo episodio della mia trilogia: dopo Battiato e Daniele, vorrei trattare Le Nuvole di De André, il terzo punto cruciale e spartiacque della musica italiana. Se la Fondazione De André me lo consente, avrò dato il mio contributo affinché possa restare un documento della vita e delle opere di Fabrizio.

Grazie, Stefano, e buon anno!



Nato a Imperia nel 1956, Stefano Senardi è uno dei più importanti produttori discografici italiani. È stato direttore generale della CGD East West (Warner Music Group), presidente della PolyGram Italia e fondatore dell'etichetta NuN Entertainment. Nel corso della sua carriera, ha collaborato con numerosi artisti, tra cui Franco Battiato, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Jovanotti, Zucchero, Madonna, Luciano Pavarotti, Simply Red, Gianna Nannini, Carmen Consoli, Pino Daniele e i CSI. Nel 2005 è diventato direttore artistico di Radio Fandango, l'etichetta discografica della casa di produzione cinematografica Fandango di Domenico Procacci, e nello stesso anno è stato nominato presidente della Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo e membro del consiglio direttivo del Club Tenco. Ha anche ricoperto il ruolo di Senior Consultant presso Sugar Music Publishing dal 2009 al 2011. Sua la serie 33 giri Italian Masters, ideata per Sky Arte. Ha inoltre curato e pubblicato per Rizzoli Lizard insieme a Francesco Messina L'alba dentro l'imbrunire, una storia illustrata di Franco Battiato, è direttore creativo e co-sceneggiatore del film Franco Battiato – La voce del padrone, per la regia di Marco Spagnoli, il documentario musicale italiano di maggior successo al box office nel 2022, vincitore del Nastro d'argento 2023. Nel novembre 2023 ha pubblicato il suo libro autobiografico La musica è un lampo, edito da Fandango Libri. Nel 2024 ha ricoperto il ruolo di direttore artistico del "Musart 2024" a Firenze e ha preso parte al team organizzativo del "Medimex 2024" a Taranto. Inoltre è l'ideatore e direttore artistico di "Incontri ravvicinati con i cantautori" a Diano Marina (Imperia), una rassegna che promuove la cultura musicale e crea opportunità di dialogo e confronto nel contesto della canzone d'autore.