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Junkfood & Enrico Gabrielli Italian Masters - vol. 1: Piero Umiliani. Recensione e intervista
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Sperimentatori dediti all’improvvisazione i primi e musicista/genio degli arrangiamenti il secondo, i Junkfood ed Enrico Gabrielli si ritrovano questa volta per reinterpretare tre brani del repertorio compositivo di Piero Umiliani, autore di colonne sonore e punta di diamante del jazz cinematografico italiano.
L’esito di questo esordio discografico in quintetto è un concentrato strumentale di dissonanze funk-jazz, riarrangiamenti armonici in stile Junkfood e creatività musicale di altissima qualità.
Di seguito la recensione di Italian Masters - vol. 1: Piero Umiliani e l’intervista che ci ha rilasciato Simone Calderoni, basso elettrico dei Junkfood 4tet.
Era il 1955 quando Piero Umiliani iniziò a comporre musica per il cinema, chiamato dai fratelli Taviani a musicare le immagini del documentario Pittori in città. Da quel momento, il maestro fiorentino non ha più smesso di dare la sua impronta jazz alle scene sul grande schermo dei migliori registi italiani, dal Monicelli de I soliti ignoti – prima colonna sonora italiana interamente jazz – a Pasolini, Zampa, Comencini, Lizzani e Capitani, fino a Zavattini e alla sigla sul piccolo schermo del Muppets Show.A distanza di sessant’anni da quegli inizi il genio compositivo di Umiliani, in varie occasioni interpretato da Gato Barbieri, Chet Baker e Ivan Vandor, è stato celebrato dal Festival HalloBigallo 2014, dove i Junkfood ed Enrico Gabrielli avrebbero dovuto esibirsi con una loro personale versione di tre brani del pianista. Occasione, poi, sfumata all’ultimo momento per un imprevisto forfait di Gabrielli.
Ma il sassofono dei Calibro 35 – già epigoni delle sonorizzazioni dei poliziotteschi italiani – e il quartetto Junkfood non hanno abbandonato l’idea di un combo dedicato a Umiliani e nel 2015 hanno registrato in presa diretta e in un solo giorno quei tre pezzi.
Nasce così Italian Masters - vol. 1: Piero Umiliani, la prima di una serie di piccole monografie che reinterpretano le colonne sonore dei maggiori compositori italiani, adattate e riviste in chiave Junkfood.
E infatti non è esattamente di jazz che si tratta in questo primo volume, ma di una rilettura aspra e distorta degli stilemi jazzistici convenzionali, che i Junkfood amano corrompere si direbbe quasi per mestiere.
Entrano in scena, così, le chitarre overdrive e i fiati introdotti ex novo in Conflitti, mentre il jazz acustico di Gassman blues si sfalda in ritmiche insistenti, elettrificate dalla mano di Michelangelo Vanni, dalla tromba schizoide di Paolo Raineri e dalle incisive percussioni di Simone Cavina, che potenzia la batteria brushata dell’originale con stacchi e battute dalla timbrica vigorosa.
Pezzi riuscitissimi, Conflitti e Gassman blues, che con un finissimo gioco di tempi e dissonanze traghettano i Junkfood sui più fertili territori della creatività sperimentale italiana, da altri ancora poco esplorati e purtroppo.
Più fedele alla versione Umiliani resta, invece, Il corpo e ne conserva l’atmosfera originaria senza calcare troppo la mano sulla sua patina 70's, che resta in controluce ma solo come suggestione, mai come passiva rievocazione vintage.
Ce ne sarebbe da dire ancora su questo gioiellino del quintetto Junkfood-Gabrielli, breve – di sicuro troppo breve – esempio di maestria interpretativa. Ed è per questo che approfondiamo il discorso con Simone Calderoni, basso dei Junkfood, che ci ha raccontato un po’ di cose sulla genesi e sulla produzione di Italian Masters - vol. 1: Piero Umiliani.
Mescalina: Tre brani da tre differenti colonne sonore. Perché proprio questi tre? E qual è il loro filo conduttore? Perché ascoltandoli ho l’impressione che abbiate voluto dare tre saggi differenti delle vostre potenzialità strumentali.
Simone Calderoni: Se per filo conduttore intendi qualche legame di tipo cinematografico o filologico, ti devo deludere, nel senso che la scelta è stata puramente estetica.
Avremmo voluto sceglierne anche altri, ma per motivi di tempo abbiamo deciso di arrangiare e registrare i tre pezzi che avremmo dovuto suonare con Enrico durante l’HalloBigallo e che non abbiamo potuto più eseguire.
Non c’è stata, quindi, un’operazione organica all’interno della produzione di Umiliani, ma abbiamo scelto i pezzi che ci piacevano maggiormente e che potevano in qualche modo rispondere meglio alla nostra personalità musicale.
Non parlerei nemmeno di rilettura filologica, anche perché il nostro organico è molto diverso da quelli che generalmente hanno suonato Umiliani, in prevalenza orchestre.
Mescalina: A orecchio mi pare si tratti di una rilettura di Umiliani più ritmica che melodica, almeno per Conflitti e Gassman blues. Sbaglio?
