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Naddei Il video di Più di così no e l'intervista
Pulsazioni di basso ossessive, ritmo magnetico, elettronica inquieta per una cover molto sensuale: in anteprima il video di Più di così no, rilettura del brano Piero Ciampi ad opera di Franco Naddei (già Francobeat), con un interessante intervista di Barbara Bottoli sul progetto Mostri, dedicato ai mostri sacri del cantautorato italiano.
Oggi vi presentiamo una cover molto affascinante: si tratta di Più di così no di Piero Ciampi reinterpretata da Franco Naddei. Musicista, produttore e arrangiatore di lungo corso, ha pubblicato come Francobeat tre concept album e ha collaboratore con artisti come John de Leo, Sacri Cuori, Santo Barbaro, Xavier Iriondo, Hugo Race, Giacomo Toni. Ora torna semplicemente con il suo cognome, Naddei, e il progetto Mostri, che per ora è un live-act, che “attende di essere imprigionato in un disco”:I mostri di cui si parla sono i mostri sacri del cantautorato italiano o per lo meno quelli che, in queste canzoni, hanno raccontato anche un po’ la vita di Naddei. Tenco con “Io sono uno” e De Andrè con “Verranno a chiederti del nostro amore” sono stati i primi. Poi a ruota gli altri: Ciampi, Battiato, CCCP (il repertorio è ampio e vario…). Canzoni e artisti selezionati con cura, rivisitati e rimaneggiati, spesso stravolgendo gli originali in una chiave elettronica dal suono vivo e caldo, dall’ambient alla new-wave, tanti ritmi e poliritmi tutti affastellati addosso alla voce cruda e calda che invita al ballo. Da qui la divertita definizione di “Cantautorave”… ecco l’elettronica come la vive Naddei: con un cuore collegato alla pancia e ai piedi.
Ecco come Naddei illustra la scelta di Più di così no:
Tutte le canzoni di “Mostri” sono state scelte partendo dal testo. Se leggendole mi ritrovavo allora erano il mostro per me. Ciampi è senza dubbio un mostruoso cantautore: crudo, stronzo, romantico, forte e debole. Questa canzone è fatta di immagini semplici, quotidiane, quasi di banalità che accadono alle coppie che si lasciano inghiottire dall’ipnosi della quotidianità. E’ da qui che nasce la pulsazione del basso ossessiva, il vento sintetico che lentamente diventa assordante, le ritmiche che si incrociano e si sfidano in un crescendo che si arrotola su se stesso fino al massimo volume possibile, che più di così no.
Il ritmo del pezzo è magnetico, quasi ad ottenebrare i sensi; d’altronde l’aggettivo che meglio definisce la cover è probabilmente “sensuale”: l’elettronica, inquieta, annoda tensioni che non scioglie, in un brano dalla bellezza torbida e raffinata. Nel video riti, “vizi” (il fumo, l’alcool), il confrontarsi con l’altro sesso e con l’immagine di sé e degli altri, tra selfie con espressioni forse convenzionali e quel reggere lo specchio alla donna, mentre si passa il rossetto, quasi un “chiedere” per “avere”; dopo infatti la bacia, in un connubio maschile/femminile naturale, primordiale, quasi animale. Il testo d’altronde domanda in qualche modo di ridurre le pretese, di non imporre all’altro sacrifici o aspettative eccessive, di non caricarlo del peso di ansie e gelosie. L’alchimia perfetta nel video è palese: non a caso nel video, così come nella canzone, ad affiancare Franco c’è sua moglie Sabrina Rocchi.
Credits video
Con Franco Naddei, Sabrina Rocchi
Regia: Francesco Zucchi e Franco Naddei
Montaggio e DOP: Francesco Zucchi
Una produzione Cosabeat studio e meraveja.land
La nostra Barbara Bottoli ha rivolto alcune domande a Naddei sul suo nuovo progetto: buona lettura!
