solo potessimo vivere in una realtà più centrata sull’arte, sulla parola cantata e scritta.
Proprio dal verbum, in particolare da quello delle poesie di Ungaretti, è nato il suo ultimo cd, intriso di una profondità che abbiamo ritrovato in questa chiacchierata via e-mail: Andrea ha accettato di parlare con noi e ci ha mostrato una volta in più come la parola, se mantiene un legame di doveroso rispetto con i significati, può annullare anche le distanze e l’atemporalità
di un mezzo di comunicazione come la posta elettronica.
Andrea
Chimenti è un musicista che non dovrebbe aver bisogno di presentazioni,
se |
Mescalina: Voglio
cominciare andando un po’ indietro nel tempo: Andrea Chimenti è un nome
storico per il cosiddetto rock italiano, se pensiamo che i Moda, insieme
ai Litfiba e ai Diaframma, ne sono stati i pionieri. Che effetto ti fa
ripensare a quel periodo? |
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Andrea
Chimenti: Io ho molta ammirazione per Federico Fiumani e lo considero
un vero artista. In questo campo la coerenza è rara. Sono diversi anni che
non ci incontriamo e ti dirò che ho in mente di proporgli una collaborazione…ancora
lui non lo sa e non so se ne avrà voglia. Sarei onorato di averlo come ospite
nel mio prossimo lavoro. Mescalina: A proposito di coerenza, la scelta di cantare le poesie di Ungaretti suona quasi come una conseguenza logica, come un’evoluzione della tua musica. Guardando ai tuoi dischi precedenti, si può cogliere un’attenzione quasi religiosa nei confronti della canzone, dei suoni e della parola, una specie di cammino che ti ha portato alla forma più nobile della scrittura e della parola stessa: la poesia. Allo stesso tempo anche un progressivo avvicinamento al silenzio. Andrea Chimenti: Più passano gli anni e più mi sento attratto dalla parola. Credo che questa, in più della musica, abbia il potere di rimanere. La musica nonostante possa entrare nelle nostre profondità ha anche la capacità di volarsene via come è arrivata…è parte della sua bellezza: ci emoziona ma poi come tutte le emozioni scivola via. La parola ha il potere di far divenire, cioè di cambiarci segnandoci a volte in modo indelebile. Non a caso il libro dei libri dice: "In principio era il Verbo…". Nonostante questo siamo riusciti a distruggere la parola scarnificandola e svuotandola dei suoi significati, riducendola ad un guscio vuoto. Siamo alluvionati di parole vuote e consci del loro scarso significato le gridiamo a volumi sempre più alti in un caos sempre più grande. Mi viene spesso in mente l'immagine dell'acqua…un tempo la parola acqua significava purezza e vita e tante altre cose, oggi due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Le nostre parole racchiudono sempre più solo dati tecnici. Questa è la vera povertà…altro che i nostri problemi economici. Tornando alla tua domanda devo dirti che i significati li ho ritrovati nella poesia, è l'unica che riesce a scavare in profondità restituendo la vera identità alle cose. La poesia è un cammino che insegna l'ascolto per poi condurre al silenzio. Come hai detto tu la parola e il silenzio vivono insieme. Mescalina: Come mai la scelta è caduta proprio su Ungaretti? Andrea Chimenti: Tempo fa l'attore Franco Di Francescantonio mi aveva chiesto di mettere in musica una poesia per un suo spettacolo. Scelsi "Vanità" di Ungaretti perché mi sembrava che rappresentasse bene l'uomo di oggi nel suo delirio di onnipotenza. L'immagine di un uomo tra le macerie che alza gli occhi verso il cielo scoprendo forse per la prima volta l'immensità, mi sembrava quasi una visione profetica di tanti avvenimenti che oggi viviamo. Nelle poesie di Ungaretti l'uomo è posto al centro ma rivestito di un'umiltà ritrovata passando attraverso il dolore. Il dolore acquista significato diventando la porta che conduce alla profonda consapevolezza di ciò che siamo, e l'uomo non ne esce distrutto ma abbandonato a qualcosa di più grande di lui. Sulla poetica di Ungaretti avevo già lavorato insieme a Fernando Maraghini in un CD intitolato "Qohelet" dove le liriche ungarettiane si univano al testo dell'omonimo libro biblico. Amo Ungaretti perché è l' uomo che cerca, cerca disperatamente attraversando gioia e dolore; è questa macerazione interiore che costruisce il suo spessore. Mescalina: Hai avuto il consenso e l’aiuto dei familiari? Andrea Chimenti: Per poter cantare le poesie di Ungaretti ho dovuto chiedere il permesso agli eredi e la SIAE mi ha messo in contatto con la figlia Annamaria Ungaretti la quale è stata gentilissima. Mi ha scritto una lettera nella quale dava il suo consenso. Questo consenso è stato importante per me, non solo ai fini pratici dell'operazione, ma è come se avesse aumentato il tutto di significato. Mescalina: Personalmente trovo che ci siano delle affinità tra il tuo modo di fare musica e la poesia di Ungaretti: una malinconia esistenziale che è di fondo al vostro lavoro, l’attenzione alle pause, il disincanto e l’incanto con cui guardate alla realtà, che solo apparentemente è tristezza. Andrea Chimenti: Le pause in musica danno valore alle note come il silenzio alle parole. Spesso il silenzio viene inteso come tristezza perché il silenzio ci porta a pensare e pensare può farci scoprire lati oscuri della nostra vita che preferiamo tenere nascosti. Il caos in cui viviamo è sapientemente creato affinché scopriamo poco di noi stessi. Meno pensiamo e meglio è. Siamo, così, maggiormente manovrabili e apparentemente più felici…o storditi. Mescalina: Come hai scelto le poesie da interpretare? Andrea Chimenti: Semplicemente leggendole e scegliendo quelle parole che avrei voluto saper scrivere io. Quando trovi parole che sanno rappresentare così bene ciò che provi le fai immediatamente tue e il fatto che sia stato qualcun altro a scriverle ti fa sentire meno solo. Questo lavoro non è stato per me un' operazione culturale…non ne sono all'altezza e non è mio compito farlo, ma è nato da un bisogno…quel bisogno di immergerti in una cosa bella che hai la fortuna di incontrare o meglio scoprire. Per me è stata una scoperta poter cantare delle poesie e la stessa musica nasceva con la sensazione di scoprire delle note che già vivevano in quelle parole. Non so quanto possa valere il mio lavoro, come ho detto altre volte è sicuramente poca cosa vicino a alla poesia di Ungaretti ma è valsa la pena farlo perché mi ha fatto stare bene. Mescalina: La scaletta del cd induce a riflessioni che partono dalla bellezza della notte per arrivare alla morte, e per contrasto alla vita. Anche qui torniamo al silenzio come condizione necessaria, non solo per l’ascolto. Andrea Chimenti: Qualche mese fa ho incontrato una ragazza che ha la passione per la speleologia. Gli ho fatto la banalissima domanda di che cosa potesse spingerla ad entrare in quei cunicoli sotto terra; lei mi ha risposto così: " mi piace nel buio cercare la luce". Non è una bella risposta? E' una risposta che non dimenticherò facilmente. E' nell'oscurità che si coglie la luce…lo sa bene Giovanni Della Croce come Giuseppe Ungaretti, lo sa bene chi è dovuto passare, in un modo o nell'altro, attraverso la sofferenza " la notte oscura" dove incontriamo le nostre miserie e le nostre forze non riescono più a sorreggerci e per un attimo cogliamo altro da noi stessi, una luce nel nostro cunicolo, il cielo stellato di Ungaretti che scopre da dentro una trincea. Il silenzio è il cuore della notte e, come la luce ha bisogno della notte per essere colta, così la parola ha bisogno del silenzio. Mescalina: So che al cd è legato uno spettacolo, anzi il cd dovrebbe essere una conseguenza dello spettacolo. Che ci dici della rappresentazione? Comprende anche altre poesie? Andrea Chimenti: Le canzoni con i testi di Ungaretti sono immersi in un percorso letterario molto semplice. Semplice perché le letture sono tratte da due romanzi ("La Confessione" di Tolstoy e "Il Deserto dei Tartari" di Buzzati) e non c'è nulla di criptico o contorto. Ungaretti con la sua lirica sottolinea i vari passaggi del percorso unendo i due romanzi così apparentemente distanti ma uniti da una tema che lascio scoprire a chi vorrà ascoltarlo dal vivo. Mescalina: Trovo molto azzeccati gli arrangiamenti, soprattutto le chitarre “minimali” di Massimo Fantoni, perfettamente in sintonia con i vuoti e i silenzi della voce tua e di quella di Ungaretti. Anche per un classico come “San Martino del Carso” siete riusciti a trovare suoni per nulla banali, capaci di assecondare, di accompagnare le parole. Andrea Chimenti: Massimo Fantoni è stato un prezioso collaboratore e alcuni dei pezzi sono stati scritti insieme. Con Massimo lavoro da anni e abbiamo una notevole intesa. Nello spettacolo accompagna con la chitarra molti momenti delle letture e la sua sperimentazione riesce a rendere molto emozionante il racconto. Anche Matteo Buzzanca, che ha scritto gli archi, è stato capace di entrare nei brani in punta di piedi sottolineando con sensibilità molti momenti. Mi fa piacere che tu mi dica che non hai trovato banali i suoni. Quello della banalità è un rischio sempre presente quando si lavora intorno alla poesia. Sicuramente non volevamo che la musica fosse un semplice accompagnamento alle parole ma che interagisse con loro, abbiamo cercato di costruire un corpo unico pur lasciando come centro la poesia di Ungaretti. Le parole non avevano bisogno di arrangiamenti ridondanti perché già sin troppo potenti da sole. Ungaretti è scarno e ogni parola ha il peso del macigno che quando cade nell'acqua crea per un attimo il vuoto intorno. Infatti ogni poesia di Ungaretti mi da la sensazione che sia sospesa nel silenzio per poi cadere fragorosamente in chi la legge. La musica e ancor più la melodia doveva