Jazz • Biografie

Charlie Parker

1920-2020 cento anni con 'Bird'
Tributo al genio della storia del jazz.

30/06/2020

Il centenario della nascita di Charlie "Bird" Parker non poteva non stimolare un omaggio per un artista da rubricare tra i primi cinque geni assoluti della storia del jazz. Per questo motivo la testata ha deciso di offrire un piccolo dossier relativo alla sua arte.

L'intento non é certamente quello di essere esaustivi; molto é stato scritto da autori che hanno dedicato anni allo studio del corpus parkeriano per cui sarebbe velleitario pensare di proporre trattati aggiuntivi.

Con questa iniziativa Mescalina intende mettere a disposizione alcune riflessioni utili soprattutto a chi é interessato ad accostarsi all'arte di Parker dando qualche indicazione che eviti di disperdersi. Il contributo é articolato nelle seguenti sezioni consultabili in modo indipendente:

BIOGRAFIA CHARLIE PARKER
a cura di Vittorio Formenti

Charlie Parker nasce il 29 agosto del 1920 a Kansas City “dalla parte sbagliata della ferrovia”, un ambiente che molto facilmente portava alla delinquenza: il ghetto nero. Suo padre era un pianista, cantante, ballerino che conduceva una vita irregolare e dissipata. La madre, un’infermiera minorenne, viene presto abbandonata dal consorte.

A 7 anni si trasferisce con la famiglia nella Kansas in Missouri e inizia a frequentare la scuola che però abbandona a 14 anni. Purtroppo già in questo periodo Parker ha il suo primo contatto con la droga; a 12 anni inizia a fumare, a tredici prova la benzedrina, a 14 la marijuana e a 15 compie il passo che l’avrebbe rovinato per sempre: inizia ad iniettarsi eroina.

Charlie incomincia a suonare e nel 1935 lo si trova con la tuba, il corno baritono e poi il clarinetto; il sassofono arriva come regalo di sua madre per la passione dimostrata verso un programma radiofonico di Rudy Valle, cantante che suonava anche il sax. Ma la lezione non è quella di Valle; Charlie cresce con l’esempio di Buster Smith e di Lester Young anche se poi dichiarerà di non averne avuto alcuna influenza.

In quegli anni Kansas City era un paradiso per il jazz; Count Basie, Andy Kirk ed altri dirigevano orchestre importanti nelle quali militavano solisti come Ben Webster.

Nel novembre Parker 1935 debutta con esibizioni più o meno saltuarie e nel 1936 si sposa per la prima volta; la moglie si chiamava Rebecca Ruffin di 4 anni maggiore.

L’incontro più importante di quel periodo è quello con Buster Smith, buon clarinettista ed altosassofonista che sperimentava varie innovazioni come quella di suonare in doppio tempo (due volte il gruppo di note che ci si aspetterebbe di sentire in un dato numero di battute). Charlie lavora con Smith nel 1937 ed immediatamente emula il collega a cui si affeziona tanto da arrivare a chiamarlo “Dad”.

Nel 1939 Parker si reca a New York ove all'inizio si adatta a fare lo sguattero per sopravvivere; vi rimane per parecchi mesi suonando anche senza compenso. In questo periodo suona in jam informali anche con il grande Charlie Christian che, come lui, si esibiva in lunghi, scorrevoli e melodici assoli.

Nel 1940 Bird torna a Kansas City e si unisce all'orchestra di Jay McShann con il quale incide i suoi primi dischi. In uno di quei pezzi, “Hootie Blues”, Parker dimostra la sua capacità in tempi lenti tradizionali nello stile blues che maneggerà sempre in modo ammirevole.

Nel 1942 a New York, ancora con McShann, registra un altro suo arrangiamento, “Sepian Bounce”, che esemplifica i progressi compiuti verso quel nuovo stile che sarà denominato be-bop. In un altro pezzo registrato nella stessa seduta, “Jumpin’ Blues”, Charlie inizia un a solo con una sequenza di note a movimento ascendente che saranno più tardi incorporate in una fra le sue più famose composizione: “Ornithology”.

Parker entra poi a far parte di un gruppo di musicisti che voleva creare idee armoniche nuove, difficili ed intricate; questo in parte per il piacere della creazione ed in parte per tener lontano i meno dotati. Il gruppo era composto da Max Roach (batteria), Dizzy Gillespie (tromba), Bud Powell (piano), Tadd Dameron (piano), Thelonious Monk (piano), Charlie Christian (chitarra), John Simmons (basso) e Joe Guy (tromba). Questi strumentisti suonavano principalmente al Minton’s, locale di Harlem, che ben presto diventa il crogiuolo delle nuove tendenze jazz.

Nel frattempo anche nell’orchestra di Earl “Fatha” Hines si sviluppavano nuove idee. Hines era tentato di assumere Parker ma esitava a sottrarre un buon elemento al gruppo dell’amico McShann; questi però gli risponde che prima se lo portava via meglio era. La sera prima Parker era addirittura svenuto sul palco.

Parker entra quindi a far parte del gruppo di Hines nel 1943 suonando però il sax tenore e non il suo solito sax alto. Qui ha modo comunque di dimostrare le sue qualità e di sviluppare le sue idee in consonanza con quelle di Hines; la musica che eseguivano era caratterizzata da linee melodiche veloci e penetranti, da un ringiovanimento armonico di vecchi motivi, da un senso ritmico non più dominato dal pesante schema di quattro accenti per battuta che dominava la struttura swing.

L'uso di stupefacenti da parte di Parker tuttavia causava un gran numero di problemi a Hines. Molti gli spettacoli a cui mancava, in altri arrivava in ritardo o cadeva addormentato sul più bello.

Parker lascia l'orchestra e torna immediatamente al sax alto suonando a Washington in un combo guidato da sir Charles Thompson, poi lavora brevemente per i complessi di Cootie Williams ed Andy Kirk prima di recarsi a Chicago con l’orchestra di Carroll Dickerson.

Nel frattempo il cantante Billy Eckstine aveva lasciato l’orchestra di Hines per organizzare un suo ensemble orientato alle nuove tendenze. Porta con sé giovani musicisti quali Sonny Stitt, Fats Navarro, Dexter Gordon, Gene Ammons, Art Blakey e naturalmente Charlie Parker e Dizzie Gillespie. A dividere la parte vocale con Eckstine c’è Sarah Vaughan.

La nuova musica viene apprezzata all’interno degli States e soprattutto a New York ma é del tutto rifiutata nel West e nel Sud, dove si continua a preferire il blues.

Parker resta con Eckstine per circa un anno ed in quel periodo non incide nemmeno un disco.

Il 1945 é l’anno in cui il bebop esplode e tutto ruota attorno a Gillespie ed a Parker. Le prime registrazioni sono del 1945 sotto la guida di Gillespie per una nuova etichetta, la Guild Records, rapidamente chiusasi poi per il suo carattere troppo avanzato. Da questa casa nascono poi la Musicraft e la Savoy.


Della prima seduta sono “Groovin’ High” , “Dizzy Atmosphere” e “All The Things You Are” con la sezione ritmica però non bebop.

Nella seconda sessione, tre mesi più tardi, i due sono sostenuti da Al Haig, un pianista bop, dal bassista Curley Russell e dal grande batterista Sid Catlett, capace di adattarsi ad ogni genere. Ne nascono brani fondamentali quali “Shaw ‘Nuff”, “Lover Man” e “Salt Peanuts”.

Parker registra per la prima volta come leader per la Savoy; con lui il giovane Davis, Roach (batteria) e Russell (basso); Dizzy suonava il piano. Nascono “Billie’s Bounce” e “Now’s The Time”, brani basati su di una frase blues ed entrambi destinati ad entrare nella storia del jazz, nonché "Koko", uno dei suoi capolavori.

Con l’anno nuovo, 1946, arrivano diversi problemi. Un ingaggio ottenuto al “Billy Berg’s” di Hollywood si traduce in un disastro. Il pubblico della California non era ancora pronto per il bebop.

Nel frattempo firma un contratto con la Dial, nuova casa aperta da un appassionato di jazz, Ross Russell. La prima seduta con Miles Davis, Lucky Thompson ed una sezione ritmica locale include pezzi destinati a diventare famosi quali “Ornithology”, “Moose The Mooche” e “Yardbird Suite”.

