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Davide Van De Sfroos Davide Van De Sfroos: venticinque anni di continua evoluzione. Intervista esclusiva tra emozioni e musica; Davide si racconta e presenta il suo nuovo Van De Best
D. Grazie, Davide, per il tempo che dedichi a Mescalina!
R. È sempre un piacere chiacchierare con voi, per uno spazio diverso dalle conferenze stampa...E poi, Mescalina mi segue dagli inizi... (ndr, vero: ecco il primo live report, anno 2002...)
D. Iniziamo dai numeri: 25 anni di carriera solista, 49 brani per 5 vinili, oppure 3 cd: come mai proprio 49, e non 50? C'è qualche cabala dietro questo numero?
R. (ride) No, la verità è che nei cinque vinili stavano 49 brani, e non 50...ma potremmo anche dare una risposta poetica, e dire che il cinquantesimo brano è quello che non c'è, ma che ognuno potrebbe inserire secondo il proprio vissuto personale. Non è stato possibile mettere nei dischi tutte le canzoni che avrei voluto, e così abbiamo scelto, in modo graduale, oltre ai classici che tutti si aspettano, e non possono mancare, alcuni pezzi che mancavano, che non erano mai stati inseriti in una raccolta (e abbiamo escluso la traccia fantasma per eccellenza, El fantasma del Laac...). In questo senso, il titolo Van De Best è improprio, perché non ci si deve aspettare un Best of nel senso canonico del termine, ma piuttosto una serie di immagini, di spunti che mi hanno attraversato durante questi ultimi venticinque anni...e anche prima, oltre a una canzone che non ho mai pubblicato, se non in forma singolo a tiratura limitata, Grazie Ragazzi.
D. Come è stato il processo di arrangiamento e di incisione del disco?
R. Ci sono voluti molti mesi, la collaborazione di molti musicisti, varie incisioni in tre posti diversi, e la supervisione di Daniele Caldarini, Angapiemage Galiano Persico e Taketo Gohara, per avere un prodotto completo e ricco. Prendiamo Il re del giardino: all'inizio aveva un impianto diverso, ma avevamo capito che sarebbe stata efficace con un arrangiamento pianistico. Così mi sono affidato a un bravissimo musicista, Pier Luigi Salami, che ha dato un'atmosfera lirica non solo a questa canzone, ma anche a 40 Pass e a La figlia del tenente.
D Hai mai pensato a un progetto collaterale, che contenga invece pezzi come Arbitro arbitro, Megagrancaos o altri?
R. Ci sono schegge di pazzia, brani che restano lì, perché non classificabili...come la maschera del Signor Piramide, che ha rallegrato tanti durante la pandemia, ma che, a un certo punto, mi è sfuggita di mano...al punto che la gente chiedeva anche quella alle presentazioni! Bisognerebbe fare come Bennato, che aveva creato il suo alter ego, Joe Sarnataro...un progetto collaterale, che raccolga quelle canzoni altro che bipolari...chissà, forse un giorno!...
D. Grazie ragazzi, mai pubblicata in una raccolta, canzone dedicata al rugby, sport praticato da uno dei tuoi tre figli, è significativa del fatto che il disco contiene tre facce: le canzoni che descrivono gli ambienti in cui vivi, quelle che tratteggiano una serie di personaggi diventati protagonisti di vite simboliche di situazioni in cui ci si possa riconoscere, ma ci sono anche quelle che parlano della tua vita, di te padre, ad esempio, come questa.
R. E ti dirò di più: aggiungerei anche un gruppo di brani che scendono nel profondo della mia mente, come Akuaduulza, Long John Xanax, Il camionista Ghost Rider, ma anche La machina del Ziu Toni, che rappresenta quella "nostalgia del futuro", che mi prende quando guardo indietro, e penso, ancora dubbioso, "avrò fatto le scelte giuste?...".
D. Sei ancora un uomo che cerca, a quanto pare...Stai guardando nel crinale di questi anni? Magari non un bilancio, ma uno sguardo, non solo artistico, ma umano?
