Paolo Doni

Paolo Doni Ci vediamo al bar biturico


Parma, Ugo Guanda Editore 2006 - Pagine 129, € 12.00 Narrativa Italiana

di Luca Meneghel
Lo ammetto, anche questa volta mi sono lasciato suggestionare dal Magazine del “Corriere della Sera” e la domanda, molto semplicemente, è la seguente: “Ci troviamo al Bar Biturico” sarà il caso letterario del 2006? Molti fattori lascerebbero intendere di sì: D’Orrico l’ha lanciato come “capolavoro” e romanzo che “ballerà” per più di un’estate; Paolo Doni è uno pseudonimo: l’autore ha preferito non firmare l’opera col proprio nome reale per evitare accostamenti autobiografici con la materia trattata, e questo giustificherà una vera e propria caccia all’uomo (stando ad alcuni blog, già terminata: si tratterebbe del giornalista dello stesso “Magazine” Giuliano Zincone, ma il condizionale è e resta d’obbligo); la tematica, infine, è di quelle bollenti: una novella Lolita e un novello professore sessantenne, una cornice fatta di Capri, dei suoi faraglioni, delle sue spiagge e dei suoi piatti tipici.
Se il riferimento alla linea fondante della “Lolita” di Nabokov è quantomeno palese, anche se Paolo Doni dichiara di aver letto le immortali vicende della ninfetta e del professor Humbert solo dopo aver scritto il romanzo (e possiamo credergli: le vicende trattate sono del resto universalmente note, complice anche la trasposizione cinematografica di Kubrick), meno diretto è il collegamento con un altro grande romanzo, questa volta nostrano. Parlo di Alberto Moravia, che in “Agostino” mise in scena la maturazione sessuale di un ragazzino, l’esplosione di ormoni adolescenziali in villeggiatura e, non ultima, la tematica omosessuale: è difficile non vedere nel Michele di Paolo Doni l’Homs del romanzo di Moravia, entrambi adolescenti di colore ed entrambi poco affini all’eterosessualità; senza contare poi che “Michele” è un nome molto caro a Moravia, che lo utilizza tanto ne “Gli Indifferenti” quanto ne “La Ciociara”.
Fatte le dovute presentazioni, messi in luce i “progenitori” di Doni, veniamo al testo del “nuovo Nabokov”, fresco di stampa nella collana “I narratori della Fenice” di Guanda. “Ci troviamo al Bar Biturico” è un libretto agile che si legge tutto d’un fiato: al dinamismo dell’opera concorrono lo sdoppiamento dei punti di vista (tutto il romanzo alterna la voce di Giada, tredici anni, e quella di Bruno, sessantadue anni, come fosse un copione teatrale) e uno stile molto vicino al parlato e al linguaggio degli sms nel caso della ragazzina e più curato, ma sempre scorrevole, nel caso del professore, due stili idealmente complementari, specchi della loro personalità, del loro grado sociale, della loro generazione.
All’estrema godibilità dell’opera concorre poi, ovviamente, il contenuto: nell’arco di un mese a Capri (più precisamente ad Anacapri) Bruno si infatua della giovanissima Giada, a caccia del suo primo rapporto sessuale in una fase di piena esplosione ormonale (“Ho voglia d’innamorarmi e di scopare”, “Deve spalancarmi come una vongola e farmi un po’ male”, “Vorrei essere popputa come Manuela, che fa la santarella e secondo me sbrodola alla grande”, eccetera eccetera); l’ossessione di Bruno per la ragazza sarà motivo di una riflessione su sè stesso, sul proprio passato, sul proprio rapporto con la moglie Rita, mentre l’innamoramento (passeggero) di Giada per Luca (uno scialbo coetaneo non ancora maturo) sarà un banco di prova per le proprie voglie, ormai insopprimibili.
Paolo Doni fa sostanzialmente scontrare due mondi: uno appena entrato nell’era delle mestruazioni, l’altro alle prese con le ultime vasodilatazioni nelle parti basse prima di crollare nell’inattività irreversibile. Non anticipo come andrà a finire tra i due, ma entrambi lasceranno Capri, bagnati dalla pioggia di fine stagione, un po’ diversi da come erano un mese prima.
“Ci troviamo al Bar Biturico” sarà il caso letterario del 2006? È probabile di sì, anche se parlare di capolavoro è forse eccessivo. Il successo sarà dovuto in parte alle qualità letterarie del misterioso Doni, artefice di un’opera perfettamente calata nell’età dell’sms senza scivolare mai in uno stile alla Melissa P. (e quando si parla di sesso tra ragazzi, il rischio è forte), in parte al suo grande pregio di dire tutto quello che sente di voler dire, dando voce ad ogni pulsione, anche la più becera ed immorale (l’ombra della pedofilia) senza filtri censori, aprendo così una seria riflessione nel lettore sulla moralità, sull’omosessualità, sul ruolo delle pulsioni, sulle tredicenni d’oggi e chi più ne ha più ne metta: di romanzi così, anche anonimi, ce ne vorrebbero di più. La poetessa Muriel Rukeyser si chiese che succederebbe se una donna dicesse tutta la verità sulla sua vita, rispondendosi che il mondo finirebbe in pezzi: dire tutta la verità è quello che Doni fa fare a Bruno e Giada e, rischiando di far cadere a pezzi il mondo, forse è stato meglio pubblicare sotto pseudonimo …