Eric Andersen

interviste

Eric Andersen La poesia trascende il tempo

14/02/2016 di Laura Bianchi

#Eric Andersen#Americana#Songwriting Greenwich Village

Incontrare un artista come Eric Andersen è più che un’esperienza. E’ un viaggio nella musica degli ultimi cinquant’anni, e un’immersione in un mondo culturale e umano di grande ricchezza. Ridurre le domande in modo da condensare “cinquant’anni in poche frasi” è impossibile; meglio allora seguire alcuni percorsi, e lasciare che chi li ha tracciati ci conduca.
Cosa significa “folk music” per te, soprattutto in questi anni?  

La Folk Music è tradizionalmente riferita a una musica popolare, proveniente da regioni specifiche, musica che "sale dal terreno" lungo innumerevoli generazioni. Per esempio, il blues del Delta, lo Swing del Texas, le ballate degli Appalachi, i canti dei marinai del New England, la musica celtica delle isole britanniche o quella dell’Europa non colta. "Folk music" adesso è un'etichetta e si applica a chiunque suoni ed interpreti qualunque canzone con una chitarra acustica. Io sono uno scrittore di canzoni originali, non un interprete vocale di brani folk. Non canto canzoni folk e non mi ritengo tale; preferisco non essere etichettato come un folk singer. In un certo senso, per la definizione di canzoni create e cantate nello slang locale, Lou Reed, che ha sempre usato il gergo di New York, è mille volte più folk singer di Pete Seeger.
 

Sei vissuto nell’atmosfera del Village per molti anni; un mondo simile sarebbe possibile anche oggi? E, se sì, in che forma?  

Il "Village" è un quartiere tradizionalmente popolato da immigrati italiani e da scrittori ed artisti bohémiens, come North Beach a San Francisco, la zona dove gravitavano i Beat negli anni '50. Io ho iniziato in entrambi i posti nel lasso di tempo tra i Beat e gli Hippies (1963).  Questi quartieri erano economici e permissivi, con molte panetterie e caffè, bei posti per passarci il tempo e scambiarsi idee. Un magnete dove talenti creativi interessati al cambiamento venivano attratti. Era anche il luogo dove c'erano i club ed i caffè dove folk singers, attori e cantautori hanno iniziato ad affinare le loro abilità. L'atmosfera e un po' dello stato d'animo esiste ancora oggi.  Ma adesso il "Village" è un posto che esiste in tutte le menti creative, libere di spirito e curiose che preferiscono vivere in posti senza frontiere.
 

Sappiamo che la letteratura ha sempre influenzato il tuo modo di vivere e di esprimerti. In quali scrittori trovi maggiore ispirazione?  

Quand'ero alla High School, sono stato profondamente influenzato dagli scrittori russi, dai simbolisti francesi e dai poeti beat. Poi sono venuti Joyce, Kafka, Ibsen, Hamsun e poeti e scrittori giapponesi e cinesi. Ho letto anche molto William Borroughs, su cui ho scritto. Recentemente sto leggendo Camus, Byron e Heinrich Böll, per un nuovo progetto

 

Noi, come pubblico, sappiamo molto bene cosa trovare in un concerto di Eric Andersen. Ma tu, cosa ti aspetti dal tuo pubblico?  

Sono stato molto toccato e commosso dalla calda accoglienza e dal feeling con il pubblico in Italia, in particolare a Cantù. Non avevo mai realizzato quanto profondamente le mie canzoni raggiungessero la gente.  Sono molto grato di ciò e del fatto che capisco che è valsa la pena costruire il mio personale percorso musicale e poetico.

 

Molti cantautori americani si sono trasferiti dagli Stati Uniti all’Europa, ed anche tu lo hai fatto: che differenze hai trovato fra il modo di vivere la musica americano ed europeo?  

Ho scoperto che puoi trovare grandi musicisti ovunque nel mondo. Se c'è qualcosa di vero è il fatto che sono le differenze fra musicisti e luoghi ad aggiungere impulso al mix musicale e a fare crescere ed espandere la musica. Sto collaborando con un suonatore di Oud di Londra che sta per andare, a breve, in Tunisia per studiare insieme ai maestri.  Sono molto appassionato di jazz e di musica araba. Mi rilassa e mi libera la mente. La cosa più importante nella musica è lo spazio. E' lo spazio, e il silenzio tra le note, che canta e mi parla più intensamente. I musicisti bianchi tendono a riempire tutti gli spazi. Loro o non lo sentono né rispettano, o sopportano poco lo spazio nella musica. In particolare i chitarristi blues bianchi (sorride).

 

Parliamo un momento del tuo rapporto musicale con Michele Gazich: cosa trovi in lui? Uno sparring partner, un amico, un fratello, o solo un bravissimo violinista?  

Michele è come uno di famiglia per me. E’ il mio collaboratore e partner musicale da 15 anni. E’ un violinista appassionato, con grandi idee, creative e inventive.

 

Dylan ha detto di te: “Uno dei migliori scrittori di ballate e cantautori”; stai ancora cercando qualcosa nel tuo percorso musicale, e cosa pensi di aver trovato? In altre parole, di cosa i tuoi stivali hanno ancora sete?  

Ringrazio Bob Dylan come un amico e per la sua stima musicale nei confronti del mio lavoro. Il mio obbiettivo è semplice: oltrepassare o toccare i limiti musicali con nuova poesia, ritmo e melodie. Altrimenti, quale scopo avrebbe continuare comunque a ricercare?

Continua a ricercare, Eric. Noi continueremo a seguirti.

 
Foto di: Giuseppe Verrini