R. Non nascondiamoci: i momenti di ombra esistono, e possono essere sinonimo di desiderio di andare avanti. Ma, guardando sul crinale, ci si accorge che ci sono state situazioni di travaglio, fallimenti interiori, in cui non ero più aderente a quello che volevo essere: il rischio è vederli solo come lati negativi. Invece c'è gente che ha espresso gratitudine proprio per quei pezzi che descrivono meglio quelle situazioni. Allora, ricantandoli, ho capito che quei momenti di ombra hanno illuminato il percorso di chi ascoltava il loro racconto attraverso le mie canzoni. Ed è stato tutto più chiaro. È molto facile, per me, tendere a frenarmi, perché sono il peggiore critico di me stesso; invece le mie canzoni, o i miei libri, come Taccuino d'ombre o Ladri di foglie, lasciati in giro per il mondo, hanno chiarito il mio percorso. Voi, scrivendo dei miei libri, (qui la recensione di Ladri di foglie), o comunicandomi quello che le mie canzoni significano per voi, avete trasmesso i riflessi di quello che non era chiaro a me. E ve ne sono grato.
D. Qual è quindi il tuo rapporto con le tue canzoni?
R. Le mie canzoni, quando le lascio andare in giro per il pianeta, non sono più solo mie, diventano degli altri. Io non mi metto mai in una compilation: metto Bob Dylan, metto De André! Vuoi per una forma di pudore, vuoi per una forma di rispetto. Certo, ci sono canzoni che mi rispecchiano molto: c'è una serie di brani che fanno andare a nozze gli psicologi! Ti racconto un fatto: anni fa, l'associazione degli psicologi di Como aveva organizzato un incontro con me e davanti a 150 psicologi, e il centro è stato Akuaduulza. La canzone definitiva, che comprende sia la mentalità del laghèe, che vive di fronte a questo precipizio pieno d'acqua, sia la complessità del nostro io. Ma anche Il camionista Ghost Rider, che è molto intima, ma piena di simboli per me: mio padre è stato spedizioniere per tanto tempo, ma anch'io sono spesso in giro come lui. Quando canto canzoni come Breva e Tivan, Long John Xanax, torno negli abissi di me stesso; Il libro del mago è una canzone talmente profonda che, le poche volte che la canto live, mi trovo immerso nella dimensione che ho descritto
D. …e infatti non l'hai inserita nelle 49 canzoni…
R. …ha la valenza che può avere Not dark yet di Dylan, che ha descritto le sue paure che ha vissuto quando gli era stata diagnosticata una malattia. Io fin da relativamente giovane ho capito che il rischio è capire il senso della vita solo quando ce ne rimane un mozzicone; abbiamo perso la gratitudine, e fatichiamo a renderci conto, come invece fa il mago, che la vera magia è la consapevolezza del miracolo del mistero del vivere stesso. Perché io, a 15 anni, quando compravo un disco, ero esaltato anche solo ad averlo in mano, tornando a casa, e invece adesso, che ascolto musica sempre, mi sono abituato al gusto della scoperta? Invece, è sufficiente un dettaglio per restituirmi quelle sensazioni.
D. Cos'è quindi la vita per te?
R. La vita è come un farmaco, nel senso greco del termine: sia guarisce, sia ti ammala. Sei assuefatto, dopo un po’ che vivi, al panorama fantastico che hai davanti a casa, al fatto che mangi, bevi, dormi, e invece ti lamenti sempre anche per qualche dettaglio. E ti dimentichi che facciamo parte di un grande miracolo…siamo come il ragazzino di quel film di Christopher Murray di qualche anno fa, Il Cristo cieco, che racconta di un ragazzino che attraversa un deserto per guarire un amico. L'amico non guarisce, ma, tornando indietro, il ragazzino si rende conto che tanti hanno raccolto i semi di bene che lui aveva lasciato nel cammino. Siamo anche noi Cristi ciechi, che fanno cose meravigliose, ma sono preoccupati perché non trovano parcheggio...