Inizia anche una collaborazione con Norman Granz e la sua casa, la Verve, ma la sua salute va peggiorando.

Durante la seconda sessione per la Dial, il 29 luglio del 1946, le sue braccia e le sue gambe sono scosse da forti tremiti e si ricorda la difficoltà nell’incidere “Lover Man”. Charlie ha sempre ritenuto quel brano il peggiore della sua carriera e non perdonava a Russell di averglielo fatto incidere; tuttavia tanta era l’ammirazione che destava che i nuovi musicisti copiavano nota per nota quel pezzo ripetendo anche i passaggi e le entrate sbagliate.

Quella sera finisce tragicamente; al rientro in albergo dà fuoco alla camera e poi, completamente fuori di sé, esce nudo per il corridoio. Chiamata la polizia Parker é arrestato. Droga ed ostracismo musicale lo avevano fatto saltare; ne segue un ricovero nella clinica psichiatrica Camarillo State Hospital appena fuori Los Angeles.

Dopo sette mesi di cure é dimesso in discrete condizioni e affidato alla custodia di Ross Russell.

Questi ed alcuni amici organizzano un concerto per raccogliere dei fondi con i quali acquistare alcuni vestiti, un sassofono nuovo e il biglietto per tornare a New York.

Prima di partire Parker registra un meraviglioso disco nel febbraio del 1947 con musicisti a lui molto affini e vicini; Howard McGhee alla tromba, Wardell Gray al sax tenore, Dodo Marmarosa al piano, Barney Kessel alla chitarra, Red Callender al basso, Don Lamond alla batteria. Ne nasce un celebre pezzo costruito su di una fase blues e composto in taxi recandosi agli studi di incisione, “Relaxin’ At Camarillo”, più altri tre brani.

Nei due anni successivi a New York Parker é diviso fra i concerti, la maggior parte per Granz, e gig nei club di ispirazione bop dove si esibiva con il suo quintetto comprendente Miles Davis (più tardi Kenny Dorham o Red Rodney) alla tromba ed una sezione ritmica composta dai migliori boppers del momento, sia neri che bianchi.

Nel novembre del 1949 incide il noto lavoro con l'intervento di archi, fatto al tempo molto raro. Vi erano due violini, una viola, un oboe e la sezione ritmica. Compaiono standard come “Summertime” e “April in Paris”; la cosa migliore é probabilmente l’unico pezzo eseguito a tempo piuttosto veloce, “Just Friends”, un capolavoro di improvvisazione collettiva.

Durante questo periodo di relativa calma Charlie, benché non ne fosse un profondo conoscitore, si interessava molto alla musica classica; amava ascoltare i dischi di Schonberg, Stravinski, Sostakivoc, Debussy e Bartok. La sua era una mente poliedrica ed ironica.

Il nome di Bird era diventato così noto che fu aperto un locale con il nome a lui dedicato, ilBirdland”.

Dal 1950 in poi i buoni momenti diventano sempre più rari. Nel dicembre del 1950, di ritorno da Parigi, viene ricoverato d’urgenza per un attacco di ulcera e operato.

Fallisce anche il matrimonio con Doris, nonostante gli sforzi di lei per tenerlo lontano dagli spacciatori di droga e dai profittatori del sottobosco newyorkese.

Senza divorziare da Doris, Charlie va a vivere con una brunetta di nome Chan Richardson dalla quale ha due figli; una bambina, Pree, nel 1951, ed un bambino, Baird, l’anno dopo. Bird si rivela un padre affettuoso e molto orgoglioso della sua prole.

Tra il 1948 ed il 1950 incide parecchi dischi con l’orchestra di Machito, che tentava di unire il jazz ad elementi afro-cubani. Occasionalmente suona ancora con Gillespie in quintetto nel 1950 (con Monk, Russell e Rich) ed in un celebre concerto in Canada nel 1953 sempre con Dizzy, Bud Powell, Charlie Mingus e Max Roach.

A quell’epoca inizia il declino. Il “Birdland” continuava ad ingaggiarlo di tanto in tanto ma ad un certo punto il proprietario, dopo una serie di incidenti spiacevoli, lo mette al bando proibendogli di entrare anche come cliente. Il colpo peggiore é però la morte della figlia, avvenuta nel 1953; dopo questo fatto lo stimolo all’autodistruzione si fa più forte.

Più volte ricoverato nel 1954 gli viene diagnosticata una tendenza paranoica ed una schizofrenia latente.

Si sposta con Chan a New Hope, un paesino della Pennsylvania e lì vive l’ultimo periodo di quiete.

Compare a New York nel 1955 grasso e gonfio con gli occhi cisposi.

Dimenticando il vecchio astio è assunto dal “Birdland” per due serate con un quintetto formato da Kenny Dorham, Bud Powell, Art Blakey e Charlie Mingus. In presenza del pubblico litiga con Powell.

Poco tempo dopo ottiene un ingaggio a Boston e prima di partire decide di fare visita alla baronessa Pannonica de Koenigswarter, appassionata di jazz ed amica di molti musicisti.

Le condizioni di Bird peggiorano rapidamente; un dottore, chiamato dalla baronessa, lo invita a farsi ricoverare immediatamente all’ospedale ma Bird rifiuta e rimane ospite della nobile amica.

Il 12 marzo 1955 Charlie sembra migliorare e si alza per assistere ad un programma televisivo dei fratelli Dorsey. Nel programma compaiono dei giocolieri e Bird si mette a ridere; alzatosi in piedi ricade sulla poltrona e muore.



Per due giorni la stampa non fa menzione della notizia. Come ultimo grottesco dettaglio il rapporto sulla sua morte gli attribuiva 53 anni invece dei suoi 35.

IL LASCITO ARTISTICO
a cura di Vittorio Formenti

Charlie Parker rappresenta senza dubbio una pietra miliare nella storia del jazz. Si ricorda al riguardo una celebre frase che Mingus pronunciò all'indomani della morte di Bird: " La maggior parte dei solisti al Birdland dovevano aspettare il prossimo disco di Parker per sapere che cosa avrebbero dovuto suonare. E adesso cosa faranno?".

L'affermazione riassume perfettamente il ruolo di riferimento che Parker ebbe sia nella definizione di nuove idee che nella codifica della prassi per il suo strumento. Come per Davis nella tromba dopo di lui nessuno poté prescindere dalla sua lezione.

La concezione musicale

Parker mosse i suoi primi passi nel contesto di Kansas e quindi con un background fortemente intriso di tradizione folklorica, di blues e di caratterizzazioni ritmiche. La frequentazione di Buster Smith gli fece nascere l'interesse per i tempi doppi, quindi più veloci rispetto alle cadenze standard, mentre gli ascolti (e gli studi) di Lester Young lo portarono verso nuovi approdi in termini sia stilistici che di finalità del fatto musicale.

Con lui e con gli altri artisti del bop il jazz abbandonò quella caratteristica da ballroom predominante negli anni '30 e divenne musica per ascolto che poteva essere fruita su più piani: quello istintivo, facilitato dalla travolgente ritmica delle nuove composizioni, fino a quello più analitico, giustificato dalle strutture e dalle sintassi improvvisative decisamente più sofisticate rispetto agli standard predominanti.

Per Parker la musica era un fenomeno naturale, quasi biologico, in cui esprimeva tutta la sua natura ribelle (non si cada nell'equivoco di ritenere il personaggio un nichilista), il suo interesse per tutto quello che poteva essere vissuto (ogni cosa e il contrario della stessa), la profondità dei suoi interessi (ebbe sempre una mente molto duttile e ricettiva) e la robusta connessione con l'antropologia afroamericana.

Ne consegue un corpus che va al di là di uno stile pur rimasto indelebile (il bebop) e che forse fu formalmente meglio codificato da altri; al genere si unisce una profondissima dimensione umana chiaramente percepibile in tutta la sua ricchezza ma anche in tutta la sua problematicità. Emblematica é la celeberrima registrazione di "Lover Man" del 29 luglio 1946 negli studi della Dial; Bird stava malissimo e l'esecuzione chiaramente riflette quello stato ma, paradossalmente, per quanto precaria divenne emblematica e rimase in qualche modo un canone di riferimento proprio per l'espressività che rese, involontariamente, di una realtà complessa e profonda.

Per questi motivi accostarsi a Parker impone un minimo di conoscenza della sua vita pena smarrire, o peggio ancora fraintendere, il senso della sua arte. Lo disse Parker stesso: "Suonare é vivere e viceversa / Suonare per vivere e viceversa..."