Ambrosia J. S. Imbornone
Barbara: Innanzitutto complimenti, soprattutto per il coraggio; infatti il progetto Mostri scompone, ricostruisce e rivitalizza mostri sacri del cantautorato italiano in chiave elettronica, ma al di là della descrizione sintetica dell’idea, durante l’ascolto sembrano brani completamente inediti. Come sono stati selezionati questi brani? E come si legano tra loro, a parte il legante storico della canzone italiana? Come ci si approccia a un classico che tutti conoscono?
Franco: Ti ringrazio del complimento, e più che di coraggio penso si possa trattare di incoscienza!
Volevo sperimentare ed esplorare il mondo del cantautorato attraverso i miei suoni elettronici, il mio modo analogico di comporre con le macchine. All’inizio cercavo autori e brani che fossero il più possibile diretti e spietati. I Mostri inizialmente dovevano essere quei mostri che uno si porta dentro e che spesso diventano storie per canzoni.
Dopo lunghe ed affannose ricerche ho capito che quello che cercavo non esisteva, o chissà cosa mi aspettavo di trovare. Sta di fatto che avevo già deciso da chi e cosa cominciare. In “Io sono uno” di Tenco mi ritrovavo in pieno, e ho cominciato da lì. La ricerca è proseguita in quella direzione: cercare le canzoni in cui mi potessi sentire raccontato. Leggere il testo di una canzone senza la sua parte musicale, a volte anche senza conoscerla per niente, mi ha dato altri spunti per la ricerca e per la scelta dei miei Mostri.
Ho scartabellato tra centinaia di canzoni che non conoscevo e leggere tanti testi di autori diversi mi ha fatto bene.
Insomma, per Mostri piano piano mi sono accorto che stavo comunque legando tutto a me, come fossero canzoni mie, e così le ho trattate. Sarà per questo che sembrano brani inediti e mi fa molto piacere perché vuol dire che sono riuscito a determinare un mio suono, una mia personalità distinguibile.
Nella mia testa questo disco è stato scritto nella modalità “Ramones”, tutto dritto e tutto uguale. Una specie di basso-chitarra-batteria in un trio invece totalmente elettronico.
Volevo essere il più minimale possibile nel suono e nelle scelte di arrangiamento per giocare con la mia voce, soprattutto col tono più da “elettro-crooner” che ho messo su con impegno in anni di tabagismo consapevole. Con dei testi del genere non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione.
- Ciampi, De Andrè, Tenco, Battiato e CCCP, cinque nomi che rappresentano l’arte della comunicazione: tra Ciampi e un gruppo come i CCCP c’è un divario enorme, potrebbero essere gli estremi, ma sembra che siano collegati tra loro dalle pulsazioni, come se veramente ci fosse un forte sentimento vitale in questi brani. Oltre alla chiara rivisitazione musicale, c’è una grande attenzione alle parole, chiare, scandite, interpretate: quanto questa scelta è influenzata dal lungo percorso da arrangiatore?
Credo che il legame si sia creato da solo, proprio perché ho scelto canzoni da cui mi sono fatto attraversare completamente. Mi si è smosso così questo sentimento viscerale che è direttamente collegato al cuore ed alle sue pulsazioni. Sarò anche banale ma sento proprio il cuore pulsare quando canto certi versi sparsi qua e là nelle canzoni di Mostri che mi tagliano davvero in due; sia per quello che significano che per quello che rappresentano nella mia memoria.
Le canzoni sono la colonna sonora della nostra vita. Moltissimi ricordi del nostro passato sono legati ad una canzone in particolare, che sia bella od orribile. C’è sempre un suono, una musica nelle nostre emozioni. Credo che la maggior parte delle nostre canzoni preferite ci ricordano qualcosa o qualcuno.
E nelle canzoni ci sono le parole, versi che ci fanno piangere, sorridere, pensare. A me piace tantissimo la lingua italiana, e mi piace partire dal testo perché ho bisogno del senso delle parole, delle immagini che evoca per trovare un arrangiamento e un mondo sonoro che secondo me possa valorizzarlo. Ovviamente la percezione del “significato” di un testo è variabile, per quanto magari gli intenti di chi l’ha scritto siano chiari. Se mi fisso su una frase magari relaziono tutto il resto del testo a quella e ne traggo una mia interpretazione che è diversa dalla tua, è normale. Mi sono lasciato andare proprio a quelle parole e frasi luminose che ho cercato di rendere complici e dichiaratamente coinvolte in me che le stavo cantando.
