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Veronica Raimo Niente di vero
Einaudi, 2022, Supercoralli, pp. 176, € 18,00 Romanzo | Narrativa Italiana
17/07/2022 di Laura Bianchi
Nella conclusione del suo ultimo romanzo, Niente di vero, la quarantatreenne scrittrice romana Veronica Raimo mette i lettori sull'avviso: scrivere del proprio passato, per lei, è azione velleitaria, inattendibile, quanto immaginarsi nel futuro. I lettori meno ingenui devono quindi aspettare le ultime pagine del libro per avere conferma di quanto forse sospettavano: ossia, che il racconto del passato dell'autrice, della sua famiglia, dei suoi rapporti con essa e con gli altri, potrebbe essere solo verosimile, oppure inventato, o, ancora, vero, ma trasformato dalla lente di un umorismo parossistico.
L'autofiction, con Raimo, assume quindi i contorni di una parodia, di una sfida al lettore, che apprezzerà le scenette grottesche, scritte con un ritmo incalzante e una scrittura pungente, solo se desideroso di ridacchiare superficialmente per le descrizioni caricaturali di una madre ansiosa e ansiogena, di un padre costruttore di muri all'interno della propria casa, fedifrago e assente, di un fratello da lei edipicamente adorato, pur nelle sue nevrosi, e di un gruppo di amici incostanti e inaffidabili quanto l'io narrante.
Se però il lettore, come in Pirandello, "capisce il gioco", ecco che la risata si spegne, il sorriso si volge in una smorfia acida, e il romanzo di de-formazione rivela alcuni punti deboli: il narcisismo di chi sembra prendersi gioco di se stessa con ironia spietata, quando invece sta celebrando la propria inettitudine come alibi per sottolineare la propria disfunzionalità; la ripetitività di situazioni e relazioni, che mostrano, ma con autocompiacimento, l'incapacità di fare tesoro delle esperienze; la fragilità emotiva adolescenziale, esibita e protratta fino all'età matura; oltre ad alcune citazioni, nemmeno tanto occulte, di altre figure di donne contemporanee, come l'anonima Fleabag della serie inglese, nella quale, però, l'autrice Phoebe Waller-Bridge rivolge esplicitamente uno sguardo alla telecamera, abbattendo la quarta parete e svelando così lei stessa il gioco.
In questo caso, invece, la memoria di Raimo oscilla nello spazio e nel tempo, affronta temi delicati come le molestie, l'aborto, le esperienze sessuali, il patriarcato, il precariato, con la superficialità di chi sembra non averli vissuti davvero, tentando di anestetizzare col sarcasmo autoreferenziale problemi scottanti e profondi; tanto che, alla fine della lettura, ci si chiede quale sia stato il motivo per cui una giuria di giovani tra i sedici e i diciotto anni, provenienti da oltre cento scuole secondarie superiori distribuite in Italia e all’estero, abbia votato il romanzo come degno di ottenere il Premio Strega Giovani, preferendolo a opere di ben altra sostanza, come Randagi di Marco Amerighi. Forse, perché non hanno (ancora) "capito il gioco"?
O, forse, perché non c'è davvero niente di Vero(nica) in questo flusso di in-coscienza?