Michele Anelli

interviste

Michele Anelli Resilienza e resistenza

04/09/2018 di Ambrosia J. S. Imbornone

#Michele Anelli#Italiana#Canzone d`autore

Autobiografia e storie altrui, il pane e le rose, persone senza più memoria e scritte sulle chitarre, vinili e ascolti musicali: abbiamo rivolto alcune domande a Michele Anelli a partire dal suo nuovo album Divertente importante.
Parliamo del titolo del disco e della titletrack: come è nata l’idea del titolo Divertente importante e quindi l’idea di elencare ciò che può essere definito con questi due aggettivi, apparentemente con un significato un bel po’ differente?

Più di una suggestione mi ha portato a comporre il brano che poi è diventato anche il titolo del nuovo album. È un brano autobiografico nel quale tratteggio, per sommi capi, le sensazioni e le emozioni delle mie giornate. Giornate nelle quali confluiscono anche le storie altrui. Ho avuto la fortuna di ascoltare la voce di tantissime persone che, lungo tutti questi anni, mi hanno regalato ritagli della loro vita. L’osservazione e l’ascolto mi hanno portato a credere che la stessa intensità con la quale lottiamo per le cose importanti, dobbiamo dedicarla anche alle cose divertenti. È il concetto del “pane e le rose”. Ogni giorno “subiamo” la tristezza di un mondo sociale, e politico, che spesso ci fa sentire inadeguati, fuori posto e poco inclini alla felicità. Come fosse un peccato desiderarla. L’idea di combattere, con la stessa determinazione, per le cose importanti e per quelle divertenti non è ascrivibile a un’ipotetica classifica. Stare bene con sé stessi moltiplica le forze per tutto quello che ti sta a cuore ed è vicino ai tuoi desideri. Poche settimane fa, il giorno dopo un concerto durante il quale ho presentato il nuovo album e raccontato quanto ti ho appena descritto, sui social un ragazzo che soffre di alcuni problemi fisici, mi ha ringraziato perché si è sentito stimolato a riprendere a uscire di casa, a camminare per sentieri insieme alla sua compagna. Sono piccole cose di resilienza e resistenza quotidiana che permeano l’intero album.

“Sento bisbigliare di una nuova resistenza”, canti in Ignora gli ordini alieni: per quali motivi potrebbe essere necessaria una resistenza oggi e quali potrebbero essere gli ordini da non rispettare?

Negli occhi e nelle parole di molte persone colgo lo smarrimento quotidiano di fronte al degrado culturale, sociale e politico a cui stiamo assistendo. Alcuni però non demordono e continuano a coltivare e nutrire la speranza che si possa ritrovare, insieme, una forma di vita sociale che abbia le caratteristiche della solidarietà e dell’umanità, con una prospettiva nuova che colga il cambiamento in atto. Dobbiamo volere questa resistenza, che mi ricorda la scelta fatta dal mondo femminile durante il conflitto per la Liberazione. Le ragazze non avevano obblighi militari e la scelta spontanea di far parte del mondo resistenziale si rivelò determinante alla risoluzione del conflitto. Credo, pertanto, nella spontaneità del coinvolgimento in un processo di cambiamento per ritrovare una forma di vita sociale che non escluda nessuno, nella quale non possa esistere la volontà di lasciare indietro chi è più debole o diverso. Oggi è un bisbiglio, domani chissà. Il titolo nasce da un ritaglio di una fotografia che conservo da anni: un’immagine della Telecaster di Joe Strummer sulla quale vi era l’adesivo “Ignore aliens order”. La frase mi era sempre piaciuta e mi ha permesso una riflessione su alcuni aspetti della quotidianità e sulla volontà di ignorare dettami che vengono imposti a livello sociale, che non mi convincono e ai quali non voglio sottostare. Immagino che molte persone abbiano qualcosa a cui non vogliono sottomettersi e possano reagire di conseguenza.

Jovanotti aveva consigliato a Vasco Brondi di non usare la parola “ruggine” nella canzone Estate addosso, perché i giovani oggi non sanno più cosa sia: buttano gli oggetti prima che arrugginiscano o li usano in plastica. L’ho trovato un po’ triste, perché la ruggine in qualche modo sa di fatica, resistenza e sacrifici. Cosa rappresenta per te la ruggine nella tua canzone?

