Mescalina:
Com'è nata l'idea di "Amara Terra Mia"?
Nabil: Lo spettacolo nasce da una sperimentazione precedente:
si chiamava "Tra parole e musica"; eravamo Michele ed io a
leggere i testi. Poi c'è stato l'incontro con Giuseppe Battiston,
determinante per iniziare a progettare una cosa più strutturata
che avesse una dimensione teatrale. Noi stessi abbiamo scelto
le letture, ma Giuseppe e Princigalli, il nostro manager,
ci hanno dato una mano. Si può dire, alla fine, che sia un
lavoro soprattutto mio e di Michele, sostenuto da un po' del
loro aiuto.
Mescalina:
La caratteristica del disco e dello spettacolo, è di trasmettere
efficacemente ciò che per noi sedentari della Val Padana è
difficile mettere a fuoco ovvero cosa prova una persona che
è costretta ad emigrare…
Nabil: È una cosa difficile: il lasciare la propria
terra è una rinuncia forzata. Io appartengo a quella fascia
di immigrazione intellettuale di una decina di anni fa: cercavamo
un posto che potesse rispondere ai nostri bisogni culturali.
Quella di adesso ha tutt'altra natura perché si basa su altri
criteri, sulle necessità primarie: gli immigrati oggi rischiano
tutto, i propri averi, la propria vita, pur di sognare un
futuro. Per loro la terra è già amara alla partenza e amaro
è l'approdo.
Mescalina: Però c'è una bellezza di fondo che vibra
all'interno di ogni movimento e caratterizza sia la loro vita
sia lo spettacolo?
Nabil: L'abbiamo voluta narrare attraverso i testi
dei brani e delle letture che ci avevano stimolati. Sai, la
letteratura ci ha spesso dato degli spunti per le nostre composizioni.
Mescalina:
Il brano "Amara terra mia" l'avete scelto ad hoc come simbolo
di questo album, ma "Tu sì 'na cosa grande", la seconda cover
di Modugno non centra molto con il viaggio e con il percorso
umano?
Nabil: Di questa vecchia canzone ci ha colpito la bellezza,
ci ha sedotti e catturati. Il caso ha voluto che siamo riusciti
a rileggere il brano in una chiave che guarda dritto al medio
oriente. Anzi, il pezzo ci sta proprio nel bel mezzo delle
vie di Beirut e de Il Cairo! Da anni ci confrontavamo con
"Amara terra mia" senza mai riuscire a trovare un'interpretazione
che potesse soddisfarci; "Tu sì 'na cosa grande", così appesa
tra le vie di Napoli e di Beirut, ci ha permesso di scoprire
il respiro mediterraneo di Modugno, ci ha fornito una chiave
per riarrangiare "Amara terra mia": un intuito, un'emozione
ci hanno guidati a ricreare il brano cantato in arabo ed in
italiano.
Michele: Modugno era un artista che, pure nel suo piccolo,
aveva la predisposizione a non attaccarsi in modo assoluto
alle proprie origini, ma voleva scoprire, arricchirsi e "impossessarsi"
di altre radici. Noi ci siamo rivisti in quel Modugno che
ha fatto il nostro stesso cammino anni prima, negli anni '50
e '60.
Mescalina:
L'album è bello, gli arrangiamenti sono perfetti, ma mi sembra
che ultimamente stiate mettendo un po' da parte l'elettronica!
State ritornando al vostro primo progetto come Al Darawish,
che prevedeva solo musica acustica suonata?
Nabil: È un percorso parallelo, molto stimolante. Noi
scegliamo, di volta in volta, quale veste dare alla nostra
musica. I suoni che abbiamo voluto per questo spettacolo si
adattano a quel tipo di teatralità, al tipo di messaggio e
di emozione che desideriamo comunicare. A marzo uscirà un
nuovo disco che avrà un carattere diverso; è solo una scelta
di opportunità: il vestito più adatto per uno spettacolo che
narra una migrazione, un approdo, narra l'amara terra che
si lascia, l'amara terra che si trova, ma pur sempre bella
sia che la si lasci sia che la si trovi.
Mescalina:
Bene se ho capito bene c'è un disco in arrivo per marzo? Ce
ne volete parlare in anteprima?