Lo stile

L'essenza dello stile di Parker si basa ovviamente sul linguaggio del bebop caratterizzato da frasi veloci, da temi non sempre immediatamente cantabili, da progressioni armoniche inusuali, da variazioni inattese e non di rado sorprendenti.

Tuttavia da questo punto di vista l'arte di Gillespie é probabilmente più esemplificativa; Parker non é solo e non è tutto bebop.

Di fondamentale rilievo é il suo approccio all'improvvisazione che propone diversi aspetti del tutto peculiari all'artista:

  1. la gestualità intesa non nel senso di spettacolarità o di gigioneria. Parker spesso suonava immobile sul palco e preferiva lasciare le evoluzioni alla sua musica. Per gestualità qui si intende la capacità di evocare nell'ascoltatore reazioni fisiche (battere il piede, scuotersi, muoversi...) ma anche empatia psicologica. Bird aveva una capacità quasi unica nel variare il mood trasmesso dalle sue improvvisazioni con frasi allegre poi virate al drammatico, retoriche commutate in scherzoso, rapide seguite da pause, ascendenti e poi vertiginosamente calanti. Sono elementi non codificabili in una teoria rigorosa, appartengono strettamente allo specifico dell'artista tanto che nemmeno i suoi migliori seguaci, come Criss o Stitt, riuscirono a seguire il maestro su questa strada;

  2. l'ampia gamma di elementi sintattici base che usava negli assolo allo scopo di creare punti di arrivo o di ripartenza piuttosto che di richiamo ad un ordinato ascolto. Qui si tratta di brevi frasi (o meglio licks) inseriti qua e là che ben rendono l'idea di quello che frullava nella testa dell'artista, testimoniando che si trattava di tutt'altro che di idee strampalate. Questo fatto strutturale compendia, e in qualche modo compensa, l'apparente carattere selvaggio che potrebbe conseguire alla pura gestualità di cui sopra conferendo un senso progettuale, o quanto meno di consapevolezza, alle esecuzioni;

  3. il carattere di discontinuità ritmica, funzionale sia alla già citata gestualità che anche a quella concezione musicale assai lontana dalla musica da ballo ma indirizzata ad una comunicazione più complessa del fatto artistico e vitale. Parker é un maestro nell'uso delle pause, delle terzine, dei tempi veloci, degli arpeggi e degli appoggi al punto di creare un linguaggio assolutamente inconfondibile e per questo coinvolgente;

  4. la capacità citazionale. Non di rado Parker inseriva, in modo più o meno percettibile, riferimenti a brani di terzi allo scopo di enfatizzare messaggi al pubblico amplificando in questo modo aspetti scherzosi o anche di referenza, come quando riprendeva lacerti di musica colta europea della quale fu sempre grande ammiratore.

Queste caratteristiche sono del tutto generali nell'opera di Bird; alcuni esempi specifici sono riportati nel capitolo a parte "Charlie Parker - Top Ten".

Si diceva però che Parker non é solo né tutto il bebop. La sua caratteristica principale resta un'innovazione che rimane comunque debitrice di quel patrimonio tradizionale della natia Kansas e, ancor più, della tradizione afroamericana.

Bird fu un ponte tra due epoche e visse completamente il passaggio da una sponda all'altra mantenendo sempre dei riferimenti ai suoi punti di partenza; la transizione dal rurale al metropolitano non lascia fratture nel suo repertorio, l'analisi del suo lascito non può e non deve separare queste componenti come se appartenessero a fasi rigidamente distinte.

Il blues é l'anello fondamentale che permette la convivenza genetica tra queste due dimensioni apparentemente contrastanti.

Non si tratta solo di un fatto di stile formale ma, soprattutto, di un retroterra che permette la convivenza tra una dimensione di gruppo, comunitaria, e un'espressione individuale che diventa manifestazione di una vera e propria antropologia.

Per questo motivo restano di particolare interesse anche le sue prime registrazioni con McShann e quelle successive con gli ensemble di Hines ed Eckstine.

Un bell'esempio lo si può avere nell'ascolto dell'assolo di Parker in "Jumpin' Blues" eseguito con l'orchestra di Jay McShann nel 1940. Il bebop non era ancora arrivato, il pezzo aveva un imprinting base tradizionale e l'esecuzione dell'ensemble rispetta questa matrice di fondo. Parker però quando interviene in sole 12 battute espone una parte talmente diversa che alla fine dell'ultima battuta il cantante entra "di forza" per riportare il pezzo al suo canone usuale.

L'episodio dimostra in modo efficace l'evoluzione che aveva inizio permettendo un confronto, all'interno dello stesso brano, con gli stilemi che stavano per essere superati ma non abbandonati.

Alcune occasioni mancate?

Nell'ultima parte della sua carriera Bird si accostò anche ad altre esperienze. Nel tumulto dei suoi interessi si sentiva attratto dalla musica occidentale alla quale si accostò, con maggiore o minore continuità ed organicità, fin dagli inizi degli anni '40.

Inizialmente si interessò molto a Bach, nel quale ritrovava pattern utili anche al proprio processo creativo. Siamo tuttavia ben lontani da influenze, sincretismi o rielaborazioni; molto più realistico pensare ad approfondimenti condotti per propria cultura generale e preparazione di base.

Successivamente si interessò agli impressionisti, quali Debussy e Ravel, nonché agli espressionisti della seconda Scuola di Vienna per arrivare ad un vivo interesse all'arte di Stravinskij. Questa evoluzione, intercorsa nella seconda metà degli anni '40 e favorita dai contatti che ebbe con Gil Evans, portò Bird a concepire la possibilità di dar vita a una nuova tendenza del jazz; superare il Bebop verso linee compositive solide e vive che guardassero ad uno spettro più ampio. Convinto di questo Parker rifiutò di partecipare al progetto "Birth of the Cool" di Evans / Davis che, a suo dire, non andava nella direzione da lui desiderata.

L'intento rimase tuttavia sulla carta o poco più. A parte l'esperienza con l'ensemble d'archi, concessa da Granz a fine anni '40 ma sostanzialmente basata su standard pop, e qualche citazione inserita qua e là con richiami del Firebird o di qualche altro lavoro di matrice europea, non si consuntiva nulla di significativo. Era ormai il periodo del declino e in parallelo altri artisti quali Tristano e Kenton stavano percorrendo in modo organico questi sentieri.

Resta, nella sua fase finale, un più compiuta esperienza di contatto con la musica afro-cubana ben documentata nelle pubblicazioni della Verve. Non priva di qualche elemento di interesse, anche per via del sodalizio con la celebre orchestra di Machito, questa parte viene approfondita nel capitolo specifico "Charlie Parker - South of the Border".

CHARLIE PARKER - TOP TEN
a cura di Pietro Cozzi

Groovin' High (Dizzy Gillespie)

New York City, 28/2/1945

Charlie Parker (sax alto), Dizzy Gillespie (tromba), Remo Palmieri (chitarra), Clyde Hart (piano), Slam Stewart (contrabbasso), Cozy Cole (batteria)

Il bebop è frutto della creatività di musicisti con un solido apprendistato nelle big band della swing era, come i “dioscuri” Parker e Gillespie, che in quei contesti affollati si guadagnano la pagnotta e intanto fanno germogliare la Rivoluzione. Dizzy fu in particolare l'architetto delle prime sedute che segnarono uno scarto decisivo rispetto ai canoni tradizionali, e ancora dopo la spettacolare fiammata della breve parabola parkeriana continuò a lavorare sull'evoluzione del nuovo linguaggio. In Groovin' High il trombettista, che è alla guida di un sestetto, prende in prestito gli accordi di una vecchia canzone (“Whispering”). Il brano ha un'introduzione scritta, seguita da chorus di varie lunghezze e una coda a tempo dimezzato. Parker addenta e rilascia, con sommo piacere, la giugulare dell'ascoltatore lasciando brevi silenzi tra una frase e l'altra. Gillespie sembra già straordinariamente maturo: il groove che si arrampica ad alta quota e lo scintillante buonumore che si respira sono soprattutto roba sua, anche se il finale regala un lirismo inaspettato. Il drumming suona ancora pesantemente swing eppure non ci si fa quasi caso.

