Ted Gioia

Ted Gioia Delta Blues


EDT, 2020, 512 pp., 26 euro Musica | Saggi

07/02/2021 di Franco Bergoglio
L’influenza del Delta sulla colonna sonora delle nostre vite è talmente ampia che è quasi impossibile rendersi pienamente conto del suo impatto. Così nelle prime pagine di Delta Blues, il suo saggio, Ted Gioia racconta dell’importanza del blues per la musica moderna. In una delle sue video-lezioni su you tube lo spiega in maniera anche più diretta: “Volete capire l’importanza del blues? Pensate semplicemente a cos’era la musica prima del blues”. E allora pensiamoci: come (o cosa) sarebbe il jazz? E il resto? Niente rock’n’roll, niente rock americano o inglese, niente Hendrix e niente sixties, niente hard rock, quasi nessun guitar hero, poco pop e niente r'n'b, soul o funk...
Sarebbe ben triste un distopico mondo parallelo senza blues!

Il blues è il lievito madre più importante delle musiche del Novecento, eppure ho iniziato a leggere il libro di Ted Gioia con un certo stupore: uno studioso/ musicista/produttore di jazz come lui, autore di un frizzante saggio culturale come L’arte imperfetta (cercatelo, ne vale la pena) che affronta il blues del Delta, appannaggio di specialisti che hanno giocato – e giocano ancora- su un altro terreno, decisamente meno sofisticato. Mi suonava strano. Ma è bastato leggere le prime righe della prefazione per capire: “Per diventare pianista di jazz moderno avevo studiato le sequenze armoniche, le sostituzioni di accordi, le
strutture ritmiche, gli schemi melodici standard e le più complesse riformulazioni in stile bebop o modale. Sapevo suonare il blues in tutte le tonalità e su tutti i tempi diversi. (…) Ma la mia conoscenza, adesso a posteriori me ne rendo conto, iniziava e finiva con la struttura del blues. Del suo significato e della sua
intima vitalità comprendevo ben poco all’epoca”.

Gioia racconta una storia di maturazione personale, un percorso che lo ha portato a vivere in Texas, vicino a dove Robert Johnson registrò i suoi diabolici e immortali blues, non lontano dalle zone del Delta al centro di questa storia e dove vivono ancora alcuni testimoni e i parenti dei grandi musicisti del passato, le glorie che oggi portano avanti questa tradizione nei rari juke joint attivi. Gioia si immerge (e noi con lui) in questo mondo, ricostruendo con pazienza le vicende in questo volume, curato con attenzione da Francesco Martinelli e corredato da note, glossario, consigli di ascolto.

Prima di iniziare a raccontare la musica l’autore propone un quadro generale: il Mississippi è uno degli Stati più poveri degli USA, con una agricoltura che ha perso ormai ogni genere di redditività (il cotone arriva più economico dall’Asia) e priva di altre risorse di sviluppo o di fermenti culturali. Dalla zona del Delta non sono neanche arrivati politici illustri o fortunati capitani d’industria. Eppure nei decenni, come spiega Gioia, decine di appassionati lo hanno percorso in lungo e in largo alla ricerca di un tesoro immateriale certamente più prezioso: gli ultimi esponenti dell’autentico blues del sud; in pratica “le radici” della musica nera.

Il blues del Delta è una musica autenticamente folk suonata da esponenti del popolo e per il popolo, senza compromessi. I musicisti blues, compresi i B.B.King o i Muddy Waters, per citarne due tra quelli che con la musica sono diventati famosi, hanno iniziato tutti in una fattoria o una ex piantagione. E i meno fortunati hanno passato tutte le loro vite nei campi, in fabbrica, a guidare camion, a fare i benzinai. Molti sono morti in povertà e altrettanti hanno passato lunghi anni della loro esistenza in prigione. Molti di quei ragazzi bianchi che partivano per andare al sud a intervistare e registrare i protagonisti erano puri idealisti consci di questo aspetto. Per quello il revival del blues degli anni Sessanta appassionò tanto i ragazzi delle università che si stavano ribellando allo status quo americano.

Eppure il blues del Delta è sopravvissuto all’America più dura e razzista che si possa immaginare e ha resistito portando in dono al mondo un regalo incommensurabile. “Basta accendere la radio e ascoltare. Che i vostri gusti gravitino verso il country and western o gli standard del pop o il doo woop o l’heavy metal o l’hip hop o il jazz… l’intero spettro della popular music porta l’impronta digitale del blues. I cowboy più solitari, e i più appassionati cantanti
cristiani; i membri delle boy band con le loro curate permanenti, e i rinnegati del rock carichi di tatuaggi e piercing; cantanti di jingle commerciali che non si vedono mai in viso, e speranzosi concorrenti di American Idol: tutti hanno in comune le inflessioni vocali, l’ambiguità scalare e la sabbia sulle corde vocali che si è accumulata all’intersezione del Mississippi con lo Yazoo”.

Gioia racconta la musica e la vita del blues, da Charley Patton con le sue 8 mogli e nessun divorzio ai 26 figli di Junior Kimbrough. La galleria si popola con le storie di Blind Lemon Jefferson, Robert Johnson, Bukka White, John Lee Hooker, Howlin’ Wolf, Elmore James…Nomi leggendari che da soli sanno evocare la magia del blues senza ulteriori commenti.

Il capitolo più avvincente è dedicato al “revival del blues”. Perché, come scrive Ted Gioia rifacendosi a Francis Scott Fitzgerald: “Non esistono secondi atti nella vita degli americani”, eppure il blues fa eccezione. Il movimento di appassionati che dagli anni Sessanta ha iniziato a scandagliare il Delta in cerca dei bluesman scomparsi viene ricostruito con ricchezza di dettagli e, a fianco dei vari Skip James, Mississippi John Hurt, Son House e R.L. Burnside (su you tube si trovano le sue incisioni casalinghe con i figli e sono da vedere), ci sono anche le gesta dei ragazzi che li hanno riportati alla ribalta o li hanno scoperti con le incisioni sul campo.

Se vi piace Joe Bonamassa - e invece qualche nome tra quelli citati sopra vi giunge nuovo - il libro di Gioia può aiutarvi a scoprire una musica che esattamente cento anni fa entrava in sala d’incisione. Per non uscirvi più.