Strano consiglio. Perché omettere una parola sottraendo loro la possibilità e la capacità di ricercarne il significato e la memoria che ne consegue? L’unico problema che mi sono posto, riguardo al titolo, era il richiamo a un album di Neil Young, mentre l’idea, nel suo complesso, mi è venuta leggendo Ruggine americana di Philipp Meyer. Nel testo, diversamente dalla tua bella suggestione sulla ruggine, ho voluto sottolineare qualcosa che si è sedimentato e ha ricoperto l’animo delle persone. Prendi questo ritorno del fascismo in pubblico, che in fondo non se ne è mai andato del tutto, non mi fa dormire, mi inquieta. Sembra di vivere con persone senza memoria, ostinatamente legate alla ricerca della normalità, poco inclini a sentirsi disturbate da queste cose che lasciano correre, come se fosse ininfluente quello che sta accadendo.  È un’emorragia che si deve culturalmente tamponare. Per me vale sempre quanto riportato sulla chitarra di Woody Guthrie: “This machine kills fascists”.

Che significa “essere felici è diventato un lavoro”?

Qualche anno fa mi è capitato di suonare per il Comitato degli esodati di Lodi. Prima di suonare alcuni di loro sono saliti sul palco a testimoniare la loro greve situazione. Potevi leggere nei loro volti l’amarezza e la disperazione ma anche tanta dignità. In qualche discorso trapelava la difficoltà di sentirsi normali anche in contesti semplici come una festa, un matrimonio o un compleanno. In qualche modo dovevano mostrare di stare bene, quel giorno sul mio taccuino mi ero appuntato la frase che poi è finita nel testo di Est. Erano senza lavoro, senza pensione, nell’attesa li ho immaginati impegnati a essere felici, come fosse un lavoro. Perché quando sei in difficoltà sale la paura e cominci a pensare che non ci sia più posto per la felicità. Alle loro vicende, nel disco, è dedicata la canzone Ruvida emozione.

“Io cerco ancora emozioni”, canti in Raccolgo idee: che funzione ha per te la musica da cantautore e che funzione ha come semplice ascoltatore?

È stato un lungo percorso quello che mi ha portato a Divertente importante. Mi sono ritagliato questo ruolo cantautorale con il tempo e la passione che dedico sempre ai miei progetti. Dei Groovers ho mantenuto intatte le mie radici e motivazioni, evolvendomi nella ricerca musicale perché amo mettermi in gioco e, senza prendermi sul serio, faccio tutto con molta serietà.  Raccontare storie, riflettere sulle medesime in modo collettivo attraverso le canzoni, sono i propositi del mio essere cantautore. Conosco i miei limiti, sui quali lavoro incessantemente perché voglio arrivare a fare le cose con leggerezza di spirito, abbinata al massimo impegno, per pubblicare canzoni che abbiano un loro spessore emotivo. Sto bene sul palco e ogni cosa che faccio mi piace farla con la chitarra in mano. Ho smesso da tempo di far parte di associazioni, partiti, club ecc. Come cantava Finardi “è normale che ci si sia rotti i coglioni di passare la vita in dibatti e riunioni”, ed erano gli anni ’70. Ecco, da qualche anno, chi mi chiama sa che io parlo attraverso le canzoni.  Come ascoltatore dico spesso che il rock’n’roll non mi ha salvato la vita ma sicuramente me l’ha cambiata, l’ha reso meno banale e mi ha spalancato le porte alla letteratura, ai film, all’arte in generale. A 14 anni ero un adolescente perso in un paesino di provincia sulle rive del lago. Prima i fumetti poi la musica mi hanno allargato gli orizzonti verso una vita senza confini da rispettare. Mi ricorderò per sempre il 1980 quando mi vennero in mano contemporaneamente London Calling dei Clash, The River di Springsteen, Boy degli U2 e Three Imaginary Boys dei Cure: per giorni fui in preda a un entusiasmo pazzesco. Avevo trovato qualcosa che mi aveva letteralmente ribaltato come un calzino. Poi, se non ricordo male, un paio di anni dopo, nel 1982, vi fu un numero del Mucchio Selvaggio con in copertina la scritta Sweet soul music, con un approfondimento sui cantanti della Stax, della Motown e delle etichette minori. Non c’era internet e la comunicazione globale avveniva unicamente con il cartaceo, e se fino a pochi anni prima il mio rock’n’roll era confinato tra Edoardo Bennato e l’hard rock degli AC/DC, in poco tempo mi presi il punk, il soul, il garage, la new-wave, gli anni cinquanta e sessanta: praticamente un diluvio. Non vorrei sembrare un cliché ma ho veramente imparato più da una canzone di tre minuti che dai libri di scuola. Poi negli anni i libri sono diventati il mio pane quotidiano e come ascoltatore non smetto di avere musica intorno. In casa, contrariamente a molte famiglie, abbiamo un solo televisore ma quattro stereo, più un’infinità di supporti multimediali per ascoltare musica. Amo il vinile per svariati motivi, tra i quali quello di obbligarmi ad avere del tempo per le operazioni che l’ascolto di un Lp richiede. Nelle canzoni cerco emozioni, come quando sento Joe Strummer intonare Redemption Song o Pierangelo Bertoli il brano A muso duro, ma anche divertimento come con i brani della Motown o il garage rock degli Hoodoo Gurus o dei Fleshtones. Mi confronto spesso con i miei tre figli, dico loro di indicarmi autori a me sconosciuti perché, pur avendo parecchio materiale, mi piace scoprire qualcosa di nuovo che mi possa ancora sorprendere.