Hot House (Tadd Dameron)

New York City, 11/5/1945

Charlie Parker (sax alto), Dizzy Gillespie (tromba), Al Haig (piano), Curly Russell (contrabbasso), Sydney Catlett (batteria)

Tra marzo e luglio 1945, per quattro mesi e mezzo Parker e Gillespie si divisero il palco del Three Deuces, il locale sulla Cinquantaduesima Strada dove notte dopo notte affinavano la loro millimetrica telepatia e i loro assoli esuberanti. Da quel crogiuolo di creatività nacquero diverse incisioni, tra cui questa Hot House, scritta in origine del pianista di Cleveland Tadd Dameron. È un brano a tempo medio, che si apre con il lungo girovagare a spirale del tema, di derivazione ancora molto tradizionale. Su di esso Parker innesta il racconto del suo assolo che allinea fraseggi più esplicitamente narrativi, dalla trama lineare, a bozzetti improvvisati e salti di senso dove ci sfida a seguirlo. Le metafora del racconto fu usata dallo stesso Bird in un'intervista radiofonica del gennaio 1954: “Ci sono tantissime storie e storie e storie che possono essere raccontate nella lingua musicale (…). Può essere molto descrittiva, in tutti i modi, e per tutte le estrazioni sociali”.

Koko (Charlie Parker)

New York City, 26/11/1945

Charlie Parker (sax alto), Dizzy Gillespie (tromba e piano), Sadik Hakim (piano), Curly Russell (contrabbasso), Max Roach (batteria)

Se c'è un manifesto artistico del bebop questo è Ko-Ko, che fu la prima matura dichiarazione d'intenti del nuovo stile. Parker concepì il brano “ruminando” a lungo la sequenza di accordi di Cherokee, un brano di Ray Noble su cui improvvisava negli studi della Savoy senza trovare via d'uscita. Fino all'illuminazione: “Mi accorsi che impiegando come linea melodica gli intervalli più alti degli accordi, mettendovi sotto armonie nuove, abbastanza affini, stavo suonando improvvisamente ciò che per tutto quel tempo avevo sentito dentro di me”. L'originalità nell'esposizione del tema è lontanissima dagli schemi tradizionali e a 75 anni di distanza non ha perso un'oncia della sua modernità: il preambolo da otto battute all'unisono dei due fiati è seguito da due brevi improvvisazioni del sax e della tromba, da otto battute ciascuna, per poi tornare all'unisono. L'atmosfera che si respira è di febbrile urgenza, di ansiosa concitazione. Come un mosaico bizantino, l'assolo di Parker riluce di mille tessere luminose, mischiando raffiche di ritmo, brevi frasi ripetute e trasposte, allusioni e citazioni, come quella da High Society, un classico dello stle New Orleans. Nonostante il suo fraseggio viaggi a velocità supersonica, il sassofonista riesce a conservare un alto grado di cantabilità e melodicità, in coerenza con quello che diventerà un topos del suo stile. Dulcis in fundo Koko concede lo spazio di un tonante assolo anche a Max Roach che sembra già pienamente consapevole del nuovo ruolo della sezione ritmica nel bebop.

Now's The Time (Charlie Parker)

New York City, 26/11/1945

Charlie Parker (sax alto), Miles Davis (tromba), Sadik Hakim (piano), Curly Russell (contrabbasso), Max Roach (batteria)

Incisa in diverse altre occasioni Now's The Time diventerà uno dei brani più noti nel catalogo di Parker, il suo tema più riconoscibile e la sigla perfetta per qualsiasi celebrazione postuma del grande sassofonista di Kansas City. È un blues in Fa a tempo medio, uno dei due che caratterizzano la seduta del novembre 1945 (l'altro è Billie's Bounce, molto più complesso). L'introduzione del piano e del contrabbasso crea un senso di sospensione e di attesa, subito smentito dal tema, basato su un semplice riff, caldo e familiare come una tazza di tè. Bird si muove tra le ammalianti spire del blues senza però rinunciare alle sue consuete volate e alle frasi icastiche. Il giovane Davis, che gli succede nella progressione degli assoli, si concentra per contrasto su un maggior lirismo anche se senza troppa convinzione.

Ornithology (Charlie Parker-Benny Harris)

Hollywood, 28/3/1946

Charlie Parker (sax alto), Lucky Thompson (sax tenore), Miles Davis (tromba), Dodo Marmarosa (piano), Vic McMillan (contrabbasso), Roy Porter (batteria)

Gli ammiccamenti al nomignolo di Parker non si contano nel catalogo di composizioni del sassofonista e questa Ornithology, incisa per la Dial di proprietà del suo biografo Ross Russell, è uno degli esempi più clamorosi, un piccolo trattato di ornitologia in piena regola in cui i “versi” dei fiati si arricchiscono con il tenore di Lucky Thompson. Il brano testimonia la consueta pratica del mascheramento che prevede il riutilizzo di una sequenza di accordi già nota per costruirci sopra una melodia diversa, seguendo un sistema che permetteva di sfuggire anche all'obbligo di pagare il copyright: qui la base è How High The Moon. Il tema all'unisono è una travolgente sequenza ad alta velocità dove le frasi si accavallano come le onde di un mare in tempesta. Dopo uno stacco del piano, e il ritorno dell'unisono, le voci dei diversi strumenti ripetono la stessa breve frase, echeggiando i versi degli uccelli. Un acquarello delicato e pieno di humour, che rimarrà immortale.

Lover Man (Jimmy Davis, Roger Ramirez, James Sherman)

Hollywood, 29/7//1946

Charlie Parker (sax alto), Howard McGee (tromba), Jimmy Bunn (piano), Bob Kesterson (contrabbasso), Roy Porter (batteria)

Lover Man è un viaggio allucinato nel cervello e nelle viscere di un musicista, la cronaca di uno strenuo duello che si combatte sul filo sottile che separa l'arte inarrivabile di Bird dalle sue debolezze e dipendenze, la creatività dalla malattia mentale. Al termine della seduta Parker è vittima di un crollo nervoso, dà in escandescenze e appicca il fuoco alla sua stanza d'albergo con conseguente ricovero forzato all'ospedale psichiatrico di Camarillo. Questo terribile epilogo ha impedito a lungo un giudizio sereno sul reale valore di Lover Man, un brano alternativamente stroncato per manifesta incapacità del suo protagonista e mitizzato in nome di un inevitabile culto del “maledettismo” postumo. Parker fa fatica a tenere il passo degli altri, soprattutto nel finale, ma riesce comunque a sublimare il suo stato psico-fisico attraverso un'interpretazione ricca di fascino perverso, che stride con il romanticismo della canzone originale. È come un pugile che barcolla ma non cade mai, e anzi riesce a tirar fuori ancora qualche buon colpo – o a versare un'altra stilla di bellezza – ogni volta che riprende il filo del discorso.

Embraceable You (George Gershwin)

New York City, 28/10/1947

Charlie Parker (sax alto), Miles Davis (tromba), Duke Jordan (piano), Tommy Potter (contrabbasso), Max Roach (batteria)

Dopo la precaria “ripulitura” di Camarillo e il ritorno a New York il '47 e il '48 sono anni molto fecondi per Parker, quelli in cui raccoglie in abbondanza i frutti del suo talento ormai giunto alla piena maturità. Per questa seduta della Dial va in scena il quintetto con cui si esibiva al Three Deuces, in cui è autorevolmente spalleggiato da Davis e Roach. Tra i sei brani incisi, probabilmente di nuovo sotto l'effetto dell'eroina, spicca questa popolare canzone di George Gershwin in forma ABAC, un mirabile esempio di un Parker a tempo lento ma ad altezze indiscutibilmente sue. Il chorus del sax, accompagnato dalla linea di basso walking e dalle spazzole della batteria, alterna citazioni da altre canzoni, frasi su registri alti, tempi raddoppiati e alcuni classici lick della casa. Per due minuti si resta immersi in un'atmosfera intima e ruvidamente romantica, che però non perde mai la sua vitalità e il senso di una continua ricerca; a seguire, Davis con la sordina riporta tutto su binari più ordinatamente cantabili.