tenere conto di questo, assecondando quelle parole in modo minimale, dando il peso ad ogni singola nota. Su quella musica non potrei mai cantare altro. Mescalina: Secondo me, la poesia, come la musica, funziona a pieno quando viene letta, cantata. Leggere una poesia solo col pensiero comporta una perdita, una dispersione della sua capacità di evocare, un po’ come leggere il testo di una canzone senza la musica … eppure questo è l’atteggiamento che ci viene inculcato verso la poesia sin dalla scuola. Al di là dello spettacolo, nessuno ti ha chiesto di recitare le poesie per delle scolaresche, per qualche incontro culturale o per qualche occasione particolare? Andrea Chimenti: Hai ragione che la poesia funziona maggiormente quando viene letta, credo che sia una questione di energie; se la parola ha il potere di far divenire, ancor più la sua vibrazione. Cantata può acquisire una forza ancora diversa (certo tutto dipende da come viene cantata), in fin dei conti la poesia è nata col canto, pensa ai Salmi. A scuola non sempre si capisce la poesia, un po' a volte per una mancanza di maturità da parte dei più giovani e molto spesso perché ci viene presentata come qualcosa che vive al di fuori di noi, scollegata dal nostro quotidiano e dal nostro sentire. Quante poesie imparate a pappagallo, relegate ad esercizi ginnici per la nostra materia grigia…il minimo che puoi fare è odiarle. Si ogni tanto faccio da lettore a qualche incontro e anche se non sono un attore mi piace farlo. Mescalina: Hai mai scritto o pensato di pubblicare poesie tue? Andrea Chimenti: Come sai io scrivo canzoni ed è molto diverso dallo scrivere poesie. A volte le due cose si incontrano ma non me la sentirei di pubblicarle…nel futuro tutto può accadere ma per ora ho troppo pudore nonché coscienza dei miei limiti e preferisco leggere quelle di altri. Mescalina: In passato la tua musica ha mescolato la tradizione cantautorale italiana con passaggi anche progressive, ora invece sembri aver intrapreso una strada su cui lavori per riduzione e sottrazione, sbaglio? Andrea Chimenti: Non sbagli, con il passare degli anni si impara a rendere essenziale un'idea, qualunque essa sia. Mi piace cercare di dare un senso alle cose che scrivo e perché questo senso risalti cerco di non infarcire inutilmente un brano. Dare forma ad una canzone può essere paragonato allo scolpire che è l'arte del togliere. Mescalina: Come si sono svolte le registrazioni di questo disco?. Andrea Chimenti: Piano, voce e chitarra sono stati eseguiti in presa diretta, come un live. Poi sono stati aggiunti violino, viola e violoncello. Lo abbiamo registrato al San Martino Studio vicino ad Arezzo. Il tutto, missaggi compresi, in soli otto giorni. Lo studio si trova in collina completamente isolato, sono stati otto giorni incantevoli dove abbiamo suonato senza distrazioni immersi completamente in quello che stavamo facendo. Nelle pause per il pranzo e per la cena, Fabrizio Vanni (fonico e proprietario dello studio) ci faceva trovare la tavola imbandita e il camino acceso. Roberto Bardelli, che ha prodotto il Cd, ha saputo organizzare tutto perché potessimo lavorare al meglio. Tra le tante difficoltà tipiche di questo mestiere, ogni tanto si incontrano delle piccole oasi. Mescalina: Come è stata l’esperienza con il CPI? Andrea Chimenti: Credo che dopo il fermento degli anni ottanta, il CPI sia stato l'ultimo tentativo di ricreare un tessuto culturale intorno ai gruppi emergenti. Credo in parte riuscito. Ho avuto la possibilità di fare dei buoni lavori, primo fra tutti "L'Albero Pazzo". Non so se il CPI sia stato il contenitore ideale per i miei lavori, ma sicuramente gli devo la buona riuscita di alcuni miei progetti. I miei produttori hanno creduto in quello che facevo. Nella seconda parte ci sono state alcune incomprensioni reciproche e lentamente tutto si è concluso in una lenta dissolvenza di comune accordo. Difficile dimenticare i molti momenti passati con loro (ci conosciamo da una vita)…ci abbiamo creduto. Mescalina: Ti va di dirci i dischi che stai ascoltando in questo periodo (oppure i libri o le poesie che stai leggendo)? Andrea Chimenti: Ascolto spesso i Radiohed, Cold Play, molta musica anni settanta, voglio comprare l'ultimo di Bowie e ascolto spesso, che non centra niente con i primi, i canti di Taizè. Sto leggendo "La Realtà Sa Di Pane" di Luigi Verdi. Mescalina: Il porto sepolto” è un’immagine che ben rappresenta la poesia di Ungaretti. Non trovi che sia altrettanto valida anche per la tua musica? Andrea Chimenti: E' un' immagine che sento fortemente vicino, in fin dei conti il nostro vivere che cosa è se non una ricerca continua di un approdo? Un approdo che non troviamo perché seppellito dal nostro modo di vivere, perché siamo sempre ricurvi su noi stessi senza vedere al di là del nostro naso…eppure è lì, ci stiamo camminando sopra. |