Non mi sono mai sentito un grande cantante ma ho sempre pensato più all’interpretazione, al modo in cui far uscire le parole senza troppi fronzoli. Come produttore e arrangiatore in questi anni ho sempre voluto un confronto con gli autori e chiesto loro spiegazioni dettagliate di quello che intendevano raccontare. È quasi incredibile come si possa parlare per ore di tutto quello che è sintetizzato in pochi versi e che vi si nasconde dietro. È lì che trovo il suono della parola stessa, che è ritmo, melodia e, da autori, la nostra porta verso l’esterno.
Ecco, nella capacità di sintesi trovo molto affini Ciampi, Tenco e i CCCP.
Pensa solo a “Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare”.
- Franco Naddei alias Francobeat (o viceversa?), musicista, produttore, arrangiatore, autore di tre concept album: tra le tue collaborazioni ci sono nomi come John de Leo, Sacri Cuori, Santo Barbaro, Xavier Iriondo, Hugo Race, Giacomo Toni, artisti uniti dall’originalità e forte personalità. Da dove nasce la decisione di tornare alla tua identità, soprattutto con un progetto così ambizioso?
Ho cominciato con l’elettronica, nel ‘90 volevo essere Dave Gahan dei DM. Se penso al tempo trascorso mi prende male ma diciamo che la fase elettronica l’avevo messa un pò in soffitta come una vecchia chitarra.
Ho uno studio di registrazione in cui capita che mi venga richiesto di intervenire sugli arrangiamenti dei brani o magari di lasciare sintomi elettronici sparsi in giro nei dischi altrui. Spesso capita che di dover stabilire un determinato sound proprio di matrice “sintetica”. Diciamo che la mia verve elettronica si è sfogata tutta lì. Forse è anche per questo che in passato, con Francobeat, ragionavo più da produttore aperto a tutti generi che non da artista di genere musicale. Francobeat non aveva un suono specifico ma era molto legato al concept in oggetto, per cui in un album poteva esserci un pezzo rock, un rap, uno vagamente disco music. In realtà era anche voluto, se penso alla mia grande passione per David Byrne, colui che più di tutti mi ha influenzato e con cui credo ci fossero diverse affinità in questo modo poliedrico di giocare con gli stili.
Dopo diversi dischi in cui il mio sound elettronico è stato messo al servizio di ottimi progetti, penso fra tutti ai Santo Barbaro in cui ho lavorato proprio sulla spiccata matrice elettronica, ho deciso di fare lo stesso su di me. Come sempre cerco di lavorare sui limiti, poche cose ben architettate. Avevo un progetto elettronico di improvvisazione radicale (except the cat) in cui non cantavo. Ho semplicemente provato ad unire le cose ed ho cominciato a lavorare ai pezzi di Mostri provando a cantarli e suonarli subito con un paio di sintetizzatori ed una batteria elettronica. Una specie di “chitarra/voce” basica a cui ho aggiunto poi il resto. Anche questo mi ha aiutato nella scelta dei pezzi perché suonandoli in questo modo capivo al volo quali sentivo più miei da subito.
- Nei brani ci sono molte scelte inattese che incuriosiscono al punto di riascoltare più volte ogni brano. In Più di così no la voce femminile, in Io sono uno, che ha acquistato una tensione straordinaria, la sigaretta fumata durante la registrazione, lo spoken in Verranno a chiederti del nostro amore, il crescendo ne L'animale e il rallentamento in Io sto bene: come sei arrivato a queste scelte innovative per dei brani “della memoria”?