Parker's Mood (Charlie Parker)

New York City, 18/9/1948

Charlie Parker (sax alto), John Lewis (piano), Curly Russell (contrabbasso), Max Roach (batteria)

Originario di Kansas City, Bird fu plasmato in profondità dalla tradizione e dallo spirito del blues, al punto che il suo primo bandleader Jay McShann, anch'egli uomo del sud, lo battezzò come “il più grande suonatore di blues al mondo”. Parker's Mood è un sobrio e inaspettato ritorno alle radici, un brano lento e carico di soul, dalle qualità quasi vocali. Eppure un tema vero e proprio non c'è, sostituito da un'imperiosa enunciazione, uno “statement” che poi ritroveremo in coda, seguito da un breve passaggio di John Lewis, il futuro fondatore del Modern Jazz Quartet. Parker lavora poi per tre chorus su un canovaccio squisitamente blues che però arricchisce con rapide sequenze astratte, arpeggi ripetuti, improvvise accelerazioni, dimostrando che si può omaggiare la tradizione e al contempo flirtare con la modernità e la complessità, senza tradire lo spirito primigenio della musica del diavolo. E anche in un pezzo dove il tempo sonnecchia e la rinuncia ai virtuosismi è programmatica, il cervello del nostro eroe sembra muoversi a una velocità doppia rispetto ai maestri dell'era swing.

Just Friends (John Klenner-Sam Lewis)

New York City, 30/11/1949

Charlie Parker (sax alto), Mitch Miller (oboe), Max Hollander e Milton Lomask (violini), Frank Brieff (viola), Frank Miller (violoncello), Myor Rosen (arpa), Stan Freeman (piano), Ray Brown (contrabbasso), Buddy Rich (batteria), Jimmy Carroll (arrangiamenti e direzione d'orchestra)

È il Parker più borghese e inevitabilmente sottovalutato, soprattutto all'epoca della pubblicazione: l'idea di ingabbiare l'eruzione di creatività del sassofono che guida l'avanguardia della musica afroamericana dentro la cornice di un'orchestra suscitò qualche perplessità tra i puristi. Eppure il regista dell'operazione, il produttore e imprenditore discografico californiano Norman Granz, realizzò un desiderio che Bird covava da tempo: quello di suonare facendosi accompagnare da una sezione di archi. Ne scaturirono, tra il 1949 e il 1950, due sedute di registrazione e due dischi per la Mercury, entrambi con il titolo di “Charlie Parker with Strings”, di cui questa Just Friends è un prezioso e delicato frammento. Il fraseggio del sax alto veleggia libero e rilassato sulla base degli archi, e il matrimonio tra i due timbri non potrebbe essere più riuscito, dando vita a un capolavoro di facile ascolto e altissimo tasso qualitativo. La formula “with strings” avrà successo e verrà replicata da altri jazzisti di primissima fascia.

Bloomdido (Charlie Parker)

New York City, 6/6/1950

Charlie Parker (sax alto), Dizzy Gillespie (tromba), Thelonious Monk (piano), Curly Russell (contrabbasso), Buddy Rich (batteria)

Bloomdido è il classico brano da bopper, freschissimo e scoppiettante: siamo alla fine del decennio, la “new thing” ha trovato una sua forma canonica e si muove ormai con spudorata sicurezza. Lo avvertiamo nelle scherzose note introduttive di Monk e nella tonante rullata di Rich, che apre il sipario sulla rinnovata coppia Bird & Diz, pronta a lanciarsi su un tema che non fa prigionieri, colmo di slancio e vitalità. È questo il jazz per i tempi moderni, non c'è più spazio per le nostalgie. Parker ha ormai imboccato il suo viale del tramonto ma il confronto con l'antico sodale lo sprona a dare il meglio in una seduta di incisione dove abbondano ironici richiami ai rispettivi stili, ormai perfettamente codificati.

Charlie Parker - South Of The Border
a cura di Paolo Ronchetti

Per pensare al Parker “Latino” di South Of The Border, registrato nella versione originaria tra il 1951 e il 1952 sotto la produzione di Norman Granz, é bene partire da tre anni prima.

Era il 20 dicembre 1948 quando, grazie a Granz, Parker incontrò in studio la favolosa orchestra di Machito (cercatevi la raccolta Mucho Machito della Pablo 1990 con brani come Gone City per capire come l’orchestra rallegrava le serate newyorkesi a fine anni ’40 e registrò tre brani.

Il primo ad essere registrato è No Noise part 1 & 2. Nella Part 1 l’arrangiamento sostiene il caldo solo del tenore di Flip Phillips mentre nella seconda parte è Parker, in primissimo piano, a intervenire col suo tipico fraseggio. La sensazione è quella di un Parker in gran forma ma leggermente isolato.

Una meravigliosa prova arriva con Mango Mangue che Granz fece ascoltare in radio, in anteprima pochi giorni dopo tra Natale e Capodanno dello stesso anno a Symphony Sid, il più grande disc jockey jazz di tutti i tempi e unico membro dell’establishment che apprezzò Parker sin dall’inizio. “Più o meno metti il Bop su un groove più commerciale” disse Sid a Parker in radio il primo Gennaio del 1949. “Se vuoi puoi prenderla in questo modo. Ma così intendi il Bop solo come marchio: per me invece significa che tutto è musica” fu la risposta di Parker.

Le indicazioni di Parker per i brani erano più o meno queste:quando arriva il momento del cantante basta darmi un segnale e io ci metto il mio!” Il risultato e l’insieme sono contagiosi.

OkieDoke rivela un Parker in formissima e leggermente meno presente rispetto ad una orchestra che batte sul ritmo e sugli intrecci dei fiati in maniera potente. Impossibile stare fermi! Impossibile non notare il lancio di continui riff dei fiati. Riff che si sovrappongono furiosi, con una scrittura che enfatizza le parti di tromba sugli acuti e sovracuti dando una spinta di straordinaria potenza. Unanime fu il giudizio dei musicisti su Parker: “Lo amavamo. Era lì così spesso che lo consideravamo un membro della band”.

Ma il progetto “latino” di Parker trova la sua apoteosi nel dicembre 1950 in un altro programma fortemente voluto da Granz.

La Afro-Cuban Jazz Suite vede schierata l’orchestra di Machito assieme ai solisti Charlie Parker, Buddy Rich alla batteria, il ritrovato Flip Phillips al sax tenore, il pianista Rene Hernandez e gli arrangiamenti di Arturo (“Chico”) O’Farrill. La lezione è stata digerita al meglio e quello che si può ascoltare è una lunga suite (a firma Arturo O’Farrill/Pozo/Dizzi Gillespie) in cui sezioni più morbide si alternano a indiavolate rincorse di riff strumentali in cui ogni strumento trova formidabili partiture rimiche e melodiche su cui sviluppare assoli preziosi ed efficaci. Un assoluto capolavoro che oltrepassa i 17 minuti in un lampo e in cui lo spumeggiante solismo di Parker svetta imperioso!

Purtroppo le session che diedero origine all’originale South Of The Border ebbero tutt’altra produzione. La scelta dei brani fu all’interno dei grandi hits della musica latina e cubana del tempo ma della complessità orchestrale del suono di Machito non troviamo nessuna traccia. Nessuna sezione fiati a movimentare, nessuna reale spinta verso le gambe ma, apparentemente, neanche un tentativo di lavorare sugli arrangiamenti e sulla sezione ritmica. I musicisti sono abituali collaboratori parkeriani a cui si aggiungono due percussionisti dell’orchestra di Machito e due macchine del ritmo come Roy Haynes e Max Roach, rispettivamente nella prima e nella seconda session.

My Little Suede Shoes , unico brano a firma di Parker, fu anche il primo ad essere registrato il 12 Marzo ‘51. Un gioiellino caracollante e caraibico (sette anni prima del St Thomas di Rollins) di una semplicità e bellezza disarmante (infatti è spesso usato da musicisti come Bill Frisell che sulle poche note del tema cesellano all’infinito piccoli spostamenti di accenti e linee melodiche come avviene nella la versione in duo con Joey Baron in Just Listen.

Vengono poi registrate una scialba Un Poquito De Tuo Amor che scompare paragonata alla versione originale cubana dell’orchestra di Julio Gutiérrez (che cita più volte elegantemente Take the A Train) o anche solo alla coeva versione di Machito.

Tico Tico è fortunatamente più spumeggiante e oltre ad un Parker in grande forma, era un suo cavallo di battaglia già nel 44, si avvale di una ritmica portentosa intorno alla quale però non sembra esserci altro. Rispetto all’originale, un Forro Brasiliano del ‘31, Parker taglia di netto la modulazione della seconda parte del tema per passare direttamente al solo.