D. A proposito di vita, sofferenza, degli ultimi che hai spesso cantato: nella raccolta ci sono Sciur Capitan e Infermiera. Hai voluto inserirle per uno scopo?
R. Certo: sono due canzoni complementari. Una parla di una persona che cura chi soffre per l'insensatezza della guerra, e l'altra di un soldato che preferisce andarsene a costo della vita, rinunciando ad ammazzare, guarendo dal virus della guerra. Sono entrambe scelte coraggiose, due facce della stessa medaglia, sporca, della guerra, che ancora oggi è presente ovunque, in conflitti macroscopici o meno conosciuti.
D. Dal disco emerge anche il tuo rapporto con la lingua locale.
R. Questo è un grande album di fotografie, di personaggi, che sono coerenti con la lingua che parlano e l'ambiente in cui vivono. Se fossi bretone, basco o irlandese, scriverei nella lingua del posto; per me la scelta del dialetto non ha senso politico, ma affettivo e antropologico. Ci sono canzoni che esprimono concetti importanti, e che nascono in italiano, mentre altre nascono in dialetto, ed è stupido, impossibile, trasformarle una nell'altra lingua.
D. Parliamo dello splendido libretto, lo sketch book, ricchissimo di immagini, disegni, versi... È stata una scelta tua?
R. Non era possibile inserire tutti i testi in un libretto, e non avrebbe avuto senso, perché non è un disco nuovo. All'inizio era stato impostato un libretto con foto varie, prese dal vivo, ma io ho scartato l'idea, anche perché i dischi non raccontano un live, e ho preferito regalare a chi compra questo oggetto qualcosa di mio, che permettesse di entrare nel mio mondo. Allora, ho costruito questa estate, pagina per pagina, su fogli grandi come la larghezza della copertina del 33 giri, tutte e 24 le pagine: una sorta di taccuino con pezzi di canzoni, ricordi, vagamente tridimensionali, pensando al disco, e le ho portate io stesso al grafico, curandone la stampa. Quando l'ho visto finito, ho capito la mia provocazione: la mia idea è sempre stata fare un libro in questo modo, prendendo un taccuino - quaderno, che permetta a chi lo legge di viaggiare dentro il mio immaginario.
D. E le foto, che spesso condividi sui social, e che sono davvero artistiche…?
Ecco, quello può essere un gioco: alternare foto e parti di taccuino per condividerle con gli altri e permettere loro di andare in giro!
D. Ultima domanda: hai qualche anticipazione sul live del 23 novembre al Forum di Assago?
R. Non ci saranno tutte e 49 le canzoni! Aspetto da molti anni, perché la mia terza volta sarebbe dovuta essere nel 2020, ma poi è saltata causa Covid... e, a quanti mi chiedono se sono pronto, rispondo sempre: sarò pronto quel giorno, quando ci si troverà sul palco! Abbiamo fatto le prove, siamo soddisfatti, scorrono; la scaletta contiene le canzoni che possono essere cantate, saltate, ballate, adatte alla situazione che invita alla festa. È ovvio che ci saranno un momento intimo e acustico, e una girandola di brani uniti tra loro, ma la voglia è salire sul palco e condividere in modo energetico la nostra strada. Con me ci saranno i musicisti che mi hanno accompagnato in questi anni, e alcuni di quelli che hanno fatto parte della nostra storia musicale. Non ho voluto una passerella, né air monitor, né ospiti speciali, né effetti da grande show, perché non fanno parte del mio stile. Voglio che tutto sia D.O.C., a chilometro zero, con grande rispetto per il mio pubblico e per la coerenza del mio percorso. Angus Young l'ha sempre fatto, correre in mezzo al pubblico; ma io cosa ci farei sulla passerella, la sfilata di moda? (ride) Non conosco come funzionano gli air monitor, mi preoccuperei di andare a tempo…troppo complicato! Sarà una grande festa collettiva per ricordare questi primi 25 anni di cammino…e grazie a chi verrà a festeggiare con noi!
Grazie a te, Davide, per quest'ora di preziosa chiacchierata, e al 23 novembre…