Stefano Ghittoni

Stefano Ghittoni MILANO OFF 1980 - 198X Racconto imperfetto di una città invisibile


A cura di Stefano Ghittoni, Prefazione di Alessandro Bertante, Milieu Edizioni, 2022, 22€, 240pp., con immagini Saggi | Musica | Società

28/01/2023 di Laura Bianchi
Noi c'eravamo. Noi, nati negli anni Sessanta, negli anni Ottanta avevamo vent'anni. Sembra matematica, ma è vita. Una vita, che spesso ci è passata vicino, sfiorandoci appena, oppure ci ha investiti in pieno, con tutta l'urgenza e la violenza di cui era capace.

Noi, nel 1980, a Milano, vivevamo lo sfaldamento del Movimento Studentesco, il dolore per lo stragismo, la nascita di fenomeni musicali e culturali destinati a lasciare il segno. Non solo a Milano, ovviamente, ma soprattutto lì, si è formato un coacervo di contraddizioni, destinate a svilupparsi, evolversi, involversi, nel corso degli anni dell'edonismo, della plastica, dei Fiorucci e della controcultura dei centri sociali.

Milano Off 1980/198X, di Stefano Ghittoni, musicista, dj, producer, sound
designer, agitatore culturale, racconta Milano di quegli anni forse nell'unico modo in cui è possibile descriverla: dalle testimonianze di chi l'ha vissuta e ha contribuito a forgiarne l'identità. 

È, per stessa ammissione del curatore, un ritratto imperfetto di una città invisibile, o meglio, non vista da quello che ancora non si chiamava mainstream, ma che già definiva l'identità di una Milano da bere - o da sniffare - pronta ad accogliere solo chi faceva immagine, chi cavalcava l'ondata del cosiddetto riflusso per tornare alla superficialità. Eppure, nella risacca del riflusso, c'è stato chi si è immerso, andando controcorrente, per raccogliere la crisi e farne vera arte.

Come scrive Ghittoni nell'illuminante introduzione, il libro Parla soprattutto di cose che sono successe dal 1980 al 1985, cose che sono state quasi invisibili, sicuramente non storicizzate, ma molto importanti. E gli fa eco Alessandro Bertante nella prefazione dell'opera, che mette in luce Il sussurro emotivo di una prossima decadenza che non può in questo caso essere solo un destino individuale ma bensì collettivo e fatalmente ineluttabile, un destino al quale nessuna generazione successiva potrà veramente sottrarsi. Questo sussurro è l’ultima vera scintilla creativa di un Novecento che si avviava alla conclusione.

Il caleidoscopico ritratto collettivo di quegli anni è affidato a chi li ha vissuti, in modo intenso e pieno: da Ivan Cattaneo a Nicola Guiducci; da Patrizia Di Malta a Marina Spada a molti altri, nessuno si sottrae alla forza inesauribile dei ricordi, che non diventano mai nostalgici rimpianti, bensì lucide testimonianze di un luogo e di un tempo precisi, non ancora sondati dalla critica storica, a cui questo lavoro corale potrà apportare preziose informazioni.

A tutto ciò si aggiungono materiali come fotografie, ritratti e manifesti grafici, che danno ancora più spessore al significato profondo del lavoro: ricostruire in modo quanto più possibile coerente ed esatto il flusso cangiante di situazioni e di suggestioni che sarebbero state destinate, pur nella loro, solo apparente, invisibilità, a orientare la direzione della cultura non solo underground, non solo italiana, non solo musicale.
Come infatti scrive Maurizio Turchet, esperto in comunicazione, il panorama tanto terrifico quanto demenziale lascia il segno nei decenni a venire, e ancor oggi personaggi come  Vivienne Westwood, Adam Ant, i Sex Pistols sono ricordati per il rapporto prolifico con tanti artisti milanesi.

Le bellissime immagini in b/n hanno l'inconfondibile colore delle contraddizioni del periodo, e i luoghi citati proiettano il lettore in una dimensione altra rispetto a quella attuale, in cui la creatività era esaltata, accudita e preservata da chi gestiva quelle che ancora non si chiamavano le location: per la musica, Odissea 2001, Rolling Stone, Plastic; per la moda, le vetrine di Fiorucci; per la cultura, il Vidicon (splendide le foto di Cesare Gualdoni!) di Claudio Belforti, che di sé e dei suoi sodali dice Eravamo cupi perché avevano intuito che la “Milano da bere” stava per venderci i mobili di casa, e i “paninari” erano l’antipasto dell’abbuffata di idiozia consumistica che ci attendeva.

E chi è vissuto in quella Milano, in quel momento, in quella Italia inquieta e creativa, non può che essere grato a un libro così importante.

 

 




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