Normalmente mi lascio guidare dall’istinto e faccio fatica a codificare certe scelte. Alcune però sono state premeditate. La voce femminile in Più di così no ad esempio è quella di Sabrina Rocchi, che non solo è la mia amata moglie, ma è anche una ottima cantante. Lo faceva di professione anni fa, ad un livello tale che ne è rimasta un po’ scottata, ha deciso di smettere e si è dedicata ad altro. A forza di insistere credo di averla convinta a ricominciare e io sono contento di poter ascoltare la sua bella voce ancora. Ho voluto farla cantare in quel brano che ha così acquisito per noi una specie di nota “domestica privata”, cosa che ho voluto mantenere anche nell’idea minimale per il video. L’altra scelta di testa è stata quella sul brano di De Andrè. Si sa che a toccare De Andrè si rischia sempre grosso. Ho deciso di stargli alla larga il più possibile cercando di minimizzare il flusso di scuola cantautorale francese per portarla totalmente nel mio mondo, volevo non essere distratto dall’originale e godermi il flusso del testo nella sua interezza. Un po’ tutte le scelte sono state prese in questo modo. Istintivamente ho ricondotto tutti i brani al mio suono ed al mio modo di cantare, compreso il fumare mentre registravo! Ogni volta che affrontavo un pezzo mi rendevo conto da subito, suonandolo, cosa mi emozionasse di più. La pulsazione de L’animale ad esempio è venuta subito, così come il concitato arpeggiatole di Io sto bene. Di fatto ogni rilettura è partita grazie ad un suono o un ritmo su cui ho potuto provare a cantare il pezzo. Con altri brani questa magia non è riuscita, ma perché non era giusto il brano. Non so se sono stato un innovatore, ho biecamente sfruttato pezzi scritti bene, emozionanti e coi testi in cui mi sono straordinariamente ritrovato raccontato, proprio per stabilire il mio modo sonoro di raccontare. Modo che mi porterò dietro quando mi deciderò a scrivere brani originali!
- Per ora ci sono cinque brani nel progetto "Mostri": immagino che se ne aggiungeranno altri. Quali stai valutando? La scelta deriva “solo” gusto personale o vuoi raccontare qualcosa, oltre a far riscoprire dei classici?
Diciamo che ho sentito l’esigenza di tornare ai fondamentali. Ho sempre un po’ snobbato la musica italiana e con questa operazione mi son messo d’impegno ad ascoltare, scoprire e riscoprire autori e canzoni che avevo sottovalutato o addirittura ignorato. Forse ero proprio io il primo ad aver bisogno di riscoprire i classici! Mi sono fermato a dieci brani, non di più. E non credo sia un riassunto dei migliori o un “best of” del secolo. Ho scelto proprio i brani che mi raccontassero, che avessero a che fare con me, con episodi della mia vita dentro, con discorsi che avrei potuto fare anche io. Come detto per alcuni brani ho letto solo il testo senza sapere bene qualche musica li accompagnasse per cui si potrebbe dire che è una operazione totalmente narrativa, sia in termini verbali che sonori.
- Sono anni che fai parte del panorama musicale, da diverse prospettive: cosa sta cambiando? C’è bisogno di riproporre la base dal cantautorato perché non c’è più nulla da dire o perché questi brani erano talmente universali che sono ancora attuali? C’è qualche cantautore contemporaneo che tra venti/trent’anni sarà ricordato come Tenco o Battiato?
Questa è una domanda a trabocchetto! Vorrei partire dalle note positive: qualcosa di buono c’è stato, anche dal versante indie-mainstream che è maturato dagli anni 2000 in poi. Mi sono fatto l’idea che le canzoni che sanno raccontare una storia, qualsiasi essa sia, saranno comunque longeve. Chiaramente è tutto cambiato da quando ho iniziato la mia “carriera”, qualcosa in bene e qualcosa in male. Non ce la faccio a sentirmi rappresentato dal 98% delle canzoni italiane recenti che mi capita di ascoltare, ma non è affatto un problema. Temo ci sia sempre bisogno di una grande dose di sincerità che stiamo un po’ tutti perdendo a favore del riflesso che diamo di noi, a partire dai social. Alcuni giovani li sento scrivere più per “frasi postabili” che chiaramente bisognosi di raccontare qualcosa. In questo tempo dove la storia della musica è una linea piatta, dove Nevermind è uscito lo stesso anno di The Dark Side of the Moon, non tollero l’ignoranza. Con un po’ di sana curiosità, e una buona connessione internet, non puoi sbagliare riferimenti, sbagliare citazioni, non trovare tutti gli approfondimenti necessari. È la velocità che frega, e la ricerca ha bisogno di tempo e calma.
