Richard Thompson Beeswing - I Fairport Convention, il folk-rock, la mia voce. 1967-75
Jimenez Edizioni, 272 pagg., € 20, 2021, Traduzione di Gianluca Testani Biografie | Musica
28/10/2021 di Laura Bianchi
Con il mémoir Beeswing - I Fairport Convention, il folk-rock, la mia voce. 1967-75, Thompson, insieme a Scott Timberg, ci guida, con piglio sicuro, penna felice e una messe di aneddoti e dettagli, in un'esistenza che definire intensa è riduttivo, e lo fa scegliendo un preciso momento, personale e storico, della propria carriera: quando, fra i 18 e i 26 anni, le scelte, i gusti, le amicizie, gli incontri, prendono una forma cangiante e solo apparentemente incerta, mentre in realtà rivelano la persona (e, in questo caso, l'artista) che si sta diventando.
Da una Londra ancora impregnata di smog (di cui, sorprendentemente, Thompson rivela di provare nostalgia), esalano ricordi, suoni, umori, raccontati con intuizioni folgoranti, ironia e lucidità, mentre attorno al musicista vortica una folla di personaggi, dai nomi che danno le vertigini, ma insieme la misura esatta di cosa abbia costituito la città in quegli anni: un vero ombelico del mondo musicale, crogiolo di influenze e di arti, in miracoloso equilibrio fra il passato, incarnato dai suoni folk, e il futuro, rintracciabile nei solchi di capolavori al confine con la psichedelia e con il nascente progressive.
E allora, immergiamoci in un'epoca irreparabilmente perduta, eppure ancora tanto vivida e pregnante, e conosciamo i tremori, le speranze, le ascese e le cadute di una generazione che ha saputo trasformare in musica i propri sogni. Affidiamoci allo sguardo acuto di Thompson, che rivela una profonda conoscenza non solo musicale, ma letteraria, anche nelle citazioni che aprono ogni capitolo, da Aristofane a Yeats, e che sa indagare nell'animo delle persone che incontra sul proprio cammino, tratteggiandole con pochi, sapienti tocchi.
Vediamo quindi un Nick Drake che "spiccava all'estremità dello spettro" degli artisti taciturni, ma che ascoltava devoto Frederick Delius, il meditativo compositore che potrebbe averlo ispirato; oppure un John Martyn, che "parlava a raffica fra una canzone e l'altra"; o ancora l'indimenticata, tormentata Sandy Denny, anche lei seguace della linea di Delius, che portò nel gruppo una tendenza alle suite, come in A Sailor's Life, e la cui parabola è descritta in senso non solo musicale, bensì anche umano, grazie alla capacità di Thompson di cogliere i segni anticipatori di una fine tragica.
Non mancano nemmeno ampi squarci sul costume, sulle mode e sui luoghi significativi dell'epoca, e questo è forse uno degli aspetti più sorprendenti dell'autobiografia; solitamente, infatti, chi scrive si mette al centro dell'azione, in ogni senso, e lo sfondo resta quello che è: appunto, un fondale esornativo. Thompson, invece, anche se l'uso della prima persona è inevitabile, si pone spesso come lo spettatore di un'epoca, restituendo quindi al lettore uno scenario complesso, composito, in perenne mutazione, il che permette a chi non ha vissuto quei tempi di comprenderne le motivazioni, gli impulsi, l'inquietudine. Forse, anche, di capire l'avvicinamento del chitarrista al sufismo, che egli definisce un "ritorno ai blocchi di partenza", in un periodo in cui si sentiva "un bambino che immerge un piede nella schiuma superficiale di un oceano": quel bisogno di profondità, di purezza e di novità, che avrebbe dato origine a un'ulteriore evoluzione artistica.
Ultima chicca del libro, una serie di racconti brevi, intitolati Sogni, in cui Thompson rivela un ulteriore dono narrativo: la sintesi, la capacità prodigiosa di tratteggiare un clima in poche righe. Degna conclusione di una lettura illuminante.