Nabil: Sì, ritardi discografici permettendo. Non sarà
un concept album com'è stato il penultimo. Sarà un disco di
canzoni. In realtà "Amara terra mia" è un disco di passaggio
in cui abbiamo voluto racchiudere i punti più significativi
del nostro percorso. Adesso si aprono nuove frontiere; è tutto
da costruire e da materializzare.
Mescalina:
Ritorniamo sul disco che ho in mano. La critica è da anni
che sostiene che "avete un qualcosa che ricorda Franco Battiato";
finalmente s'è svelato il legame! Mi spiegate allora quanto
del suo zampino c'è nei Radiodervish?
Nabil: In realtà tra noi c'è una lunga amicizia; è
stata fino ad ora tenuta privata, dietro le quinte ma durante
questi anni ci sono stati comunque dei consigli, dei suggerimenti.
Franco, ad esempio ci ha suggerito anche titoli di album e
soluzioni per alcuni brani.
Mescalina:
Evidentemente erano maturi i tempi per fare uscire il rapporto
alla luce del sole e c'è stata questa occasione del cortometraggio
e dell'arrangiamento di "Amara terra mia" …
Nabil: In realtà, sì, c'era un po' lo zampino di Franco
Battiato (ndr. sorride).
Mescalina:
Nabil, tu sei nato vicino a Beirut; io ho come l'impressione
che i media ci dicano quello che vogliono che sulla guerra
in Libano, volevo sapere che ne pensi …
Nabil: Io credo che, in generale, il meccanismo della
guerra sia una follia; l'abbiamo visto nel suo orribile aspetto
l'estate scorsa. Detto ciò, anche dopo la guerra, restano
sempre delle cose in sospeso che aspettano una soluzione;
ma fino quando non si dà dignità alle persone, all'umanità
che abita quelle zone, è molto difficile pensare e sognare
un buon vivere tra israeliani e palestinesi. In quei territori
ci sono due popoli con uno stato in meno. I palestinesi stanno
aspettando da 50 anni - forse nella storia moderna è un capitolo
unico - la dignità, la possibilità di sancire la propria autodeterminazione,
cose che la collettività mondiale dovrebbe legittimare attraverso
l'ONU. Quello che io vedo è una degenerazione dovuta all'indifferenza,
all'incuranza verso il dolore delle persone, l'ennesima guerra
conseguenza di un problema che sta a monte e che così non
si risolve. Non capisco perché il mondo dei potenti, pur essendo
conscio delle motivazioni, non interagisca in modo fermo e
decisivo appianando la situazione.
Mescalina: Non è che i potenti, come al solito, stanno
facendo orecchie da mercante ed usano la discordia tra i popoli
per farsi i fatti loro?
Nabil: Sicuramente è così; spero però che si formi
una coscienza più responsabile, che capiscano il male e l'inutilità
della guerra a partire da quella dell'Iraq, altra assurdità
dal punto di vista umano che, come dicevi tu, sicuramente
trova la sua spiegazione ad altri livelli, come quello economico
e politico. Ma da musicista mi preme di più il lato umano.
Mescalina:
Voi avete iniziato a mischiare le vostre culture (italiana,
araba, musulmana e cristiana ndr) dieci anni fa, quando il
fenomeno immigrazione in Italia non era così massiccio; proprio
poco tempo fa è uscito un rapporto della Caritas che ha calcolato
quando gli immigrati supereranno il numero degli italiani;
non mi ricordo l'anno, ma non si parla di tempi da fantascienza.
Nabil: Paura o non paura, il percorso è oramai inarrestabile.
È una cosa su cui bisogna confrontarsi, non ci si può barricare
e chiudersi in sè stessi come se si fosse il punto di riferimento
assoluto di tutta l'umanità: non esiste una sola cultura,
assoluta, ma la cultura è come un contenitore che si arricchisce
continuamente di nuovi stimoli. Bisogna che la società ne
prenda atto e assimili che un gruppo come il nostro, composto
da me e da Michele, ovvero da un immigrato che ormai ha vissuto
più di metà della sua vita qui in Italia e da un italiano,
si senta parte effettiva di questa collettività.
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