Hai avuto riferimenti importanti nella musica americana: quali ascolti sono più vicini al Michele Anelli di oggi? Nell’album si passa da brani delicati a pezzi più rock, da cenni di melodie pop a pezzi più malinconici e al folk…

I Wilco su tutti. L’album Yankee Hotel Foxtrot ha lo stesso valore degli album che ti avevo citato prima. Mi ha dato nuovi stimoli che perdurano ancora oggi. Mi piacciono i National, i BRMC, Kiwanuka, gli Okkervil River, Charles Bradley, Fantastic Negrito e alcune cose di Glen Hansard. Ho tutti i dischi degli EELS, ho riscoperto Nick Cave, Tuttora cerco nei mercatini o sul web album funky soul degli anni Settanta o album del periodo new-wave/punk anni Ottanta che ho, all’epoca, registrato su cassetta. Mi piace andare avanti e indietro nella musica, capire il presente ascoltando il passato. Capita a volte che i ragazzi mi fanno ascoltare qualche brano nuovo e io, di rimando, gli faccio ascoltare chi mi ricorda. Perché c’è un ponte che collega le anime musicali ed è un aspetto che ho sempre amato.

Ci sono nomi italiani, al di fuori dei cantautori storici, che stimi?

Ho avuto l’opportunità di produrre il lavoro solista d’esordio di Enrico Maio Maiorca, cantante della stoner band Il Vile. Un disco in italiano con atmosfere alla Nick Cave, Lanegan e deviazioni sonore molto intriganti. Ora suono con lui anche dal vivo e ho trovato stimolante essere in un ruolo diverso da quello a cui sono abituato. I Rumor, la band di mio figlio Elia, finalista a Sanremo giovani del 2015, nella stessa edizione con Ermal Meta e Francesco Gabbani. Un’edizione tutt’altro che semplice considerato poi che Meta e Gabbani, nei successivi anni, hanno vinto praticamente tutto. I Rumor hanno ottime caratteristiche pop rock e vantano un’ottima esperienza live, tempo fa fecero anche un tour in Irlanda. Mi è piaciuto il disco d’esordio di Cri e Sara Fou, con la scelta di un album acustico originale dai suoni soffusi e dalle melodie che più le ascolti e più si fanno interessanti. Massimiliano Cremona, un cantautore capace di ballate molto suggestive. Evasio Muraro, Gang e Yo Yo Mundi per citare artisti con i quali ho condiviso percorsi similari. L’ultimo di Niccolò Fabi, Una somma di piccole cose, l’ho trovato molto bello. Mi è piaciuta la semplicità delle canzoni e i testi che, mi sento di dire, sono di ottimo livello. Comunque per me non è semplice ascoltare musica italiana, il mio background pesca altrove. Sono consapevole che le mie canzoni non percorrono melodie nostrane anche se, nei primi due album in italiano, c’è chi ha sentito un mix tra Neil Young e Lucio Battisti. Di Young ho praticamente quasi tutta la discografia mentre conoscevo pochi brani di Battisti e, attraverso il mercato dell’usato, ho recuperato una cospicua parte della sua produzione per capire cosa hanno sentito altri di me, prima di me. Penso abbia influito la mia ricerca personale sul cantato, su come utilizzare la voce in italiano e, sperimentando, mi sono avvicinato a un artista capace di andare oltre agli schemi classici.

Sei al momento in tour: come descriveresti un tuo concerto in tre aggettivi?

Coerente, passionale, sincero.

 

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