Il quarto brano registrato, Fiesta, non fu pubblicato se non in edizioni più tarde (forse per colpa del finale). È un brano di impostazione latin jazz tradizionale sia nella divisione dei soli (prima Parker poi Bishop al piano), sia nella suddivisione dei ritmi all’interno della struttura (tempo latin nei primi due A, tempo swing nella sezione B, ritorno al latin per l’A finale con assoli in tempo swing). Nell’aprile del 51 uscì la prima edizione discografica di queste registrazioni in un 78 giri.

Il 23 gennaio ’52 la stessa formazione, ma con Max Roach alla batteria e l’aggiunta di Benny Harris alla tromba, si ritrovò per registrare altri brani. Mama Inez è un brano “semplice”, di impronta caraibica e danzereccio e il suo sviluppo (tema, solo di sax per due chorus, un chorus per la tromba e i primi due A del chorus per il piano prima dell’unisono del tema finale) é assolutamente tradizionale quanto godibile.

Viene poi registrata La Cucuracha, uno dei pochi brani in cui tutto funziona bene. Max Roach alla batteria trova una splendida intesa con la potente sezione ritmica, Benny Harris alla tromba azzecca suono e assolo mentre Parker sembra veramente divertirsi all’interno della semplicità della struttura e del tema.

Estrellita, tema delizioso del 1914, è il brano che più di ogni altro da idea di come i musicisti fossero alla ricerca di un qualcosa di diverso dal latin e dal jazz: qualcosa che fosse una terza via ma che nessuno sapesse dove fosse.

Con Begin the Beguine di Cole Porter si é a cavallo tra la tradizione di Tin Pan Alley, a cui tutti i musicisti attingevano per il proprio repertorio, e la ricerca di un esotismo leggero tipico di quegli anni.

La chiusura della seduta di registrazione con un classico come La Paloma dà l’idea di come tutta la ricchezza e ricerca dei brani suonati pochi anni prima con l’Orchestra di Machito siano stati sostituiti da simpatiche urla di incoraggiamento e da una bella calligrafia dei soli sempre troppo in primo piano rispetto alla base ritmica. Ascoltare le take scartate dà bene l’idea della confusione (e anche della tensione artistica) rispetto alle intenzioni di queste registrazioni. Si stava cercando qualcosa, a volte lo si trovava ma spesso si arrancava. Sicuramente la magica esplosiva complessità degli arrangiamenti con l’orchestra di Machito, soprattutto quelle della Afro-Cuban Jazz Suite, appartenevano ormai ad un’altra epoca e né Parker né Norman Granz amavano stare sugli allori del già conosciuto. Era tempo di cercare altro.

Charlie Parker & la Beat Generation
a cura di Paolo Ronchetti

Voglio essere considerato un poeta jazz che suona un lungo blues in una jam session di domenica pomeriggio” Jack Kerouac.

Dal punto di vista musicale, e degli studiosi di musica, poco è stato detto sul rapporto tra Be Bop e la poesia Beat. Diverso, più profondo e studiato, è invece stato il legame che i poeti della Beat Generation, Jack Kerouac in particolare, ebbero con in grandi musicisti Be Bop che infiammavano i locali newyorchesi e di San Francisco. Kerouac era affascinato da tutto ciò che riguardava i musicisti Bop che i suoi occhi vedevano come profeti di una libertà formale, di vita e musicale a cui aspirare e ispirarsi. Lo spirito selvaggio della loro musica, quella di Parker in particolare, dettava il ritmo di una prosa che si abbandonava ad una scrittura che cercava di riprendere proprio il flusso creativo e dinamico che Parker aveva dal vivo. La musica nuova dei musicisti Bop, emarginati dal mercato mainstream, dava linfa vitale e creativa a una generazione di nuovi poeti a loro volta ai margini dalla società: “A quei tempi, nel 1947, il Bop impazzava in tutta l’America. I ragazzi del Loop suonavano, ma con stanchezza, perché il Bop era a metà strada fra il periodo del Charlie Parker di Ornithology e quello di Miles Davis.” – Jack Kerouac, On the Road.

I versi di Kerouac cercavano di ricreare quella velocità, quel guizzare, quello scivolare su e giù delle note parkeriane e molte sono le pagine che Kerouac dedica al Be Bop. Affermava che quel suono possedeva un tono e un’intensità inconscia, la stessa che stava cercando di riprodurre nella sua prosa. Soprattutto in On the Road e ne I Sotterranei. Quella scrittura frenetica batteva sui tasti della macchina da scrivere come le dita di Parker battevano sui tasti del suo sax. La frase scritta da Kerouac e dai poeti Beat rigettava ogni regola tranne quella del respiro; esattamente come sembrava fare con il sax il soffio di Parker e quello i suoi sodali boppers. C’era una nuova visione comune dell’arte che creava una frattura con i valori ed i linguaggi praticati sino a quel momento.

Fernanda Pivano scrisse a proposito “Leggere (meglio se ad alta voce) una pagina di Kerouac è come ascoltare un assolo di Charlie Parker: il fraseggio dell’uno è quello dell’altro, le pause sono ridotte al minimo, il brano (s)corre tutto d’un fiato (salvo interrompersi bruscamente), poco importa se battuto sui tasti di una macchina per scrivere o su quelli di un sax”. Kerouac ha in testa il lavoro di Parker in ogni istante della sua scrittura, un hipster anti-litteram che si rintana negli oscuri club jazz, unico rifugio che lo strappava dagli angoli della strada, per ascoltare la musica che più amava. Era letteralmente rapito dai quei musicisti neri che tanto ammirava. Grondanti di sudore, che si dimenavano sul palco girando su sé stessi come faceva “Bird”, per avvicinarsi poi a quel selvaggio spirito che lo stesso scrittore serbava dentro. Non per niente si considerava “un poeta jazz”.

Il suo parlare e leggere aveva quel ritmo pazzesco che enfatizzava la musicalità delle frasi rimandando al suono degli strumenti (come sin dall’inizio di questa lettura). E quando cantava, come quando alterna il testo di On The Road a frammenti di Close Your Eyes come se fosse un solo; qui la vicinanza con il Be Bop parkeriano è assolutamente innegabile (circa al minuto 7).

Kerouac trovava ispirazione in quei locali fumosi dove “Art Blakey ci dava dentro come un matto e Thelonious Monk sudava e trascinava con i suoi accordi di gomito un’intera generazione”. Nella prefazione per I Sotterranei Harry Miller definisce Kerouac “lo spontaneo prosodista bop” intendendolo capace di essere sensibile al ritmo sincopato del proprio tempo: lo swing e il beat del parlare comune. Nell’introduzione dello stesso libro da parte della Pivano leggiamo poi le dichiarazioni di Kerouac sul suo “procedimento”. “Poiché il tempo è l’essenza della purezza del discorso, il linguaggio è un indisturbato flusso dalla mente di segrete idee-parole personali, un esprimere (come fanno i musicisti jazz) il soggetto dell’immagine”. La Pivano poi chiarisce: “quando Kerouac parla di “spontaneità” si riferisce proprio alla possibilità d’improvvisazione del jazz e si badi che il “jazz” di Kerouac è il “Bop” … …Kerouac è considerato il cantore della Bop generation, di cui fu, creatore e campione, l’idolatrato Charlie Bird Parker, che ne stabilì le regole…” E ancora: “Caratteristica del Bop era il distacco dalla melodia convenzionale, che procede secondo regole sintattiche prestabilite, per tentare una via di improvvisazione fine a sé stessa… …ed era definita dai jazzisti “creazione spontanea” ed è qui che Kerouac ha preso il termine per la sua scrittura”. Come il Bop scarta l’impostazione melodica per accentrare l’interesse compositivo sui vari passaggi delle improvvisazioni, così la struttura stilistica di Kerouac è basata su una serie ininterrotta di variazioni sul tema fondamentale che fa da perno e sostegno a un periodo.

Altra particolarità della scrittura di Kerouac, che volutamente lo avvicina ai boppers, è quella delle prese di fiato tra una frase e l’altra e il parlare della propria prosa con una terminologia e una sitassi jazzistica (Bop).

