Vladimir Sorokin

Vladimir Sorokin La tempesta


Bompiani, 2016 Narrativa Straniera | Romanzo

21/03/2017 di Eliana Barlocco
In un classico paesaggio della campagna russa, sterminato, immenso, avvolto da una gelida tempesta, Vladimir Sorokin fa muovere i protagonisti de La Tormenta. Questo romanzo breve, pur inserendosi nella tradizione letteraria russa con elementi che riportano ai classici, al contempo rivolge lo sguardo al domani innestando nel racconto dettagli futuristici come l’epidemia data da un misterioso virus che trasforma la gente in zombie.

Ma andiamo con ordine. Platon Il’ic Garin è un medico che tenta di raggiungere il villaggio di Dolgor dove una epidemia sta decimando la popolazione. Ha un vaccino da consegnare, ma sulla sua strada si interpone una tormenta implacabile. Il racconto si apre con una scena classica (per la letteratura russa): un dottore che cerca un cavallo in una stazione di posta. Cavalli a disposizione non si trovano, allora ci si rivolge a chi consegna il pane, tale Raspino che possiede una propulsoslitta trainata da piccoli cavallini. Raspino accetta di aiutare il dottore. Comincia quindi, per i due, un viaggio che dovrebbe durare poche ore, ma che in realtà si trasforma in un pellegrinaggio infinito attraverso le campagne russe.

Avvolti in un paesaggio immutabile, sempre uguale a se stesso, il Dottore e Raspino tentano di avanzare verso il villaggio. La tormenta impedisce loro di avere sempre la strada in vista e il viaggio si trasforma in una lotta, un disperato tentativo di non smarrire la strada maestra. Lungo il tragitto avranno avventure amorose, eviteranno pericoli, avranno esperienze deliranti, saranno narcotizzati dal freddo e dagli stessi incontri. Alla fine del percorso perderanno di vista lo scopo del viaggio, ma non il viaggio stesso; e la ricerca agguerrita della strada diverrà, allora, lo scopo del viaggio: “Avanzare controvento. Superare tutte le difficoltà. Tutte le sciocchezze e le assurdità. Avanzare dritto. Non temendo niente e nessuno. Andare, andare per la propria strada. La strada del proprio destino. Procedere inflessibili, ostinati. E’ anche questo il senso della nostra vita!

Ciò che lascia “storditi” nei libri di Sorokin, è la sua capacità di riuscire a non avere uno stile ben preciso. Ogni suo libro ha una propria costruzione, proprie caratteristiche, un utilizzo e un linguaggio mai uguale. Non si può definire uno “stile” Sorokin; come del resto anche lui stesso ha affermato in una intervista “…in realtà cambio stile deliberatamente perché ogni idea deve avere la propria intonazione. Faccio pause tra un romanzo e l’altro anche perché prima di mettermi a scrivere devo cogliere questa intonazione, questa melodia stilistica e formale e mettermi completamente al suo servizio…”.

In ciò sta anche l’originalità (che per alcuni potrebbe essere un difetto) di Sorokin. E non è un caso che questo sfilarsi dall’etichettatura che tanto piace ad una certa critica - un atteggiamento peraltro condivisibile e portato innanzi con una certa classe e stile - si rifletta anche nei pensieri del protagonista:  “Non bisogna mai abiurare ai propri principi né abbassarsi fino a scavare. Non bisogna mai forzare le mosse, come negli scacchi, né vivere in modo forzato accontentandosi di palliativi ufficiali. La vita concede la possibilità di scegliere. Scegliere ciò che è più coerente per sé, che non costringa poi a tormentarsi dalla vergogna per la propria inettitudine. Solo le epidemie non lasciano scelta, rifletteva il dottore”.


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