![Thomas Mann](/foto/libri/recensioni/big/l_rece_145.jpg)
Thomas Mann Doctor faustus
Mondadori, 1996, € 8,26
di Simona
Questo non è certo un romanzo leggero da affrontare perché è molto lungo, talvolta è piuttosto lento ed è punteggiato da diverse digressioni che spaziano dalla teologia all’alchimia alla musica, le quali spezzano il filo del racconto. Racconto che, tra l’altro, vede anche un duplice piano temporale infatti, nella finzione, a scrivere il libro è Serenus Zeitblom, l’io narrante del romanzo e amico di Leverkühn, e vi è quindi un tempo del quale scrive relativo alla biografia dell’amico, che è la parte più corposa del libro, e vi è poi un tempo nel quale scrive, ossia gli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, con annotazioni sulla rovina della Germania e del popolo tedesco.
Se il tema del patto con il diavolo può sembrare bizzarro per uno scrittore solido come Mann, in realtà la parabola del compositore è pretesto per trattare temi tipici della sua opera, ossia la decadenza e la fine della civiltà borghese, così come quello dell’artista decadente e dell’identificazione tra malattia e creatività. In ogni caso la storia in sé e questi argomenti, l’innegabile scarsa “simpatia” dei personaggi e la pesantezza delle digressioni (seppure interessanti), talvolta rendono la lettura del Doctor Faustus un’esperienza fredda quasi come l’anima del protagonista. Tuttavia le brevi parti in cui l’io narrante Zeitblom esprime lo stato d’animo in cui si ritrova a scrivere, con il “rumore dei cannoni alle porte della città”, riescono a smuovere una tensione emotiva che il resto dell’opera non suscita, descrivendo al meglio l’atmosfera disperata di quella che fu la catastrofe della Germania. Così, se la storia di Leverkühn con le riflessioni sulla decadenza dell’artista sembra non essere passata indenne alla prova del tempo, ancora affascinanti sono le pagine relative ad una storia impazzita capace di generare orrori inimmaginabili. Ancora, come sempre, la storia si impone come una forza che va avanti al di sopra degli uomini, talvolta soggiogandoli talvolta riducendoli all’impotenza, e comunque sempre inesorabile.
“…la guerra è perduta. Ma ciò significa più di una campagna perduta: significa di fatto che perduti siamo noi, perduta è la nostra causa, perduta la nostra anima e la nostra fede e la nostra storia. E’ finita per la Germania, è finita. Si prospetta un crollo indicibile, economico, politico, morale e spirituale, universale insomma. Non vorrei avere desiderato ciò che si presenta, poiché è la disperazione, è la follia. (…) eppure ho dovuto desiderarlo (…) per odio contro il delittuoso disprezzo della ragione, la peccaminosa renitenza alla verità, il grottesco abuso e la liquidazione delle cose, vecchie e genuine, delle cose familiari e originariamente tedesche delle quali millantatori e bugiardi hanno fatto una zozza velenosa ubricante. La sbornia enorme che noi, sempre desiderosi di ubriacature, ci siamo presi allora e nella quale per anni e anni di fallace benessere abbiamo commesso un’enorme quantità di atti vergognosi, quella sbornia dev’essere pagata.”