Kerouac costruisce anche un racconto sulla nascita del Bop, “nacque con il Jazz ma un pomeriggio…”, immagina che un giorno Gillespie, Parker, Monk, passando davanti a un negozio abbiano ascoltato un suono sbagliato uscire dagli altoparlanti e quel suono sia rimasto loro in testa e che appena entrati al Milton’s Playhouse ad Harlem abbiano cominciato a riprodurlo. Quel suono era quella quinta diminuita che fu l’intervallo più importante del Be Bop; quello fu l’effetto che Kerouac cercò di riprodurre nella scrittura. “La musica è la tua esperienza, la tua saggezza, i tuoi pensieri. Se non l’hai vissuta non uscirà dal tuo strumento” disse Charlie Parker e Kerouac scrisse cose molto simili riguardo alla sua propria arte.

In I Sotterranei c’è poi un racconto in cui, assieme alla fidanzata, Kerouac racconta l’esperienza, quasi mistica, di trovarsi di fronte Parker. Tra un brano e l’altro Kerouac si sente investigato dallo sguardo di Bird che sembra chiedergli se lui è veramente chi vorrebbe essere: il più grande scrittore Bop, l’unico che possa raccontare “quella” storia. Ed in fondo questo fu vero come possiamo leggere ed ascoltare in questo splendido “Charlie Parker” composto poco dopo la morte del grande sassofonista lavorando su scritti tratti dal suo “Mexico City Blues”. La bellissima lettura di Jack Kerouac è tratta da “Jack Kerouac & Steve Allen - Poetry For The Beat Generation” album (poco Bop) del 1959. Potete leggere qui sotto il testo originale e la bella traduzione in italiano di Carlo A. Conti.

JACK KEROUAC - CHARLIE PARKER

Traduzione: Carlo A. Corsi

Charlie Parker assomigliava a Budda

Charlie Parker, morto di recente

Mentre rideva di un giocoliere in Tv

dopo settimane di tensione e malattia,

era chiamato il Musicista Perfetto.

E l’espressione sul suo volto

Era calma, bella e profonda

Come l’immagine di Budda

Rappresentata in Oriente, gli occhi socchiusi,

L’espressione che dice «Tutto va bene»

Questo diceva Charlie Parker

Quando suonava, Tutto va bene,

Si provava la sensazione del mattino presto

Come la gioia di un eremita, o come

il grido perfetto

Di qualche banda scatenata ad una jam session

«Straziaci, dai» – Charlie si faceva scoppiare

I polmoni per raggiungere la velocità

Di quel che volevano gli anfetaminici

E quel che volevano

Era il suo Eterno Rallentamento.

Un grande musicista e un grande

creatore di forme

Che alla fine trovano espressione

Nei bis e così via.

Musicalmente importante come Beethoven,

Tuttavia non valutato affatto come tale,

Un gentile direttore d’orchestra d’archi

Di fronte alla quale stava

Orgoglioso e calmo, come un direttore di musica

Nella Grande Notte Storica del Mondo,

E faceva gemere il suo piccolo sassofono,

L’Alto con un penetrante chiaro lamento

In tono perfetto & brillante armonia,

Toot – mentre gli ascoltatori reagivano

Senza mostrarlo, e cominciavano a chiacchierare

E presto tutta la baracca è rocking

E tutti parlano e Charlie Parker

Li porta fischiettando sull’orlo dell’eternità

Con la sua mazza flautata dell’irlandese San Patrizio,

E come la santa piscia ruzzoliamo

E caschiamo nelle acque del macello

E carne bianca, moriamo

Uno dopo l’altro, a tempo.

E quant’è dolce una storia

Quando è Charlie Parker a raccontarla,

In dischi o in jam session

O in apparizioni ufficiali nei night,

Buchi nel braccio per il portafoglio,

allegramente lui suonava il clarino perfetto

Ma poi che differenza c’era.

Charlie Parker, perdonami –

Perdonami se non rispondo ai tuoi occhi –

Se non ho reso bene

Ciò che sai escogitare –

Charlie Parker, prega per me –

Prega per me e per tutti

Nei Nirvana della tua mente

Dove ti celi, indulgente e immenso,

Non più Charlie Parker

Ma il segreto nome ineffabile

Che porta con sé valori

Non misurabili da qui

In alto, basso, est, o ovest –

Charlie Parker, libera dalla sventura,

me e ogni corpo

JACK KEROUAC - CHARLIE PARKER

Charlie Parker looked like Buddha.

Charlie Parker, who recently died

Laughing at a juggler on TV

after weeks of strain and sickness,

was called the Perfect Musician.

And his expression on his face

Was as calm, beautiful, and profund

As the image of the Buddha

Represented in the East, the lidded eyes,

The expression that says: «All is Well»

This was what Charlie Parker

Said when he played, All is Well.

You had the feeling of early-in-the-morning

Like a hemit’s joy, or like

the perfect cry

Of some wild gang at a jam session

«Wail! Wop» – Charlie burst

his lungs to reach the speed

Of what the speedsters wanted

And what they wanted

Was his Eternal Slowdown.

A great musician and a great

creaTor of forms

That ultimately find expression

In mores and what-have-you.

Musically as important as Beethoven

Yet not regarded as such at all,

A genteel conductor of string

orchestras

In front of wich he stood,

Proud and calm, like a leader

of music

In the Great HistoriC World Night,

And wailed his little saxophone,

The alto with piercing clear

lament

In perfect tune & shining harmony,

Toot – as listeners reacted

Without showing it, and began talking

And soon the whole joint is rocking

And everybody talking and Charlie

Parker

Whistling them on to the brink of eternity

With his Irish St. Patrick

patootle stick,

And like the holy mists we blop

And we plop in the waters of

slaughter

And white meat, and die

One after one, in time.

And how sweet a story it is

When you hear Charlie Parker

tell it,

Either on records or at sessions

Or at official bits in clubs,

Shots in the arm for the wallet,

Gleefully he Whistled the

perfect

horn

Anyhow, made no difference.

Charlie Parker forgive me.

Forgive me for not answering your eyes –

For not having made an indication

Of that which you can devise –

Charlie Parker, pray for me –

Pray for me and everybody.

In the Nirvanas of your brain

Where you hide, indulgent and huge,

No longer Charlie Parker

But the secret unsayable name

That carries with it merit

Not to be measured from here

To up, down, east, or west –

Charlie Parker, lay the bane,

off me, and every body

Discografia/saggistica consigliata e saccheggiata:

  • Jack Kerouac & Steve Allen - Poetry For The Beat Generation (1959)
  • Jack Kerouak e AAVV - Jack Kerouac “Reads On The Road” (Ryko 1999)
  • Mark Murphy - Bop for Kerouak (1981 Muse Records)
  • Mark Murphy – Kerouac, Then And Now (1986 Muse Records)
  • Beat & Be Bop a cura di Emanuele Bevilacqua – Libro e Cd Einaudi Stile Libero/Suoni 1999
  • AAVV – Jazz & Beat Generation (2010 Musica Jazz)

DISCOGRAFIA
a cura di Vittorio Formenti

L'elenco che segue riporta le principali raccolte in Cd di Parker.

TITOLO

ANNO (dell'esecuzione)

CASA

CODICE

NOTE

Jumpin' the Blues (a nome di Jay McShann)

1940 - 42

Proper

PVCD 131

Contiene un live del 1940 e le incisioni Decca del 41 - 42, tra le quali l'importante brano che dà il titolo alla raccolta.

Groovin' High (a nome di Gillespie)

1945

Denon

SV-0152

Fondamentale per la nascita del bebop.

Shaw 'Nuff (a nome di Gillespie)

1945

Musicraft

MVSCD-53

Altro documento fondamentale per il bebop.

Complete Savoy Sessions

1944 - 1948

Definitive Records

DRCD1148

4 CD con numerose alt. takes. Interessante per i completisti e per chi vuole analizzare le dinamiche di studio. Non sempre la qualità delle registrazioni per le alt. takes sono all'altezza. Esiste anche una versione in 2 CD con meno alt. takes. Pessimo il libretto. Fondamentale per conoscere l'artista.

Complete Dial sessions

1946 - 1947

Definitive Records

DRCD1152

4 CD. Esattamente come il precedente. Da evidenziare la celebre sessione del 29 luglio 1946 nella quale si registrò "Lover Man".

The Complete Charlie Parker on Verve

1947 - 1954

Verve

9833382

Box da 10 CD con buon libretto a documentazione della fase finale della carriera. Contiene le sessioni di Jazz at the Philarmonic (JATP), con gli archi e i passaggi sull' afro-cubano.