S.C.: No, non sbagli. Entrare in maniera massiccia nella componente melodica avrebbe probabilmente significato perdere il rapporto analogico con quella musica, che volevamo rileggere comunque in un'ottica personale.
Quindi gli sforzi si sono concentrati più sugli aspetti ritmici, timbrici ed esecutivi, introducendo prassi strumentali che ci sono care e moderatamente anche un po' di improvvisazione.
Le melodie, invece, abbiamo cercato di conservarle: il tema, per esempio, di Gassman blues diventa una cellula melodica autonoma, prima suonata dalla chitarra e sul finale da Enrico, i cui bassi si muovono, mentre il top della melodia resta identico e viene modulata all’interno di cambi che non sono esattamente gli stessi della versione originale.
In Conflitti abbiamo scomposto il tema e ne abbiamo ricavato una sezione per l'improvvisazione mentre ne Il Corpo diamo una nuova veste armonica ed esecutiva alla melodia.
Tutto il lavoro è stato fatto partendo dai temi e dalla salvaguardia degli stessi, che ci sembrava giusto dovessero comandare in questo esperimento.
Mescalina: Il corpo è la traccia più fedele all’originale, mentre Gassman blues ne è uscita molto stravolta. Come mai la scelta di tenersi più aderenti alla versione di Umiliani?
S.C.: L’arrangiamento de Il corpo è mio e l'ho scelto perchè trovo il tema molto bello. In tutti e tre i casi abbiamo riarrangiato la musica di Umiliani non perchè è invecchiata male, ma perché sarebbe stato superfluo riproporne un’esecuzione pedissequa.
Ne Il corpo ho preferito però rispettare il tema e la melodia senza snaturarla eccessivamente, anche perchè sentivo di dover fornire all'ascoltatore un angolo di decompressione all'interno del lavoro e un ponte un po' più esplicito con l'universo sonoro di Umiliani.
Quindi mi sono limitato semplicemente a riarmonizzarlo e ad arrangiare le parti degli strumenti, i cambi originali emergono infatti solo nell'esposizione finale, che eseguiamo con un vago sapore coltraniano.
Se un pezzo funziona bene puoi decidere di implementarlo senza doverlo necessariamente sottoporre a un trattamento iconoclasta per dargli comunque un'impronta personale. Ed è esattamente con questo tipo di rispetto che ho lavorato al tema de Il corpo.
Mescalina: Qual è stato, invece, l’apporto di Enrico Gabrielli nella dinamica e nell’economia delle vostre riletture?
S.C.: Noi abbiamo arrangiato direttamente per quintetto, avendo in mente proprio Enrico e gli strumenti che suona, sapendo benissimo che tipo di musicista è.
Infatti in studio è stato fortissimo e grazie a lui abbiamo registrato tutto in maniera molto veloce, su nastro e senza avere il bisogno di editare, anche perché non ce ne è stato materialmente il tempo.
Ci piaceva l’idea di lavorare alla vecchia maniera e di ottenere la pasta sonora che poi abbiamo realizzato e il valore aggiunto di Enrico nella dinamica della registrazione è stato da questo punto di vista non solo essenziale, ma anche prezioso.
Mescalina: Questa è la prima di altre monografie dedicate ai maestri italiani delle colonne sonore. Il progetto di una serie di volumi è venuto fuori per caso o c’è stato fin dall’inizio nelle vostre intenzioni?
S.C.: L’HalloBigallo era un festival dedicato solo a Umiliani, quindi la pulce nell’orecchio ce l’hanno messa loro. Poi, come sai, non è stato possibile suonare perché Enrico ha avuto un problema e insieme abbiamo deciso di registrare in seconda battuta i tre pezzi che avremmo dovuto eseguire lì a Firenze.
Quando, poi, abbiamo registrato il primo volume e ci ha entusiasmato il risultato, ci è venuta l’idea di non fermarci a una sola monografia. Quindi no, non siamo partiti da subito con un progetto più esteso o con l’intenzione di pubblicare una serie di monografie.
Ci è piaciuto quello che è venuto fuori con Umiliani, è piaciuto anche a molti nostri amici che hanno ascoltato il disco e si è deciso di non fermarci a un solo volume.
Mescalina: La prossima monografia a chi volete dedicarla?
S.C.: La prossima è in fase di discussione, anche perché le nostre agende, in primis quella di Enrico, sono piuttoste fitte, dunque dovremo adattarci ai tempi e alle disponibilità di ognuno di noi.
Se vuoi qualche nome, posso certamente dirti che i nomi che girano di più sono quelli di Rota, Cipriani, Piccioni e, ça va sans dire, Morricone.
Ma per ora ti lascio con il dubbio (ndr. ride).
Mescalina: Invece un’anticipazione sul nuovo disco dei Junkfood?
S.C.: In questo periodo stiamo lavorando a uno spettacolo con la filmaker Carlotta Piccini e non escludiamo che possa essere una futura pubblicazione.
Ma anche in questo caso mantengo il riserbo e non ti svelo molto (ndr. ride di nuovo).
Link:
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