
Serhij Zadan La strada del Donbas
Voland, 2016 Narrativa Straniera | Romanzo
16/02/2017 di Eliana Barlocco
Nell’età moderna il Donbas è stata una sorta di selvaggio west: dapprima rifugio per i Cosacchi, più tardi per gli ebrei, poi per le minoranze religiose, per i contadini dekulachizzati, per i criminali e per i fuggitivi di tutti i tipi. Herman si ritrova in un ambiente senza tempo, incontrando personaggi di vario livello di umanità. Questo ritorno improvviso e non voluto al passato, lo catapulta in una situazione inafferrabile e, a tratti, ingestibile:“- Non si può annegare nel fiume dove nuoti da tutta la vita. - Forse è così. Solo che io non ci nuoto da molto tempo”.
I rappresentanti di questa varia umanità in cui Herman si imbatte, gettano una luce sul problema essenziale della vicenda ucraina, e, più in generale, di tutte le ex repubbliche sovietiche: quella della convivenza tra etnie differenti. “Siete nati e cresciuti qui, qui sono le vostre famiglie e i vostri affari. E’ tutto giusto, tutto a posto. Però vi fate la guerra senza capire la cosa fondamentale: che tra di voi in realtà non c’è alcun nemico. Lori vi sobillano, vi spingono a mettervi l’uno contro l’altro, così vi indeboliscono e vi rendono vulnerabili”.
La scrittura di Zadan (classe 1974, letterato, saggista e musicista. Dal 2008 fa parte del gruppo musicale Sobaki v Kosmose - I cani nello Spazio - con cui ha realizzato tre album) è come la sua musica. Spazia tra il punk e lo ska. Il ritmo della scrittura è in levare. Nel corso della lettura uno si aspetterebbe uno svolgimento lineare, in realtà l’accento è posto sulle note minori che assumono così una centralità: i personaggi dimenticati, quelli secondari, diventano fondamentali per e nella storia. Al contempo però, nei contenuti, emerge il punk. Dando importanza a quel selvaggio west di cui parlavamo prima, Zadan si pone come dissacrante nei confronti del tempo presente, facendo emergere l’urgente istanza di una qualche forma di giustizia che porti a un equilibrio in questo mondo senza tempo. Non dimentica neanche il rock, disseminando nel corso del romanzo, sentenze lapidarie, punti di vista; insomma Herman stesso è un piccolo sassolino che nel corso del tempo diviene una vera pietra rotolante in un paesaggio al limite della psichedelia. E la conclusione è tra le più semplici, disarmanti e pertanto più complicate da realizzare: “Fai quello che hai sempre fatto Herman…Fai quello che hai sempre fatto. Non ignorare i vivi. E non dimenticare i morti:”
https://youtu.be/g9mbWtQJLdA
https://youtu.be/envVnI7EZ2Q