Salvatore Niffoi

Salvatore Niffoi La vedova scalza


Milano, Adelphi 2006 - Pagg. 182, € 15.00 Narrativa Italiana

di Luca Meneghel
Siamo in Sardegna. Itriedda Murisca riceve un pacco da un postino impiccione: dentro, direttamente dall’Argentina, c’è un quaderno. Nel quaderno, scritto dalla zia Mintonia Savucco, c’è la storia di una vita in Barbagia, una vita piena di amore e dolore, di gioia e sofferenza, di delitti e vendette, di personaggi indimenticabili ed altri assolutamente crudeli. Dentro, insomma, ci sta la Sardegna primordiale, quella della gente semplice che risponde ad un codice di valori per noi lontanissimo e di conseguenza affascinante, sconvolgente e sorprendente.
Regista del tutto, manco a dirlo, è Salvatore Niffoi, il professore di Orani scoperto da Roberto Calasso che pubblica ora per la sua Adelphi “La vedova scalza”, seconda uscita dello scrittore sardo nella collana “Fabula” dopo lo straordinario successo di pubblico e critica ottenuto con “La leggenda di Redenta Tiria”.
Lo stile di Niffoi, tanto nell’impianto linguistico-sintattico quanto in quello tematico, è ormai un marchio di fabbrica: storie che vengono dalle radici più profonde di una regione cruda e misteriosa, amore e morte indissolubilmente legati, il tutto raccontato con ampi stralci dialettali (ne “La vedova scalza” ancora più pregnanti che nell’opera prima), unica lingua in grado di avvolgere l’oggetto e di aspirarne l’essenza più recondita, ed una sintassi sempre lucida e cruda con sporadiche concessioni ad immagini di una poeticità disarmante.
“La vedova scalza”, ancora più de “La leggenda di Redenta Tiria”, non è per tutti: sarà il dialetto, sarà il contenuto, ma sta di fatto che i libri di Niffoi richiedono una certa dose d’impegno, lo stesso impegno che l’autore mette nella scrittura di quelle pagine che fanno di lui uno dei maggiori autori contemporanei italiani. Impegnatevi, allora, dategli e datevi tempo: quello che vi si aprirà davanti sarà un mondo intriso di morte, morte come rinuncia, morte come sconfitta, morte come vendetta, morte come destino e chi più ne ha più ne metta. Quel che è certo è che pochi narratori come Niffoi sanno rappresentare l’atto ultimo della vita umana con tale semplicità e realismo, colpendo il lettore con accenti di verismo in quella parte dell’anima che è sempre alla ricerca di un significato da dare all’ultimo respiro.
E poi, al di là della cupa (ma non troppo, in Niffoi) tematica “cimiteriale”, c’è l’amore della narratrice Mintonia per Micheddu, capro espiatorio di un paesino sardo sotto le grinfie del fascismo, romantico e duro filo conduttore di tutta la vicenda nella quale, come in un gioco ad incastri, compaiono altri personaggi decisamente difficili da dimenticare: il crudele don Zippula, pretuncolo attratto dalle belle bambine con la scusa di improbabili esorcismi; la civettuola signora Ruffina, moglie del brigadiere Centini (il peccatore punito), che tante lacrime farà versare alla nostra Mintonia; lo splendido Imbece che istruirà la protagonista fornendole tanti libri, veri maestri di vita, prima di andarsene dopo averle regalato l’ultimo. Quello di Niffoi è infine anche un prezioso documento sociologico, utile per percepire cosa pensano e a quali leggi rispondono gli abitanti di una zona sperduta e affascinante, avvolta dalla nebbia del tempo che sembra scorrere più lentamente di quanto non faccia “sul contintente”. Commentando la recensione de “La leggenda di Redenta Tiria”, un lettore consigliò di leggere Niffoi per capire “la nostra gente”, i sardi: credo sia un consiglio assolutamente azzeccato e “ La vedova scalza” è forse ancor più utile, in questo senso, di Redenta Tiria.
Niffoi è un autore prolifico e sono molti i suoi romanzi già pubblicati in Sardegna che vedranno la luce presso Adelphi: continuare a scrivere di questa gente è il più bel regalo che quel professore di Orani, fino all’anno scorso assolutamente sconosciuto, può fare a tutti i lettori italiani. E alla nostra letteratura.


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