Le canzoni cantano la vita, e la vita è un fenomeno universale. Le canzoni che sanno raccontare anche solo una piccola storia contenuta in una vita saranno universali sempre.
Per quanto riguarda la tua ultima domanda temo di dover rispondere: no.
- Hai definito il tuo progetto Mostri “cantautorave”: ce lo spieghi meglio, oltre a ciò che è facilmente intuibile dal termine?
Beh, cosa c’è allora da spiegare? Merito del mio amico Giacomo Toni; gli stavo raccontando che mi sarebbe piaciuto far ballare la gente con questi pezzi in questa veste. Dopo avergli fatto sentire qualche brano, e dopo qualche bicchiere di rosso, è venuta fuori questa definizione che mi pareva calzasse a pennello!
Bio
Franco Naddei, in arte Francobeat, classe 1972, si occupa di musica da sempre: musicista, compositore, produttore musicale attivo da più di vent’anni. È tecnico e manipolatore del suono e possiede uno degli studi di registrazione più importanti della Romagna (Cosabeat).
Come “Francobeat” ha prodotto 3 concept album: Vedo beat (Snowdonia) sulla beat generation italiana, Mondo fantastico libro illustrato con CD su Gianni Rodari e la sua poetica (Artebambini) e Radici (Brutture Moderne) con testi scritti dagli ospiti di una struttura residenziale per disabili mentali. La ricerca sulla manipolazione del suono in tempo reale lo porta a collaborare con varie realtà non solo musicali. Ha curato la sonorizzazione di spettacoli per le compagnie teatrali Accademia Perduta/Ferruccio Filipazzi, “Città di Ebla” e “Le belle bandiere”, sonorizzando spettacoli che lo hanno portato in tour sia in Italia che all’estero. Per molti anni ha seguito le produzioni teatrali di John de Leo tra cui “Centurie”, “Monsters”, “Songs”, “Zolfo”, ed i suoi album solisti Vago svanendo e Il grande Abarasse, entrambi usciti per Carosello records, a cui sono seguite tournée per tutta l’Italia. Attivo ricercatore di sonorità mai banali e lavorate sempre “a mano” ed in via analogica ha prestato il suo suono, arrangiamenti e produzione artistica ad artisti come Sacri Cuori, Hugo Race (ex Bad Seeds), Santo Barbaro, Giacomo Toni, Giuseppe Righini, Moro & the Silent revolution, Pantaleimon, Alejandro Escovedo, Terry Lee Hale, Antonio Gramentieri e in moltissime altre interessanti produzioni sia italiane che internazionali.
In ambito di jazz “contaminato” ha collaborato con molti artisti della scena italiana tra cui Francesco Cusa, Gianni Gebbia, Vincenzo Vasi, Achille Succi, Fabrizio Tarroni, Dimitri Sillato, Pero Bittolo Bon, Diego Sapignoli, Fabrizio Puglisi, Luisa Cottifogli, John de Leo, Xavier Iriondo (Afterhours), Guido Facchini, Christian Ravaglioli e molti altri.
Conclusa l’esperienza “Francobeat”, nel 2017 Franco si concede, come nome d’arte, semplicemente il suo cognome per iniziare un nuovo corso.
Nasce così Naddei ed il progetto Mostri; una rilettura in chiave elettronica dei mostri sacri del cantautorato italiano. Si ridefinisce il sound elettronico con cui è nato molti anni fa il suo percorso, ed ora è in lavorazione un album di inediti.
Contatti
www.sferacubica.it