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Sandro Veronesi Il Colibrì
Editore: La nave di Teseo - Collana: Oceani, 368 p., Brossura, 18 euro Narrativa | Letteratura Italiana
13/07/2020 di Laura Bianchi
Perché Il colibrì è romanzo complesso, stratificato, perfettamente in linea con la temperie postmodernista in cui continuiamo a trovarci (ancora per poco, forse), ricco com'è di citazioni, occulte o esplicite, di rimandi intratestuali e autobiografici, di cultura alta e bassa mescolate con guizzi inaspettati, di elenchi, di digressioni e di dettagli apparentemente superflui, di generi imprecisi, di ironico e tragico spesso compresenti; ma, anche, degnissimo interprete della migliore tradizione del romanzo sette - ottocentesco, alla Dostoevskij, alla Defoe, con un protagonista al centro di una serie di esistenze, che si intrecciano a lui in modo imprevisto e indissolubile. E scritto con un profondo rispetto per la lingua italiana, utilizzata in modo duttile e nobile, con parole - chiave, neologismi, scarse concessioni al lessico gergale, e grande ampiezza di registri e tonalità.
Anche la pluralità dei punti di vista e della voce narrante sembra suggerire l'appartenenza stilistica alla contemporaneità; ma, poi, ogni tanto l'immedesimazione del narratore con l'esperienza di Marco Carrera, il protagonista, è tanto evidente da riportare, alla mente del lettore, i grandi eroi che lottano contro un destino avverso e insulso, un David Copperfield, una Moll Flanders, e da fare passare in secondo piano tutte le altre narrazioni, come se il baricentro si spostasse costantemente, dalle azioni degli altri personaggi, alle motivazioni che li hanno mossi, fino alle ripercussioni che queste hanno sul protagonista.
Ecco dunque che il romanzo trova il proprio senso, che spiega anche il complesso, e solo esteriormente contorto, andirivieni fra i tempi storici, che rischia di stordire, stancare, esasperare, il lettore che desidera un percorso lineare, dal passato al presente, e da questo a un futuro che si costruisce man mano che le azioni prendono forma. E questo è, forse, il difetto maggiormente imputato all'opera; invece, chi la definisce lenta, confusa, perfino noiosa, non ne ha colti proprio l'intima essenza, lo slancio vitale, la spinta creativa e propulsiva verso un racconto che tutto riassume, nel momento in cui tutto viene suddiviso in minutissimi frammenti di memorie e di vite.
Non è questa la sede per proporre la trama, tanto ricca di amore e morte, speranze e disillusioni, leggerezza e densità da assumere i contorni di vicenda paradigmatica dell'esistenza umana. Piuttosto, preme ricordare che Il colibrì, nel suo pervicace sfuggire a ogni classificazione, propone al lettore non tanto un romanzo, quanto un'esperienza filosofica e psicologica, a cui alludono, certo, le diverse situazioni e i vari personaggi (non ultimo quello - chiave - dello psicanalista, da cui il libro prende avvio, e con cui esso si conclude), ma che solo il lettore deve scoprire appieno, adattandola a quanto ha vissuto personalmente, alle incertezze che ha attraversato, alle sicurezze che ha perso, nel volo di una vita.
Libro scomodo e difficile, dunque, per chi vorrebbe lieto fine, certezze incrollabili, destini lisci come un'autostrada appena inaugurata; libro impossibile, perfino, per chi vorrebbe evasione, intrighi, sesso, violenza, situazioni estreme. Libro che, nel suo collocarsi attraverso i decenni e le storie, persegue, e raggiunge, l'arduo obiettivo di coinvolgere chi ha bisogno di essere spiazzato e contraddetto, di riflettere sulle ipotesi di senso, e trova nella loro ricerca il senso stesso dell'esistenza. Che i buoni vincano, su questa crosta di terra, non è legge inscritta nel marmo; che i malvagi abbiano giusta punizione, nemmeno; che l'amore trionfi è illusorio; che la sofferenza abbia una causa o uno scopo certi, pure. Ma è possibile che esista, su questa crosta di terra, uno spazio, nel DNA o nel battito di un cuore, negli occhi di una ragazza o nelle palpebre chiuse di un vecchio, in cui intuire, per un attimo, la nobiltà e la dignità dell'essere umano.
Che una giuria di un premio se ne accorgesse non era scontato; e anche questa è una buona notizia, in un 2020 avaro di ragioni per credere.