Charlie Parker

1947 - 1953

Verve

539757-2

CD singolo per chi vuole evitare lo "tsunami" dei 10 CD di cui sopra. Ottima sintesi, adatta ad un primo approccio per l'ultima fase di Parker.

The Complete Dean Benedetti Recordings of Charlie Parker

1947 - 1948

Mosaic

MDT-129

7 CD in edizione Mosaic limitata. Documenta live in Los Angeles e New York prese dalla collezione privata di Benedetti. Ottimo per collezionisti e interessante per approfondimenti. Qualità della registrazione non eccelsa.

Yardbird Suite - The Ultimate Collection

1945 - 1952

Rhino

R2 72260

2 CD per un'eccellente raccolta utile ad un'introduzione e ad una panoramica generale. Ottimo libretto, scaletta dei brani che copre l'essenziale, buona registrazione. In perfetto stile Rhino. Consigliatissimo per un primo approccio.

The Quintet - Jazz at Massey Hall

1953

Original Jazz Classics

OJC 044

Uno dei concerti più celebrati. Line-up stellare, c'é pure Mingus che é in realtà il vero mentore dell'edizione.

BIBLIOGRAFIA

TITOLO

AUTORE

EDITORE

NOTE

Charlie Parker - Vita e musica

Carl Voidek

CDT

Libro del 2009. 308 pagg. rilegate in brossura. Biografia e analisi musicale. Interessante la parte conclusiva relativa all'interesse che negli anni '50 Parker maturò per la musica moderna europea.

Charlie Parker - Bird e il mito afroamericano del volo.

Gianfranco Salvatore

Stampa Alternativa

Libro del 2005 per il cinquantesimo della morte. 249 pagg. rilegate in brossura. Forse la miglior pubblicazione in italiano. Decisamente innovativo come analisi che oltre all'aspetto musicale si spinge su quello culturale ed antropologico. Assolutamente da leggersi.

Fulmini a Kansas City - L'ascesa di Charlie Parker

Stanley Crouch

Minimum Fax

Libro del 2014. 411 pagg. rilegate in brossura. Biografia di Parker dal 1920 - al 1940. Spaccato sulla fase di nascita dell'artista a metà tra il saggio e il racconto documentato anche da interviste sul campo.

La vita di Charlie Parker . Bird lives!

Ross Russell

Ghibli

Libro del 2019. 253 pagg. in brossura. L'autore é il patron della Dial, casa per la quale Parker registrò alcune delle sue parti più importanti. Un ritratto dell'uomo da parte di un amico e produttore. Un libro che non ha accontentato tutti ma certamente scritto da un testimone.

FILMOGRAFIA
a cura di Gianni Zuretti

Non esistono molti film dedicati specificamente a Parker a parte il celebre Bird di Clint Eastwood (1988), che ripropone la vita di Charlie con una verve un po' romanzata ma efficace.

L'elenco che segue riporta una serie di titoli di produzione cinematografiche / televisive in cui appare la musica di Parker.

Film / TV

Titolo Originale

Titolo Italiano

Brano

Autore

Interprete

Film

A Dangerous Woman (1993)

Una donna pericolosa

Mi Little Sude Shoes

Charlie Parker

The Paul Smith Trio

Film

Any Way the Wind Blows (2003)

Any Way the Wind Blows

In The Still of the Night

Fred Parris

Charlie Parker

Film

Basquiat (1996)

Basquiat

Ko-Ko

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Basquiat (1996)

Basquiat

April in Paris

Vernon Duke

Charlie Parker

Film

Big Sur (2013)

Big Sur

Tiger Rag

James LaRocca

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Lester Leaps

Lester Young

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

I Can't Believe That You're in Love With Me

Clarence Gaskill / Jimmy McHugh

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Laura

Johnny Mercer / David Raksin

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

All of Me

Gerald Marks / Seymour Simons

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

This Time the Dream's on Me

Harold Arlen / Johnny Mercer

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Ko-Ko

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Cool Blues

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

April in Paris

Vernon Duke / E.Y. "Yip" Harburg

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Now's the Time

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Ornithology

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Bird (1988)

Bird

Parker's Mood

Benny Harris / Charlie Parker

Charlie Parker

Docufilm

Bluesland: A Portrait in American Music (1993)

Bluesland

Cool Blues

Charlie Parker

Charlie Parker

Docufilm

Bluesland: A Portrait in American Music (1993)

Bluesland

Ko-Ko

Charlie Parker

Duke Ellington

Film

Capote (2005)

Truman Capote - A sangue freddo

My Little Sude Shoes

Charlie Parker

Paul Smith Trio

Film

Darker Than You Think

Il figlio della notte

Now's the Time

Charlie Parker

Charlie Parkers Reboppers

Film

Edge Of Darkness (2010)

Fuori controllo

Embraceable You

G & I Gershwin

Charlie Parker

Serie TV

Forever (2014)

Immortale

Ornithology

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Ginger & Rosa (2012)

Ginger & Rosa

Bird Gets the Worm

Charlie Parker Allstars

Charlie Parker

Film

Half of a Yellow Sun (2013)

La metà di un sole giallo

Mi Little Sude Shoes

Charlie Parker

Tony Kofi and His Quintet

Film

How to Make Love to a Negro Without Getting Tired (1989)

idem

Cool Blues

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Joe Gould's Secret (2000)

Il segreto di Joe Gould

In The Nearness of You

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Lena (2011)

Lena

Stupendous

Charlie Parker's New Stars

Charlie Parker

Docufilm

Let's Get Lost (1988)

Perdiamoci

Cheryl

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Love Jones (1997)

Love Jones

Parker's Mood

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Low Down (2014)

Low Down

Barbados

Charlie Parker

Joe Albany

Film

Mac (1992)

Mac

Laura

Johnny Mercer / David Raksin

Charlie Parker

Film

Next Stop, Greenwich Village (1976)

Stop a Greenwich Village

Confirmation

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

On The Road (2012)

On The Road (2012)

Ko-Ko

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

On The Road (2012)

On The Road (2012)

Salt Peanuts

Dizzy Gillespie

Charlie Parker

Serie TV

Ray Donovan (2015)

Ray Donovan

Laird Baird

Charlie Parker

Charlie Parker Quartet

Film

'Round Midnight (1986)

RoundMidnight

Now's the Time

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Se7en (1995)

Seven

Now's the Time

Charlie Parker

Charlie Parker

TV Film

Sir John Dankworth at the BBC

Sir John Dankworth at the BBC

Donna Lee

Charlie Parker

John Dankworth

Film

Talladega Nights (2006)

L'uomo che sapeva contare fino a uno

Segment

Charlie Parker

Ben Perowsky Trio

Film

The Color of the Money (1986)

Il colore dei soldi

I'll Remember April

Gene de Paul

Charlie Parker

Film

The Ditchdigger's Daughters (1997)

Una vita di ricordi

Lover Man

Ramirez/Sherman/Davis

Charlie Parker

Film

The Last Days of Chez Nous (1992)

Ultimi giorni da noi

Donna Lee

Charlie Parker

Groovematics

Film

The Last Time I Committed Suicide (1997)

L'ultima volta che mi sono suicidato

Shaw Nuff

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

The Last Time I Committed Suicide (1997)

L'ultima volta che mi sono suicidato

Groovin' High

Dizzy Gillespie

Charlie Parker

Film

The Marrying Man (1991)

Bella, bionda... e dice sempre sì

Yardbird Suite

Charlie Parker

Charlie Parker

Serie TV

The Marvelous Mrs. Maisel (2017)

La fantastica Signora Maisel

Scrapple from the Apple

Charlie Parker

Charlie Parker

Serie TV

The Marvelous Mrs. Maisel (2017)

La fantastica Signora Maisel

All the Things You Are

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

The Talented Mr. Ripley (1999)

Il talento di Mr. Ripley

Ko-Ko

Charlie Parker

Charlie Parker

Film

Transmissions (2009)

Transmissions

Crazeology

Benny Harris

Charlie Parker

Serie TV

Ugly Betty (2006)

Ugly Betty

La Cucaracha

Charlie Parker

Charlie Parker Quintet

Film

Un bonheur n'arrive jamais seul (2012)

Per fortuna che ci sei

I Got Rhytm

G & I Gershwin

Charlie Parker