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Simone Weil La forza delle parole
Wudz Edizioni, collana Attraverso lo specchio, 2025, prefazione di La Rappresentante di Lista, Traduzione di Martina Zilli, 120 pagine, 14,25 euro Saggi | Società | Storia
21/01/2025 di Laura Bianchi
Il pensiero di Simone Weil è poliedrico, asistematico, ma forse per questo ancora più vicino alla nostra sensibilità; la sua continua ricerca di senso riguardante l'esistenza, la verità e la giustizia ce la fa sentire prossima, e leggere, o rileggere, i suoi pensieri è corroborante, soprattutto in questi tempi, in cui la verità viene spesso mistificata e manipolata, se non addirittura cancellata, da ideologie che sfiorano il totalitarismo, fortemente divisive e aggressive.
Bene ha fatto quindi WUDZ EDIZIONI a inaugurare il 2025 con una nuova collana di pubblicazioni, Attraverso lo specchio, che pubblicherà gli scritti di grandi pensatrici e pensatori del passato, in dialogo con artisti del presente, e col primo titolo, La forza delle parole di Simone Weil con la prefazione de La Rappresentante di Lista, progetto artistico di Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina.
Idealista ossessionata dalla giustizia sociale, Weil partecipò al conflitto spagnolo contro Franco e prese parte alla Resistenza durante la Seconda guerra mondiale. La sua opera filosofica, tra mistica, attivismo e politica, è considerata tra le più importanti del XX secolo, e questo saggio, breve, ma incisivo, ne è una prova luminosa. In esso troviamo concetti espressi anche in altre opere, come Il libro del potere o Il poema della forza, che documentano non solo la passione politica della pensatrice, ma anche la sua profonda conoscenza del mondo classico, specialmente greco, e delle immagini simboliche che lo abitano. Troviamo anche in La forza delle parole alcuni esempi, come quando scrive: "Tanto la sventura è orrenda quanto l’espressione autentica della sventura è sovranamente bella. Anche in tempi recenti si possono indicare esempi come Fedra, La scuola delle mogli, Re Lear e le poesie di Villon; ma esempi migliori sono le tragedie di Eschilo e di Sofocle; meglio ancora l’Iliade, il libro di Giobbe, alcuni poemi popolari; e ancora i racconti della Passione nei Vangeli. Lo splendore della bellezza illumina la sventura grazie alla luce dello spirito di giustizia e di amore, che è l’unica luce attraverso cui il pensiero umano può affrontare la sventura e raccontarne la verità."
Dire la sventura, il dolore, l'ingiustizia, la guerra (che di tutto questo è causa) è un obbligo morale per l'uomo, e le parole per dirlo devono essere forti, nette, chiarissime: occorre saper dire il dolore, ma anche dire parole di perdono, che sostituiscano la vendetta, e un ruolo di vitale importanza, in questo senso, è coperto da quelli che ora chiameremmo media, istituzioni, agenzie comunicative: "Molto potrebbe essere fatto da coloro che hanno l’incarico
di indicare al pubblico cosa lodare, ammirare, sperare, ricercare e chiedere. Sarebbe un grande progresso se anche solo alcuni di loro decidessero di disprezzare in modo assoluto e senza eccezione tutto ciò che non è puro bene, perfezione, verità, giustizia, amore. Ancor meglio sarebbe se la maggior parte di coloro che detengono oggi frammenti di autorità spirituale comprendessero il loro obbligo di non promuovere mai, come ideale umano, altro che il vero bene reale e perfettamente puro."
E bene hanno fatto Lucchesi e Mangiaracina ad approfondire il concetto, nella loro introduzione, che dialoga strettamente con il testo (consigliamo di leggerla come una postfazione, per comprenderne meglio il senso): Lucchesi scrive: "Allora, certe volte, le parole sono finzione, una trappola, una promessa che non arriverà mai a toccare la realtà. Io se guardo la realtà in cui vivo, la natura che cammina muta intorno, vedo che è fatta di movimento: del silenzioso moto dei pianeti, delle centenarie piante e alberi che non dicono una parola eppure hanno ragione, dei pesci che attraversano il mare e che usano il suono solo al bisogno, percorrendo gli oceani su frequenze che sanno solo loro." E Mangiaracina ribadisce: "Ci sono parole da non pronunciare? Ci sono parole che non abbiamo ancora pronunciato? C’erano parole bellissime che abbiamo smesso di pronunciare. Erano come colla, come un camino acceso, ci stringevamo tutti lì, erano come il pavimento che sussulta mentre tutti ci balliamo sopra. Ci sono parole che tutti sappiamo a memoria, ma pochi hanno il coraggio di dire. Non servono parole per amare, servono parole per farsi amare. Non servono parole per trovare, servono parole per farsi trovare."
Ma nel saggio di Weil c'è molto altro: ci sono l'impegno politico, la ricerca storica, l'approfondimento filosofico, e una ricerca inesausta di bellezza, che consola e cura. Una lettura illuminante, in questo periodo di memoria e dignità spesso calpestate.
Che questa frase ci accompagni sempre, nella sua semplice, ma impegnativa, essenzialità: "Giustizia, verità e bellezza sono sorelle e alleate. Con tre parole così belle non c’è bisogno di cercarne altre."
Simone Weil (1909 - 1943) è stata una filosofa, mistica, scrittrice e pensatrice francese. L'occupazione di Parigi da parte dei tedeschi allo scoppio della seconda guerra mondiale e l'inizio delle persecuzioni naziste contro gli ebrei francesi la spinsero a rifugiarsi a Marsiglia, ma la persecuzione estesa alla Francia di Vichy la costrinse a cercar scampo all'estero. Emigrata con la famiglia negli Stati Uniti, a New York, si trasferì poi in Inghilterra, dove militò a fianco delle autorità in esilio della Resistenza francese. La salute compromessa nel duro lavoro in fabbrica fece riacutizzare la malattia che l'aveva già colpita in precedenza: si spense nell'estate del 1943. Solo dopo la morte vennero alla luce la sua alta ricerca intellettuale e l’intensa vita spirituale, attraverso la pubblicazione per lo più postuma della sua opera.