
Pier Luigi Vercesi Fiume
Neri Pozza, 2018 Saggi | Società | storia
12/01/2018 di Corrado Ori Tanzi
Sta di fatto che l’avventura fiumana di Gabriele D’Annunzio e dei suoi militi, dal settembre 1919 al Natale 1920, fu l’esempio più fulgido di comunità libertaria che il mondo abbia mai conosciuto. Un laboratorio rivoluzionario di idee e di costumi che l’impasto tra la Berlino weimeriana, la Parigi folle di pittori e romanzieri e l’America dell’età del jazz non sarebbe riuscito a superare. Sedici mesi di occupazione con tanto di Carta del Carnaro vergata dal Poeta che sanciva tra l’altro: parità in ogni settore tra uomo e donna, diritto della donna a prendere parte attiva a ogni tipo di votazione, legalizzazione del divorzio, depenalizzazione dell’omosessualità, accettazione della circolazione delle droghe, democratizzazione dell’esercito, la realizzazione di una lega degli oppressi contro i colonizzatori, proclamazione della musica quale “istituzione religiosa e sociale” e Costituzione quale atto normativo supremo e primario a sancire l’uguaglianza dei cittadini.
Per le democrazie fu veramente troppo. Bombardamento doveva essere. E bombardamento fu.
Il delizioso esile Fiume (con sottotitolo L’avventura che cambiò l’Italia) di Pier Luigi Vercesi, inviato del Corriere della Sera, è l’eccellente e coinvolgente racconto di quella virgola di anelito postmoderno di libertà, ubriacatura creativa di esistenze che non volevano consegnarsi ai costituendi regimi ma neanche tornare a prima della Grande Guerra.
La verità è che l’impresa dannunziana di Fiume sarebbe stata poi preda di nostalgie, ideologie e opportunismo politici. Il fascismo ne plagiò estetica, slogan, misticismo e parole d’ordine esaltando l’utopia ardita senza mai scavarne la sostanza (e come avrebbe potuto?). La sinistra la rubricò quale maggiordomo che spalancò le porte alla dittatura, “altrimenti – come scrive l’autore – avrebbe dovuto porsi troppe domande sulle origine del fascismo” (schioccante schiaffo a cinque dita sulla guancia dei progressisti). Fu uno studioso come Renzo De Felice che iniziò a parlarne senza pregiudizi. E a vedere quanto il fiumanesimo dannunziano fosse un autentico momento di rottura col positivismo oligarchico e colonialista d’anteguerra che non confluì affatto col fascismo.
Si trattava in realtà di un’utopia nata dagli strati più bassi della società e dell’esercito, ingenua e irrealizzabile quanto si vuole, ma nata da una massa di adolescenti che fuggì da casa seguendo la luce del Vate perché incapace di tornare a una quotidianità preguerra in cui la sopravvivenza passava necessariamente nell’adattamento a convenzioni borghesi che si alimentavano di ingiustizia, ineguaglianza, sfruttamento reciproco e opportunismo.
Grazie anche a “balordi, approfittatori e avventurieri”, restando con le parole di Vercesi, attratti dall’assenzio di quella socialità nascente, l’impresa di Fiume venne svalutata e scolorita nel corso dei decenni. Si preferì la miseria dell’abisso a cui condussero le dittature rossa-nera-bruna.
Pier Luigi Vercesi, Fiume, Neri Pozza, pagg. 162, 12,50 euro
Corrado Ori Tanzi
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